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Dall’annessione coloniale della RDT al riarmo tedesco

di Roberto
Rosso

Il parlamento tedesco martedì 18 marzo ha votato un cambiamento alla costituzione, abolendo il ‘freno al debito’, i preesistenti limiti all’indebitamento pubblico, al deficit annuale, aprendo la strada ad investimenti nel campo degli armamenti e delle infrastrutture per centinaia di miliardi di euro. Questo freno ha ridotto il debito tedesco, ma ha anche impedito al governo di investire in strade, software, ponti, carri armati e in altre aree. I legislatori affermano che la spesa è ora urgentemente e necessaria per affrontare il declino della competitività tedesca e le garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti1.

La spesa tedesca è rimasta ben al di sotto della sua necessità di aggiornare le reti di trasporto, digitalizzare i servizi pubblici e fare una serie di altri investimenti essenziali per la sua competitività globale. Gli investimenti pubblici netti del paese sono stati negativi negli ultimi 25 anni, frenando la crescita economica, ha dichiarato Marcel Fratzscher, presidente del l’Istituto tedesco per le ricerche economiche.

Nel 2009, quando è stato introdotto il freno al debito, la Germania, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avevano livelli di debito all’incirca simili come quota delle loro economie. Da allora, la quota è salita in Gran Bretagna e in America, ma è calata in Germania. Il freno al debito è stato aggiunto alla Costituzione tedesca dopo che il deficit di bilancio del paese è cresciuto durante la crisi finanziaria del 2008. È diventata una politica economica distintiva e un punto di orgoglio nazionale.  Il paragrafo 3 del l’articolo 109 della Legge fondamentale stabilisce che “i bilanci della Federazione e dei Länder devono, in linea di principio, essere equilibrati senza entrate da crediti.” Ciò significa che il governo può spendere solo quanto guadagna, principalmente da imposte e prelievi2.

L’accordo raggiunto da Merz con i Verdi e i socialdemocratici -superando con 513 voti la soglia dei due terzi degli aventi diritto al voto, necessari per operare una modifica alla costituzione-  crea un’esenzione dal freno al debito per tutte le spese di difesa superiori all’1% del prodotto interno lordo. Peraltro definisce la “difesa” in senso lato, per includere l’intelligence interna, gli aiuti agli alleati e altre misure accanto all’acquisto di armi. Di fatto, i legislatori tedeschi potrebbero prendere in prestito tutte le somme che il mercato dei titoli di Stato permetterebbe di finanziare tali voci. In base all’accordo viene poi creato un nuovo fondo per le infrastrutture di 500 miliardi di distribuiti su 12 anni, al di fuori dei limiti del freno al debito. Di questi, 100 miliardi di euro saranno destinati a progetti per combattere il cambiamento climatico.

Il cambiamento radicale nella strategia di governo tedesco per un verso chiude una parabola che ha avuto il suo inizio con l’unificazione delle due Germanie e si colloca in un contesto segnato, in un lasso di tempo delimitato dalla crisi finanziaria del 2008 e la crisi degli assetti strategici indotta dalla guerra russo-ucraina  accelerata dall’iniziativa della presidenza Trump; quest’ultima ha motivato alla chiamata alle armi all’interno dell’unione Europea, con la partecipazione del Regno Unito, un processo in corso che in ogni caso apere a nuove configurazioni trasversali alle istituzioni politiche ed alle alleanze  militari esistenti, che vede protagonisti il Regno Unito, la Polonia e la Francia e probabilmente la Germania.

Tra la crisi del 2008-2011 e la congiuntura attuale troviamo la pandemia da Sars-COv-2 che ha provocato un collasso economico a cui l‘UE rispose con il piano straordinario di finanziamenti Il Next Generation EU – in Italia, principale destinataria di quei finanziamenti declinato nei termini del PNRR-  il quale se per un verso sostenne la ripresa negli anni successivi non ha prodotto cambiamenti strategici nella collocazione dell’UE nella divisione internazionale del lavoro, in una competizione globale sempre più accanita, dove ogni formazione sociale si deve ricollocare e ridefinire in un processo di trasformazione caratterizzato dalle transizioni tecnologico-digitale ed energetico- climatico-ecologica.

