Sono giorni, che dico tempi, nei quali se si leggono i principali quotidiani sembra che i ministri del governo Meloni, in particolare Nordio, Piantedosi, Salvini siano sotto accusa vuoi per la strage di Cutro, vuoi per Alfredo Cospito, e siamo noi estremisti, a tratti la sinistra anche quella che non lo è, gli ingrati.
Dal nostro punto di vista sono sotto pericoloso attacco i diritti di libertà, difesa del diritto al lavoro, alla casa e alla libertà di riunione, incontro, non più tanto velatamente.
Affermare come fa il governo Meloni l’idea della giustizia che non si piega, anzi che restaura il ruolo dello Stato patriarcale, cattivo e rigido con lo scopo di tirar su i cittadini come figli da educare a senso unico, è una mira non più nascosta.
Vorrei narrare confrontandole col presente percorsi di 20 e più anni fa, come stimolo, fra i tanti, per non far tornare indietro l’orologio delle condizioni di detenzione e delle prospettive di vita dei detenuti.
Il 2022 ha visto il record di 84 suicidi, mai così tanti, numerosi anche fra gli agenti di polizia penitenziaria. Il 2023 ha evidenziato la tragica protesta di Alfredo Cospito contro l’attribuzione impropria dell’art. 41 bis alla sua persona come a tante altri detenuti, mentre la vita dei migranti, rifugiati e di tutti coloro che tentano di abbandonare mondi di fame e guerra si immiserisce nella ormai dichiarata ostilità del governo Meloni.
Si tratta di raccontare, non riesumare, le esperienze che hanno visto luce per me nelle Marche, in rete con molte altre regioni, che hanno il loro fondamento ideologico e metodologico nelle grandi lotte civili degli anni ‘80, attraverso le conquiste di Basaglia e Fagioli nella psichiatria, al divorzio all’aborto al femminismo tutto.
Nel 2000 ero responsabile regionale dello stato sociale di Rifondazione Comunista e mi è stato chiesto di interessarmi della distribuzione del metadone nel carcere di Ascoli Piceno.
Non si prospettava, ad un militante “dedito” ma privo di esperienza, un lavoro facile, da svolgere senza tentazioni di esaltare né trascurare la sofferenza dei ristretti rispetto alla vita che conducevo.
Per rispondere alle richieste di chiarimento sulla somministrazione del metadone non è sufficiente presentare una domanda ad un ufficio del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria regionale come privato cittadino o come associazione. Al di là dell’uso della stampa per la denuncia è stato necessario rivolgersi alle amministrazioni più accessibili, come il Centro Servizi Volontariato al quale afferiscono tutte le esperienze rivolte agli ultimi della società, ed alla Regione Marche, ai suoi servizi sociali.
Nel frattempo approfittai della disponibilità dell’onorevole Maria Lenti, deputata di Rifondazione Comunista per visitare il carcere di Fossombrone il 15 agosto all’interno della campagna di Antigone. Entrare in carcere per la prima volta il giorno di Ferragosto, dedicato alle scampagnate per eccellenza, è stata un’esperienza che ha dato i seguenti risultati: l’approccio con la struttura panottica di massimo controllo dei movimenti dei detenuti, la conoscenza poi approfondita con alcuni agenti sindacalizzati, la conoscenza con il cappellano, antesignano dell’assistenza, figura non sempre comoda per le autorità e di grande formazione per noi, la costituzione del primo nucleo di lavoro legato alla nostra formazione politica.
Fin da quei giorni la lezione è stata questa: la giustizia è politica, di conseguenza una formazione politica di sinistra e comunista deve saperlo sempre, deve costruire un agire e un sapere di classe proprio su questi terreni sdrucciolevoli, nei quali il perbenismo e il giustizialismo, il bisogno di sicurezza indotta si accompagna all’ignoranza, all’ostacolo dei diritti, alla criminalizzazione delle lotte e della povertà, alla distruzione dei servizi sociali, di prossimità e di pubblica istruzione.
I primi anni del 2000 beneficiavano di leggi quadro nel campo dell’assistenza sociale, ormai lontane dal pensiero odierno.
