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Crisi peggio del 2008, sospendere il Patto di stabilità e crescita

di Angelina
Mauro

di Angelina Mauro – da huffingtonpost.it

Intervista a Joseph Stiglitz: “Che si debba morire per rispettare regole arbitrarie mi sembra eccessivo”. Ma, dice il Nobel, c’è da “imparare” dal coronavirus, che non premia la destra e Trump

Nobel Prize winner American economist and a professor at Columbia University Joseph E. Stiglitz during...
Nobel Prize winner American economist and a professor at Columbia University Joseph E. Stiglitz during his presentation entitled “Can Illiberal Democracies Create Shared and Sustained Prosperity?” at the Danube Palace in Budapest, Hungary, Monday, Nov. 10, 2014. (AP Photo/MTI, Attila Kovacs)

“Andrebbe sospeso il Patto di stabilità e crescita. Con l’emergenza che sta attraversando, non puoi dire all’Italia: ‘No, non puoi costruire gli ospedali perché sfori sul bilancio’. Questa è una questione di vita o di morte per molti italiani. Non puoi mettere a rischio gli italiani solo per difendere delle regole che, tra l’altro, non hanno mai avuto giustificazioni economiche. Sono arbitrarie. Che qualcuno debba addirittura morire per rispettare questi numeri mi sembra davvero eccessivo”.

Joseph Stiglitz pensa che Covid-19 ci consegnerà una crisi economica “peggiore del 2008: almeno allora sapevamo cosa fare…”. Brividi. Ma, aggiunge il premio Nobel per l’Economia che intervistiamo al telefono da New York mentre in Italia esce il suo ultimo libro ’People, power and profits: Progressive Capitalism for an Age of Discontent’, il coronavirus è un’emergenza che potrebbe anche darci delle lezioni positive, ammesso che le sappiamo imparare, come l’importanza delle “connessioni” tra Stati nell’epoca della globalizzazione, della “azione collettiva” e della “scienza”. Soprattutto, argomenta, è un’emergenza che non fa bene all’estrema destra, “che ha una filosofia di base non adatta a rispondere ad una sfida come questa”, e potrebbe anche fermare Donald Trump, alle prossime presidenziali Usa.

Professor Stiglitz, partiamo dal suo nuovo libro ‘People, power and profits’. Lei sostiene che c’è un modo per costruire una forma di capitalismo progressivo: resta della stessa idea alla luce della nuova emergenza coronavirus?

Sì, a maggior ragione. Le regole dell’economia di mercato devono essere cambiate. Bisognerebbe dotarsi di regole che rompano i monopoli, che prevengano gli squilibri tra lavoratori e i giganti del mercato, bisognerebbe costruire l’azione collettiva, a partire da quella dei governi, e protezioni sociali. Tutto questo ha molto a che fare con l’emergenza Covid-19. Di fronte ad una crisi di questo genere, tutti guardiamo ai governi nazionali e non al mercato. Vogliamo che il governo agisca, siamo preoccupati per la diffusione del virus, vogliamo che il governo ci garantisca la ricerca scientifica per uscire da questa emergenza. Una delle cose più disarmanti che sia accaduta negli Stati Uniti con l’amministrazione Trump, è il modo in cui il presidente ha privato di fondi il Centro per il controllo delle malattie, in particolare la sezione che si occupa della ricerca sulle malattie che si trasmettono dagli animali agli umani. Trump ha deliberatamente privato di fondi la ricerca che poteva essere utile sul coronavirus. Inoltre, in queste emergenze chiediamo ai governi un’azione collettiva per poterci curare negli ospedali e per affrontare le conseguenze sull’economia: si pensi alle persone che perderanno il lavoro o che guadagneranno meno. Abbiamo bisogno di un sistema capitalistico progressivo proprio per affrontare la crisi che stiamo attraversando oggi. Il capitalismo come lo conosciamo oggi ci ha reso incapaci di rispondere ad una sfida del genere.