La Germania è stata il cuore degli assetti del continente europeo che si sono realizzati dopo il crollo dell’unione Sovietica, l’unificazione tedesca, con l’allargamento progressivo dell’Unione e l’introduzione dell’Euro; oggi essa è il cuore della crisi di quegli assetti in termini economici e sociali, politici e strategici.

La Germania è stata il punto di rifermento per la politica della BCE oltre che dell’Unione nell’attuazione di una politica recessiva, basata sul controllo del debito dei paesi dell’area dell’EURO, di cui l’intervento sulla Grecia costituisce l’esemplificazione più drammatica. La crisi greca origina  nel 2009 e trova il suo acme nell’intervento del 2015, il cosiddetto terzo bail-out3 con cui alla Grecia si impongono condizioni draconiane che producono una vera e propria devastazione sociale, le cui conseguenze non sono certo scomparse. Del resto già nel 2012 senza mezzi termini la troika di creditori (Fmi, Unione Europea e Bce) nel 2012 pose come condizione, per sbloccare il pacchetto di aiuti internazionali, l’attuazione da parte del governo greco di nuove misure strutturali e di austerità. Fra esse spiccava la proposta/pretesa di ridurre del 22 per cento i salari minimi, per dare uno slancio alla competitività dei prodotti greci4. Il popolo greco fu piegato alle condizioni della troika, nonostante la vittoria elettorale ed il tentativo di opposizione del governo Tsipras5.

L’inversione di rotta del governo tedesco, presa prima che si installi il nuovo parlamento eletto, è paradossale, poiché l’economia della Germania  ha i margini in base al suo basso livello di debito rispetto al PIL, confrontato a quello di paesi come la Francia e l’Italia,  per avviare una politica di incremento sostanziale della spesa pubblica e di indebitamento, dopo aver contribuito a devastare le economie nazionali dell’area euro, con la complicità dei cosiddetti paesi frugali, ricordiamoci la definizione di PIGS per Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

La traiettoria della Germania muta radicalmente dopo il crollo dell’URSS, opera un salto di qualità con l’unificazione con la RDT, che si configura in realtà -come vedremo- come una vera e propria annessione coloniale, l’espansione delle proprie filiere produttive, principalmente il ciclo dell’auto nei paesi ex-socialisti dell’Europa centrale, la disponibilità di fonti energetiche a basso costo con il gas russo. Il tutto sotto l’ombrello della NATO, mentre la Russia viveva una transizione drammatica in termini sociali, economici ed anche demografici, sotto il segno di una lunga instabilità politica caratterizzata dall’appropriazione privata del complesso delle risorse e delle strutture  economiche un tempo di proprietà dello stato; fino agli esiti del dominio politico putiniano, che hanno comunque stabilizzato la situazione interna, imponendo un  nuovo regime politico, selezionando e fidelizzando una nuova classe dirigente.

La tragedia greca, l’imposizione di una logica recessiva, la riduzione di diritti acquisiti, di riduzione drammatica delle condizioni di vita, di accesso ai servizi fondamentali come quelli sanitari, la svendita dei principali asset economici, trova una corrispondenza nell’annessione della Germania dell’Est da parte della Germania dell’ovest, della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) da parte della Repubblica Federale Tedesca (RFT). La vulgata secondo cui la RFT ha finanziato la rinascita della sottosviluppata RDT costituisce un vero e proprio rovesciamento della realtà come è ben descritto nel libro di Vladimiro Giacché ‘Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa’ del 2016, che richiede di essere letto integralmente e con attenzione per comprendere i diversi aspetti di quella che fu una vera e propria annessione, con appropriazione di risorse e ricchezze che trova un corrispettivo nel modello dello spossessamento coloniale.

Con alcune citazioni possiamo descriverne il percorso.