Cominciamo con la 328/2000 (Turco-Signorino), pur limitata dalla distinzione nei fatti fra servizi esigibili e meno, sussidiarietà orizzontale invece che verticale, e i susseguenti piani socio-assistenziali.
Poi la riforma Bindi della sanità, 229/99, la cui importanza risiede nel tentativo di regolamentare le prestazioni mediche pubbliche e private; seguirà la 230/99, cioè il passaggio della sanità da penitenziaria a parte integrante di quella pubblica.
Vediamone le carenze in breve: la prima non ha sciolto tutti i limiti sulle professioni intramurarie ed extramurarie dei medici, a causa del potere patriarcali delle loro lobby, ma nell’impostazione aveva buttato giù dei muri nella mente di chi esercitava la professione e di chi ne usufruiva; le motivazioni di questi passaggi sono tutt’ora portate avanti dalle associazioni degli utenti, come il Gruppo Solidarietà di Moie (Ancona).
Il passaggio da penitenziaria a sanitaria è avvenuto negli anni seguenti e ha ancora passaggi incompleti. Ci sono molti punti bui, nella regolamentazione delle professioni di assistenti, psicologi ed altro.
In aiuto ora dovrebbe correre il DDL Mirabelli, sulle figure pedagogiche, ma si è arenato con la fine del governo Draghi.
Le carceri nelle Marche attorno al 2000 erano 6, 2 di reclusione e 4 circondariale (ora private di Camerino per via del terremoto del 2016 e di Macerata Feltria, carcere fattoria chiuso in seguito alla spending review); 936 i detenuti presenti, a fronte di 752 posti regolamentari e 1067 “tollerabili” (oggi 836 su 828 regolamentari, gli agenti 591 su 626, 6 istituti, molti detenuti trasferiti in altre regioni, e una REMS).
Se il sovraffollamento e le strutture inadatte spesso ad attività nelle carceri erano problema evidente, la penuria di personale penitenziario aggravava il quadro. Non molto differente da oggi, 20 anni dopo, con l’aggravante di una ridotta capacità organizzativa della sinistra, di un’offensiva della destra e di una ridotta attività di rete che utilizzi al meglio come forza di pressione sul ministero le attività culturali e pedagogiche all’interno delle sbarre, attività peraltro riconosciute da successi nazionali e internazionali come crescita reciproca fra ristretti e liberi.
Per capire la vita nel carcere e permettergli di svolgere almeno in parte la sua funzione di “recupero e reinserimento” bisogna lavorare sul carcere come è percepito dall’esterno, da chi non ha “problemi con la giustizia” e il carcere significa vita dei detenuti, dei parenti, degli agenti di polizia penitenziaria, degli operatori volontari nei luoghi di pena, dei sanitari, di chi passa la giornata dietro i cancelli e se può uscire si porta la galera con sé.
Qualcosa iniziò a muoversi nelle Marche nel 2001 quando la Regione firmò il Protocollo con il Ministero della Giustizia su spinta della Conferenza Regionale Giustizia Volontariato (l’Osservatorio permanente sulle carceri, la Caritas, Officina, Senza Confine e molte altre associazioni). Questo protocollo avrebbe portato alla legge n. 28 del 2008 sulle Misure relative alle persone private di libertà, legge che si sarebbe intrecciata con le iniziative narrate nell’articolo Il pane e le rose.
È di quell’anno il bando che erogava 200.000 € per la formazione in luogo di lavoro ed in carcere di 10 detenuti a fine pena, che permetteva anche la possibilità di inserire un accordo che tutelasse il ritorno in patria dei detenuti migranti, grazie ad un progetto dell’ARCI.
L’esperienza dei volontari che ci avevano preceduto ci insegnava a fornire le strutture per operare con proprietà, altrimenti si rischia di compiere danni gravi, dai quali non siamo stati esenti. Ricordo quanto più forte di me fu un detenuto algerino al quale avevo detto, per volergli stare vicino, cose che avrei fatto bene a tenere per me. Ma il legame fra varie azioni di accoglienza, non integrazione, nei confronti dei migranti salivano di livello e quantità, perché l’aria soffia altra aria.