Conseguenze sulle presidenziali 2020 negli Usa: il coronavirus può battere Trump?

Trump ha sempre detto che la crisi economica è stata colpa di Obama o addirittura di Bush e sostiene di aver vinto per questo motivo. Ma ora dovrà assumersi le sue responsabilità per il crollo della borsa. Gli Stati Uniti non sono preparati per rispondere e lui ha risposto in maniera così mediocre, mentre avrebbe dovuto agire. Negli Stati Uniti stanno testando meno persone che in Corea del sud e i test non sono affidabili perché lui ha tolto i fondi al Centro per il controllo delle malattie. Trump ha reso l’America più vulnerabile. Ora: gli Stati Uniti sono un paese strano, ci sono gruppi sociali che voterebbero Trump a prescindere. Ma penso che la stragrande maggioranza degli americani si renderà conto delle responsabilità di un presidente e di un’amministrazione indecenti, che negano il ruolo della cooperazione globale, incompetenti.

Siamo di fronte ad una crisi economica come quella del 2008 o peggiore?

Penso che sia peggio sotto diversi aspetti. Nel 2008 abbiamo avuto una crisi di tipo finanziario: all’inizio non ne abbiamo capito bene la natura ma tanti economisti l’hanno diagnosticata, hanno avvertito su ciò che andava fatto. Insomma, abbiamo per lo meno capito cosa fare, anche chi ha contribuito a creare la crisi l’ha capito, anche se poi non abbiamo imparato la lezione della crisi. La crisi attuale invece è più complicata. Non è una crisi finanziaria, ma una vera crisi che tocca il sistema di domanda e offerta. La politica monetaria da sola non sarà sufficiente perché i tassi di interesse in Europa sono già bassi, prossimi allo zero. Stessa cosa negli Stati Uniti. L’interrogativo allora è: funzionerà invece la politica fiscale? Ci troveremo di fronte ad uno shock sia della domanda che dell’offerta. Se si interrompe la catena dell’offerta, un aumento della domanda non risolve il problema. Ci sono tante cose che dovremo fare ma vanno tagliate su misura. Per esempio, dobbiamo aumentare la disponibilità di tamponi, sostenere economicamente i lavoratori costretti a non andare al lavoro, le piccole imprese che rischiano la bancarotta, i tassisti che vedranno crollare i loro guadagni, sostenere gli impiegati che perderanno il lavoro. Serve una politica fiscale più mirata di quella che serva ad affrontare una normale crisi economica. In più, negli Stati Uniti dobbiamo assicurarci che la gente possa andare negli ospedali: oggi non ci vanno perché hanno paura di dover pagare pesanti parcelle, i ‘latinos’ non ci vanno perché hanno paura di essere espulsi dagli Stati Uniti, il che significa che dobbiamo cambiare la nostra politica sull’immigrazione. In particolare negli Usa serve una politica sociale e non una politica fiscale di tipo convenzionale.

E come giudica la risposta dell’Unione Europea? Bruxelles sembra disponibile ad accordare all’Italia ulteriore flessibilità di bilancio per far fronte alla nuova emergenza. Eppure, nemmeno il coronavirus sembra sbloccare la discussione sulla revisione del Patto di stabilità e crescita, timidamente iniziata un mese fa. Cosa ne pensa?