Il processo che il 1° luglio 1990 trovò una sua prima – ma decisiva – conclusione nell’unione monetaria della Germania era iniziato mesi prima. Non molti, per la verità

In questi mesi gli stessi movimenti di opposizione e per i diritti civili si esprimono per la democratizzazione dello Stato, ma anche per il mantenimento dell’indipendenza statale e della natura socialista della Rdt. Ad esempio il pastore protestante Rainer Eppelmann, allora esponente dell’opposizione, poi membro della Cdu e oggi presidente della fondazione che si occupa della «dittatura della Sed» (Stiftung zur Auferbeitung der Sed-Diktatur), ancora nel dicembre 1989 affermava: «Non abbiamo bisogno di un’ulteriore repubblica capitalistica tedesca. La seconda [repubblica tedesca], che in tempi prevedibili resterà anche la più povera, ha in realtà un senso soltanto se è una società alternativa alla Rft» (cit. in Linder 1994: 52). Più in generale, salta agli occhi che nei numerosi documenti di protesta elaborati in questi mesi da gruppi di intellettuali e cittadini l’accento è sempre sulla democratizzazione: «Da nessuna parte emerge quale soluzione dei problemi la proposta di riavviare la dinamica dello sviluppo attraverso la riprivatizzazione di capacità produttiva, di terreni e immobili» (Lindner 1994: 96). Il 26 novembre viene pubblicato l’appello «Per il nostro Paese», firmato da molti esponenti della cultura e della vita pubblica della Rdt. Esso viene letto in televisione dalla scrittrice Christa Wolf. In questo documento si ribadisce la necessità di mantenere l’indipendenza della Rdt.

Il 7 dicembre si riunisce a Berlino la «Tavola rotonda», in cui sono riuniti rappresentanti dei partiti tradizionali della Rdt (da sempre al governo sotto la guida della Sed) e diversi gruppi di opposizione nati negli ultimi mesi, il più importante dei quali è il Neues Forum. La Tavola rotonda vuole elezioni libere e che sia realizzata una consultazione col governo su tutte le decisioni. Chiede al governo di assumere soltanto «decisioni improrogabili». I suoi esponenti dichiarano di volere sostenere «soltanto una politica che garantisca l’indipendenza del nostro Paese» (cit. in Lindner 1994: 148).

Il 17 dicembre sono pubblicati i risultati di un sondaggio sui cittadini tedeschi orientali commissionato dal settimanale tedesco occidentale «Der Spiegel»: il 71 per cento si pronuncia per il mantenimento della sovranità della Rdt, il 27 per cento per uno Stato unico con la Rft. Il giorno successivo, nella riunione della Tavola rotonda che si tiene in vista della visita ufficiale di Kohl a Dresda, il Neues Forum propone di votare una risoluzione in cui si ammonisce Modrow a non consentire «che si riportino in vita nella Rdt rapporti capitalistici di sfruttamento».

Ma entro la prima decade di febbraio due elementi nuovi sconvolgono il quadro. Il primo riguarda proprio i sovietici. Il 7 e 8 febbraio il segretario di Stato statunitense James Baker vola a Mosca e ha un colloquio con i vertici sovietici, al termine del quale riceve da Gorbaciov il via libera all’unificazione e all’ingresso della Germania unificata nella Nato: il contrario di quanto il segretario generale del Pcus aveva pattuito con Modrow.

Il 18 marzo si tengono le elezioni.

L’«Alleanza per la Germania», la coalizione elettorale – organizzata da Kohl – che si raccoglieva intorno alla Cdu dell’Est, promise non soltanto l’immediata introduzione del marco dell’Ovest, ma anche la conversione dei risparmi dei cittadini dell’Est in un rapporto 1 a 1 col marco della Rdt. E su questo vinse in maniera schiacciante le elezioni. La Cdu dell’Est prese da sola oltre il 40 per cento dei voti. La Spd, data da tutti i sondaggi quale vincitrice delle elezioni ancora a poche settimane dal voto, patì una cocente sconfitta con un 21 per cento: appena il 5 per cento in più della Pds, partito che – in quanto erede della Sed – era stato fatto oggetto di feroci attacchi praticamente da tutti gli altri partiti in campagna elettorale. I liberali presero il 5 per cento dei voti. I partiti dei movimenti dei diritti civili, che erano stati il motore della protesta contro il regime nell’89, ebbero un risultato disastroso: Bündnis 90, in particolare, prese soltanto il 2,9 per cento dei voti. Al di là delle percentuali, il significato del voto fu subito chiaro. Eberhard Diepgen, per molti anni sindaco di Berlino, lo sintetizzò in poche parole: «questo significa la fine della Rdt».