Due comunque i pericoli con la precarietà del terzo settore: da una parte il mancato compimento del risultato perché la parte economica concessa dal pubblico non è sufficiente, e la parte che deve pagare il cittadino è troppo alta per lui. L’altro corno del problema è la crescita di cooperative che, per poter stare sul mercato, forniscono poi servizi di insufficiente entità, quando non entrano sul mercato snaturando la loro ragione.
Su queste problematiche la nostra regione vedeva già all’opera il Gruppo Solidarietà di Moie (Ancona) tutt’ora spina nel fianco delle amministrazioni regionali, sempre più portate a costruire grandi strutture dove inserire pazienti bisognosi di differenziazioni come di cure a domicilio. La nostra collaborazione, come sinistre e associazioni a 20 anni di distanze è tutt’ora viva.
I punti che ci mettono in contrasto con lo Stato sono, allora come oggi, quelli ideologici che hanno pesanti ricadute sulla vita in carcere e sulla difficoltà di costruzione di massa critica. Vediamoli assieme.
Limitando i diritti dei detenuti, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione, lo stato spende più soldi senza raggiungere altro obiettivo che distruggere le connessioni fra classi ed individui.
Avevamo a che fare col paradosso che il luogo in cui si chiudevano le persone che hanno violato le regole sociali, fosse un luogo che a sua volta viola le regole.
Si dimenticavano gli impegni costituzionali perché in quegli anni stava cambiando qualcosa di più profondo: il carcere e la pena stanno tornando ad essere strumenti di controllo sociale. Le osservazioni dei primi anni 2000 le ritroviamo aggravate ora: una società che genera esclusione, squilibri sociali, nuove povertà, forme di disagio e allo stesso tempo frantumazione sociale ed isolamento, e quindi paura-sindrome securitaria, da una parte fa la fortuna del mercato della sicurezza, dall’altra trova nel carcere un luogo di compressione.
Con l’indulto nel 2006 tanta gente era uscita ma gli uffici dei servizi sociali non l’avevano vista.
Per i volontari furono giorni difficili perché furono chiamati per tante esigenze, soldi, biglietti, accompagnamenti, a sostituire i servizi sociali totalmente impreparati all’evenienza.
Il rientro in carcere, quando queste si erano svuotate da 58.000 presenze a 32.000, fu causato dalle leggi Cirielli sull’accumulo di recidiva e dalla Fini-Giovanardi sulle droghe.
Altro problema: si è pensato che l’indulto avrebbe ridotto le spese e così si sono tagliati i fondi alle carceri, ad esempio l’assistenza sanitaria. In altri casi si è agito così: meno detenuti, meno sezioni, così gli stessi sono stati accorpati e compressi.
La differenza fra il 68% di tasso di recidiva fra coloro che non avevano usufruito di misure alternative e il 21% di coloro che ne avevano usufruito veniva annullato dalla stampa, anche se la Corte dei Conti asseriva che l’80% delle spese nella Giustizia erano per la repressione.
Nei vari tour sia come Osservatorio che come Rifondazione Comunista, ad Ascoli Piceno, Fano, Ancona, attraverso proiezioni cinematografiche, mostre di oggetti di falegnameria accoppiate ad artigianato prodotto fuori dal carcere, aprendo negozi per reclamizzare questi prodotti, legati anche al riciclaggio di materie prime e seconde.
Fra i libri presentati in collaborazione ricordiamo Camosci e girachiavi di Christian De Vito, Giustizia relativa e pena assoluta di Silvia Cecchi, PM di Pesaro, La chiave di cioccolata di Enrichetta Vilella, direttrice del settore trattamentale della Casa circondariale di Pesaro, Abolire il carcere di Luigi Manconi, oltre a tante opere prodotte tra le sbarre.
Gli incontri con più sorprese? Susanna Ronconi presidente del Comitato scientifico di Forum Droghe, dopo avere parlato assieme a noi in una libreria di Ascoli Piceno, si è sentita rispondere dall’allora direttrice del carcere che non solo aveva ragione, ma ci sarebbe stato da dire di più sulla natura totalizzante delle istituzioni.