La legge più importante a cui si lavora dopo le elezioni del 18 marzo non è una legge, ma un trattato: il «Trattato sull’unione monetaria, economica e sociale». Anche questo trattato è già stato predisposto a Bonn, nelle sue linee generali, a fine marzo. Il capo negoziatore, per la Germania Est, non è il presidente del Consiglio, Lothar de Maizière, ma il segretario di Stato Günther Krause, anch’egli della Cdu.

Il nuovo parlamento lavora a ritmi serrati, votando quasi 1.000 pagine di leggi da aprile a fine giugno 1990. Nel solo mese di giugno vengono approvate tante leggi quante ne licenzia il parlamento della Germania Ovest in un’intera legislatura. Ma quelle approvate sono per l’appunto le leggi dell’Ovest: le leggi del primo parlamento della Germania Est eletto con elezioni libere sono le leggi di un altro Stato . Del resto, nel nuovo parlamento imperversano consiglieri occidentali dei partiti maggiori, e anche lobbisti delle grandi imprese dell’Ovest. Come osserva il giornalista Dirk Laabs.

La delegazione di esperti della RDT presentò queste stime degli effetti dell’introduzione improvvisa del marco tedesco occidentale: i costi legati alla chiusura delle imprese che sarebbero divenute insolventi avrebbero creato problemi di liquidità dell’ordine di 30-35 miliardi di marchi nella seconda metà del 1990 e di 35-40 miliardi di marchi nel 1991; e soprattutto si sarebbero creati circa 2 milioni di disoccupati. In definitiva, la Germania Ovest espresse la sua ferma contrarietà a inserire qualsivoglia misura di sostegno nel Trattato.

Il 18 maggio viene firmato il Trattato sull’unione monetaria, economica e sociale, destinato a entrare in vigore il 1° luglio 1990. All’atto della firma, un Kohl trionfante ne parla come della «nascita della Germania libera e unita».

Benché il marco dell’Est non fosse una valuta convertibile, negli scambi commerciali della Germania Est con la Germania si usava un coefficiente di correzione per misurare il valore relativo delle due valute; altri coefficienti di correzione venivano adoperati nei confronti del dollaro e di altre valute occidentali. Nel 1988 questo coefficiente era di 1 a 4,44. In pratica, un marco dell’Ovest valeva quanto 4,4 marchi dell’Est, e precisamente secondo questo parametro veniva regolato il commercio intertedesco. L’unione monetaria significò quindi un aumento dei prezzi delle merci prodotte nella RDT di poco meno del 350 per cento!.

In effetti le imprese della RDT persero con l’unione monetaria, in un colpo solo, il mercato della RFT e dei Paesi occidentali (per i quali veniva meno la convenienza di prezzo sino ad allora in essere), i mercati dell’Est (Europa Orientale e Russia), rispetto ai quali le transazioni ora avvenivano attraverso una valuta forte (e quindi anche in questo caso con una crescita sostanziale dei prezzi), e gran parte del mercato interno, che venne letteralmente invaso dai prodotti più convenienti della Germania Ovest.

Nel 1991 il costo della vita crebbe del 26,5 per cento. Nel 1992 i prezzi amministrati aumentarono del 66,1 per cento e ancora il 35,7 per cento l’anno successivo. Se si prende l’arco temporale di un decennio, dalla seconda metà del 1990 al 2001 (cioè senza confrontarli con i prezzi del periodo precedente l’unione monetaria), è facile osservare come i prezzi all’Est siano aumentati del 70,2 per cento, contro un aumento del 27,7 per cento all’Ovest.  Rispetto alla produzione industriale del 1989, il livello raggiunto nella prima metà del 1990 fu pari al 92,7 per cento, ma quello della seconda metà dell’anno appena al 50,3 per cento.

Heltmut Kohl, il quale a sua volta il 10 e l’11 febbraio vola a Mosca con il ministro degli esteri Genscher e ha colloqui con il vertice sovietico, ricevendo anch’egli il via libera all’unificazione e all’ingresso della Germania unificata nella Nato.  Già il 23 e 24 agosto la Volkskammer vota per l’ingresso della ex Rdt nella Rft alla data del 3 ottobre 1990. Non vi fu, come del resto già in occasione del primo trattato, nessuna reciprocità negli obblighi tra i due contraenti.

Wolfgang Schäuble, che firmò il Trattato in rappresentanza del governo di Bonn, era del resto stato molto chiaro sul punto nel corso dei negoziati: «non partiamo da posizioni di partenza di pari legittimità. C’è la Legge Fondamentale, e c’è la Repubblica Federale Tedesca. Partiamo dal presupposto che voi ne eravate rimasti esclusi per 40 anni»

Infine la privatizzazione e appropriazione di tutte le attività economiche.

La Treuhandanstalt (detta anche Treuhand) fu definita «la più grande holding del mondo». E in effetti a tale istituzione fu conferita gran parte del patrimonio della Rdt, col compito di privatizzarlo quanto prima possibile. Come è stato osservato, «dalla Treuhandanstalt fu privatizzata un’intera economia»

Passaggio critico fu il rifiuto non solo del concetto di proprietà del popolo, ma anche di quello di proprietà comune. Nel corso di questi mesi, il negoziatore occidentale Tietmeyer rifiuta in maniera sprezzante anche solo di discutere di «proprietà comune» (Gemeineigentum), concetto limitrofo a quello di «proprietà del popolo. Tra gli obiettivi originari della Treuhand non vi era quindi in prima linea quello di privatizzare le società di proprietà dello Stato, ma quello di riorganizzare e tutelare la proprietà pubblica, pur nel prevedibile suo prossimo operare nel contesto di rapporti sociali capitalistici.

In ogni caso, le richieste dei banchieri dell’Ovest furono esaudite, e la nuova legge sulla Treuhand fu presentata e votata in fretta il 17 giugno dalla Volkskammer, appena due settimane prima dell’avvio della moneta unica, in modo da poter entrare in vigore anch’essa il 1° luglio.  Dal 1° luglio la Treuhand è padrona di tutte le fabbriche e le aziende statali della Rdt, che impiegano 4,1 milioni di persone (oltre un quarto dell’intera popolazione della Rdt, e il 46 per cento degli occupati del paese). Sono nelle sue mani 8.500 Kombinate e imprese, 20.000 esercizi commerciali di ogni dimensione, 7.500 trattorie e ristoranti, 900 librerie, 1.854 farmacie, 3,68 milioni di ettari di superfici agricole e forestali, e immobili per un totale di 25 miliardi di metri quadri.

Molto maggiori sono stati infatti i costi sociali. Secondo stime del governo di Bonn tra fine 1989 e inizio 1990 le imprese poi passate sotto il controllo della Treuhand occupavano 4 milioni e 100 mila lavoratori. Alla fine del 1994 ne restavano appena 104.000.

C’ è un passaggio nella presidenza della Treuhand, ma quello che è certo è che Birgit Breuel, che succede a Rohwedder nel ruolo di presidente, non è neppure sfiorata dal dubbio che la privatizzazione possa non essere sempre la soluzione dei problemi che affliggono le imprese dell’Est. Già in precedenza, quando era ancora soltanto responsabile delle filiali della Treuhand, aveva rivendicato con orgoglio la rapidità nel privatizzare: «in soli 4 mesi abbiamo venduto 1.000 imprese. La signora Thatcher ne ha privatizzate soltanto 25 in 2 anni, e il governo della Repubblica Federale Tedesca ha bisogno di un anno per privatizzarne una. Nessun altra Autorità del mondo sarebbe stata in grado di fare quello che siamo stati capaci di fare noi». Non basta. Con l’inizio del 1992 la Breuel preme sull’acceleratore. Vengono decisi anche bonus per i funzionari che avessero privatizzato più rapidamente: se erano previsti 44.000 marchi per chi avesse raggiunto gli obiettivi di privatizzazione assegnati entro il 30 settembre 1992, per chi avesse superato anche questi obiettivi il premio sarebbe stato di 88.000 marchi.