Ad Ancona ho scelto di leggere in un’iniziativa uno scritto di Graziano Scialpi, fumettista di Due Palazzi di Padova, deceduto di tumore non diagnosticato nonostante sintomi pesanti.
Nel 2001 c’è stata la prima iniziativa pubblica, “Il carcere trasparente”, con Stefano Anastasia, Giovanni Russo Spena e Maria Lenti, ha visto aggirarsi nel pubblico figure d’apparato riconoscibili. Evidentemente stavamo cogliendo nel segno.
Durante il giro di visite nelle carceri iniziato nel 2001 abbiamo rivisto compagni ed amici che da tempo lavoravano “dentro” sotto varie forme, e si è costituita l’associazione Osservatorio permanente sulle carceri.
Tre di noi “osservatori” si sono associati ad Antigone e nel 2003 abbiamo contribuito a redigere il rapporto di quell’anno. La nostra associazione otteneva il finanziamento per un progetto, “Punto d’incontro”, ripreso da Padova, sull’autotutela del detenuto dal punto di vista sanitario, approvata dal DAP.
È stata la prima esperienza per molti di noi, ed un risultato incoraggiante come coinvolgimento di strutture e detenuti.
Due le carenze:
- a Fermo la direzione trattamentale ha selezionato i detenuti, impedendo loro la libera scelta di adesione ed in seguito è stato rifiutato dalla direzione sanitaria l’esame comune delle nostre rilevazioni;
- il rapporto finale, con pubblicazione e riscontri pubblici, non sono stati portati a termine per nostre oggettive insufficienze umane ed organizzative. Il doppio ruolo di alcuni di noi come componenti dell’osservatorio e dipendenti della regione è stata ragione di ostacolo e più tardi di pressioni nei confronti dei dipendenti stessi.
L’Osservatorio nel frattempo ha continuato le sue attività soprattutto nella zona di Pesaro, per maggior concentrazione di soci che lavorano in penitenziario o presso strutture alternative (Casa Paci).
È stato poi aperto lo Sportello Stranieri, con informazione legale, ora sostenuto dal 2010 da Antigone Marche su tutto il territorio regionale e un laboratorio di falegnameria più tardi chiuso per volere delle direzioni sia a Pesaro che ad Ancona.
Molti di noi sono confluiti anche nella Rete di associazioni “Rete Migranti Diritti Ora!”.
Da giugno 2005 è stato ripreso il giro di ispezione delle carceri finalizzato a sondare il terreno anche rispetto alla proposta di Garante delle persone private di libertà.
A Fermo come Osservatorio nel 2003 avevamo aperto durante il progetto “Punto d’incontro” un protocollo con l’Amb. 19, dal quale è derivata “La chiave”, rassegna tutt’ora esistente.
Per l’Osservatorio rimane fondamentale il lavoro personale fatto nelle varie strutture di base ma diventa sempre più importante quello di collegamento in rete con chi lavora in situazioni analoghe, perché solo provando che si possono costruire esempi di amministrazione diversa dall’esistente si ha la possibilità di influenzare le istituzioni. L’appartenenza alla “Rete Migranti Diritti Ora!” dei migranti marchigiani ne è un esempio.
Questa la storia fino al 2010, quando una buona parte di noi confluì in Antigone Marche, che prosegue la sua attività di sportello e di iniziative culturali su tutto il territorio regionale.
Ma… ci sarà un seguito. Gli scambi d’opinione, gli screzi fra vecchi e nuovi, hanno dato vita, dopo che alcune osservazioni raccolte in “Punto d’incontro” con i detenuti a proposito della salute, sono state raccolte dalla Commissione Ruotolo istituita nel 2021 dalla ministra Cartabia sulle nuove norme di regolamento penitenziario, al contrasto con i successi artistici di chi ha potuto esprimersi in attività artistiche e non solo, come riportato in “Il pane e le rose”.
Per uscirne vivi senza “primi della classe”e “lavoratori nel buio”, abbatteremo in primavera le distanze costituite soprattutto da non conoscenza reciproca. L’insegnamento.
Siamo partiti dall’ago, tristemente noto in molte droghe, ma il filo non si è interrotto.
Marcello Maria Pesarini