A consuntivo gli acquirenti delle imprese dell’Est sono così ripartiti: ai Tedeschi dell’Ovest è andato l’87 per cento delle imprese privatizzate, ad acquirenti stranieri il 7 per cento, e appena il 6 per cento agli ex cittadini della Rdt. Questi ultimi, infatti, non possedevano né i capitali per acquistare le imprese (erano precisamente queste imprese, ossia le proprietà pubbliche, a rappresentare in teoria la parte più significativa del loro capitale!), né godevano della fiducia delle banche, e in genere neppure di quella dei funzionari della Treuhand.

Infine sulla vulgata secondo cui le imprese della RDT erano oberate di debiti.

A causa della caratteristica di fondo dell’economia socialista della Rdt, che non prevedeva alcuna sostanziale autonomia per le imprese,[ l’indebitamento] si trattava di una partita di giro, spesso tutt’altro che favorevole per le imprese, che a causa del prelievo degli utili non potevano accrescere il loro capitale proprio e che in molti casi ricevevano sotto forma di prestiti da parte dello Stato soltanto una parte di ciò che avevano versato. Alla luce di tutto questo, è difficile dar torto a chi attribuisce ai «vecchi debiti» che vennero a gravare sulle imprese della Germania Est «un ruolo essenziale nella loro svalorizzazione e liquidazione di stampo coloniale», e dall’altro un non meno essenziale contributo ai bilanci d’oro delle banche tedesco-occidentali negli anni immediatamente successivi all’annessione della Rdt.

In qualche caso si preferì lasciar morire le società da privatizzare piuttosto che venderle a concorrenti stranieri di società tedesco-occidentali (Interflug); in settori afflitti da eccesso di capacità produttiva le fusioni furono finalizzate a distruggere capacità produttiva all’Est (Mdk di Bischofferode); nei casi in cui il prodotto della società tedesco-orientale era realmente competitivo e rappresentava un pericolo per i concorrenti dell’Ovest, questi si coalizzarono per spingere al fallimento la società (Foron); in altri casi infine, quando il concorrente dell’Est aveva un forte potere di mercato, si decise che quel potere violava la concorrenza e si fece liquidare la società (Vereinigte Transport).

E mentre sotto il profilo ideologico gran parte della demonizzazione della Rdt era (ed è) giocata sulla sua equiparazione alla dittatura nazista, all’atto pratico l’ostracismo nei confronti degli ex funzionari della Rdt fu incomparabilmente maggiore di quanto fu fatto in Germania Occidentale dopo la seconda guerra mondiale nei confronti degli ex nazisti. (posizioni nel Kindle 1671-1675). Imprimatur. Edizione del Kindle.

Ralph Hartmann stima che, «dei circa due milioni di cittadini laureati o con istruzione specialistica superiore – 400.000 dei quali erano già in pensione – oltre un milione di persone», tra cui noti scienziati, ricercatori, insegnanti, artisti stimati, diplomatici esperti, traduttori ecc., «furono emarginati dalla vita lavorativa». Altre centinaia di migliaia dovettero accettare lavori a minore qualificazione e peggio retribuiti.

Una cosa è certa: pressoché tutte le carriere politiche nella Germania unita di ex cittadini della Rdt sono state costruite sull’«adattamento». Come ha osservato un conservatore come Alexander Gauland (oggi tra i maggiori esponenti del partito di destra Alternativa per la Germania), in tutti questi casi «soltanto il successo nella politica occidentale legittima la biografia dell’Est, le loro esperienze non hanno un valore in sé».

E in effetti nel 1997 in tutta la Germania nelle istituzioni scientifiche soltanto il 7,3 per cento delle posizioni era ricoperto da personale dell’Est. Nel 2000, su 107 istituzioni scientifiche nei nuovi Länder soltanto 7 erano dirette da ex cittadini della Repubblica Democratica Tedesca. Nel 2004 fu il sistema degli asili della Rdt a ricevere un importante riconoscimento, questa volta da parte dell’Ocse, che rilevò come la percentuale dei bambini sotto i 3 anni ospitati negli asili nido fosse molto più elevata che all’Ovest.

Ma c’è un altro fenomeno che balza agli occhi con immediata evidenza a chiunque visiti i territori che furono la Germania Est: lo spopolamento delle città, e di gran parte di quelli che erano stati centri industriali. Le imprese della Germania Ovest, grazie all’unione monetaria prima, e all’unificazione politica poi, si trovarono spalancato un mercato di oltre 16 milioni di abitanti. Il D-Day, o meglio il DM-Day, fu il 1° luglio del 1990. E non soltanto perché i cittadini della Germania Est con i marchi appena cambiati comprarono prodotti dell’Ovest, ma perché – come abbiamo visto sopra – il rapporto di conversione mise completamente fuori mercato i prodotti dell’Est.

L’impoverimento della popolazione i cinque nuovi Länder della Germania hanno richiesto un flusso di trasferimenti monetari per sostenerne le condizioni di vita, finanziando con soldi pubblici l’appropriazione privata delle risorse della RDT.

La deindustrializzazione della Germania Est ha privato i cinque nuovi Länder della Germania di uno sviluppo in grado di autosostenersi, ossia li ha resi dipendenti dall’«esterno» (e in primis ovviamente dai vecchi Länder) quanto ai beni e servizi in grado di soddisfare la domanda interna. Li ha cioè resi dipendenti dai trasferimenti federali, ossia dai trasferimenti Ovest-Est.  Oggi i due terzi dei trasferimenti sono rappresentati non da investimenti, ma da sostegni al reddito di vario tipo. Essi servono in primo luogo a colmare lo squilibrio tra produzione e consumo creato dalle modalità dell’unificazione, ossia, in ultima analisi, a finanziare l’acquisto da parte di cittadini dell’Est di merci prodotte all’Ovest.

Oggi alla data del 4 luglio 2024.

Secondo rapporti e studi recenti, pubblicati proprio oggi 3 luglio dal governo di Berlino e dall’istituto Ifo risulta che il reddito medio disponibile di una famiglia privata nella Germania orientale è ancora inferiore dell’undici per cento rispetto a quello di una famiglia dell’ovest. È inoltre un dato di fatto, e questo lo ha anche confermato il commissario Schneider, che ad Est una percentuale maggiore di persone nelle regioni rurali della Germania orientale vive in un ambiente caratterizzato da una popolazione stagnante o in calo e da un numero inferiore di strutture e servizi di interesse generale. Secondo altri studi, tra il 1991 e il 2021 circa quattro milioni di tedeschi orientali sono emigrati nei Länder occidentali, nell’ex territorio federale, per lo più giovani adulti tra i 18 e i 29 anni. Solo 2,8 milioni di persone si sono spostate nella direzione opposta. Inoltre, l’immigrazione dall’estero verso l’Est è stata minore. Infine va ricordato che secondo l’ultimo censimento in Germania vivono circa 84 milioni di persone. Nei 5 Länder orientali della Germania vivono circa 12,6 milioni di persone, solo nel Land occidentale del Nord Reno-Vestfalia, invece, vivono circa 18 milioni di persone. Basta questo dato per comprendere le profonde differenze nella distribuzione della ricchezza, dei servizi e dei sussidi sociali6.

Chi si arricchisce in questo processo?

Negli anni immediatamente successivi all’unificazione i profitti delle società di capitali (in particolare società per azioni e società a responsabilità limitata) crebbero all’Ovest del 75 per cento. Il patrimonio delle imprese dell’Ovest crebbe di 300 miliardi di marchi dal 1989 al 1991  Il numero dei milionari crebbe del 40 per cento dal 1989 al 1992. Ma più in generale la ricchezza delle famiglie conobbe un’impennata senza precedenti. Dal 1983 al 1988 la ricchezza mobiliare dei tedeschi dell’Ovest era cresciuta da 796 miliardi di marchi a 987, e quella immobiliare dai 2.805 miliardi ai 2.894 miliardi. Dal 1988 al 1993, secondo uno studio dell’Università di Francoforte, compie un vero e proprio balzo, raddoppiando in soli 5 anni: la ricchezza mobiliare passa a 1.850 miliardi e quella immobiliare a 5.312. Ancora in crescita, seppure più contenuta, sarà nel quinquennio successivo: i valori che troviamo nel 1998 sono infatti, rispettivamente, di 2.110 e 5.537 miliardi.

Questa serie di citazioni dal libro di Giacché che non rende conto della ricchezza e completezza di informazioni, è sufficiente comunque a rendere conto delle caratteristiche reali dell’unificazione tedesca. L’eredità di quell’annessione è oggi anche l’esplosione elettorale della AFD nei cinque Länder orientali, ma di ciò non ci si deve stupire.

Il modello economico-sociale tedesco uscito trionfalmente dalla fine dell’URSS e della unificazione ha toccato tutti i suoi limiti, così come le strategie economiche e strategiche europee di cui la Germania è stata il cuore in Europa, in un contesto globale radicalmente mutato.

L’introduzione del Nuovo patto di stabilità7 non muta sostanzialmente il regime di gestione del debito dei paesi dell’UE: se ne proietta le scadenze su più anni ne introduce altri ancora più cogenti. Su questo varrà la pena fare una analisi puntuale alla luce degli eventi degli ultimi mesi e la mancanza di strategie unitarie da parte dei principali paesi dell’Unione e dei 27 nel loro complesso.

Di sicuro si apre un periodo di trasformazione ulteriore dei regimi politici nei paesi europei, in nome delle diverse emergenze e crisi che si intrecciano e collidono tra loro, un processo che mostra esiti di segno autoritario anche nelle proposte della presidenza della Commessione Europea, mentre al di là della fumosità dei progetti di armamento, i famosi 800 miliardi, si apre indubbiamente un periodo di tagli della spesa sociale, mentre le classi lavoratrici sono chiamate a pagare il costo delle transizioni in corso.

Quale controllo popolare e partecipazione democratica nei confronti dell’uso della forza da parte delle istituzioni statuali?

Si sente quindi la necessità di un movimento di lotta sociale, la costruzione di un programma politico che attraversi tutte le specificità nazionali, ma trovi terreni di confronto e di unità di programma, di lotta e di organizzazione. La questione del monopolio della forza da parte degli apparati statali a fronte dell’irrigidimento dei dispositivi e delle norme di gestione della ‘sicurezza interna’ -vedi le norme sui migranti- e sul piano esterno con la crescita degli investimenti militari ed il loro ruolo nella regolazione dei conflitti, si pone nei termini di cosa possa essere il controllo popolare, la partecipazione democratica nei confronti di questi apparati e di queste politiche. Non è questione che si possa eludere.

Roberto Rosso

  1. https://www.nytimes.com/2025/03/18/world/europe/germany-debt-brake.html []
  2. https://www.dw.com/en/what-is-germanys-debt-brake/a-67587332  []
  3. https://www.lifegate.it/crisi-greca-date-storia-riassunto  Nonostante il voto popolare, che rappresenta per lui una vittoria politica interna, Tsipras non riesce ad avere la meglio nel difficile confronto con i creditori. Nella notte tra il 12 e il 13 luglio 2015, dopo 17 ore ininterrotte di negoziati, l’Eurozona dà il via libera al terzo piano di aiuti alla Grecia, approvato ad agosto. Un’iniezione di altri 86 miliardi di euro, che fa lievitare il totale fino a 326 miliardi: la più grande operazione di salvataggio di sempre. Particolarmente dure, anche in questo caso, le richieste: aumento dell’Iva, riforma delle pensioni, nuove leggi sul lavoro e incremento delle imposte indirette. Ciò comporta una scissione interna al partito di governo, Syriza, che porta alla convocazione di nuove elezioni politiche per il 30 settembre 2015. La tornata elettorale si conclude con una nuova vittoria del presidente uscente Tsipras.[]
  4. https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_economica_della_Grecia []
  5. https://www.eunews.it/2015/06/27/per-la-sovranita-e-la-dignita-della-grecia-il-discorso-di-tsipras-per-il-referendum/ []
  6. https://www1.wdr.de/radio/cosmo/programm/sendungen/radio-colonia/il-tema/est-ovest-differenze-100.html  []
  7. https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20240419IPR20583/patto-di-stabilita-i-deputati-approvano-le-nuove-regole-di-bilancio https://lavoce.info/archives/104524/il-patto-che-non-ce/ []
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