Io penso che andrebbe sospeso il Patto di stabilità e crescita. Non puoi dire all’Italia, con l’emergenza che sta attraversando, ‘No, non puoi costruire gli ospedali perché sfori sul bilancio’. Questa è una questione di vita o di morte per molti italiani. Non puoi mettere a rischio gli italiani solo per difendere delle regole che tra l’altro non hanno mai avuto giustificazioni economiche. Il 3 per cento del rapporto deficit-pil, il 60 per cento del rapporto debito-pil sono sempre stati numeri arbitrari che hanno costretto la crescita dell’Italia, paese che già prima di questa crisi aveva problemi col bilancio. Ora, dire che qualcuno debba addirittura morire per rispettare questi numeri mi sembra davvero eccessivo. L’Unione Europea si è già dimostrata inconsistente, annunciando il ‘Green deal’ e chiedendo ai governi nazionali di investire nell’economia verde, pur mantenendo le stesse regole. Occorre invece sbarazzarsi dei criteri del Patto di stabilità e crescita, eliminare la regola del 3 per cento e sostituirla con una regola che semplicemente incoraggi gli investimenti nell’economia verde. A maggior ragione ora che abbiamo davanti questa emergenza legata al coronavirus: è ovvio che bisogna sospendere e riformulare le regole.

Il coronavirus è una sfida per l’Ue di gran lunga più insidiosa dell’immigrazione, che ha già sfigurato l’Unione frammentandola a seconda degli interessi nazionali. Ci sono da qualche parte gli anticorpi affinché l’Ue sopravviva a Covid-19?

Penso di sì. Alla fine si metteranno insieme a cooperare. La butto lì come provocazione: l’immigrazione richiedeva una risposta europea in termini di accoglienza. In questo caso la risposta è l’esatto contrario: bisogna contenere le persone, mantenerle all’interno dei confini. Quindi la naturale propensione nazionalistica dell’Europa potrebbe aiutare a contenere il virus (ride). Ma è necessaria cooperazione. Una delle prime risposte dell’Ue è stata: non possiamo sospendere Schengen. Mi ha molto colpito perchè è una risposta sbagliata. Il principio della libera circolazione nel sistema Schengen è importante ma il principio del contenimento dell’epidemia è ancora più importante. Dunque direi che la risposta iniziale di non voler sospendere Schengen inquadra le cose in maniera sbagliata. Siamo di fronte a qualcosa di unico, non significa che dobbiamo diventare nazionalisti ma significa proteggere la popolazione.

Quali effetti prevede sulla politica europea? Il coronavirus può dar fiato ai movimenti euroscettici e nazionalisti, come la Lega di Salvini e affini?

Il coronavirus avrà effetti dirompenti sulla politica. In generale però l’estrema destra, che è sempre stata contro la scienza e contro l’azione collettiva, non vive un momento fortunato. Questo è il momento in cui c’è bisogno della scienza, c’è bisogno di azione collettiva, cooperazione. La filosofia di base dell’estrema destra non è adatta a rispondere ad una sfida come questa. E poi l’estrema destra ha sempre sfruttato le paure della gente. Questo è un momento di grande paura ma la gente cerca anche risposte razionali o almeno lo spero.

Però è vero che il coronavirus mette alle strette le democrazie liberali. In Italia in molti invocano il modello cinese: tutti chiusi in casa per imposizione dall’alto. Chi vince tra virus e democrazia?

Le democrazie liberali sono caratterizzate da due principi: la necessità di azione collettiva e poi il principio secondo cui la libertà di una persona può nuocere alla libertà di un’altra persona, come scrivo nel mio libro. Una democrazia liberale deve avere regole che garantiscano la libertà di tutti. Per dire: se non facciamo qualcosa sui cambiamenti climatici, intacchiamo la libertà degli altri. In Italia per esempio avete avuto anche il movimento dei ‘No vax’, quelli che non volevano vaccinare i loro bambini. Il vostro Stato ha risposto bene: se non vaccini il tuo bambino, potresti mettere a rischio la vita di un altro bambino. In Cina hanno costretto la gente a stare in casa. Ma lo hanno fatto anche in Corea del sud e sono riusciti a contenere il virus: eppure in Corea del sud c’è la democrazia. Questo ci dà speranza che una democrazia liberale ce la possa fare.

Che tipo di mondo ci lascerà il coronavirus?

Ci sono tre cose che potremmo imparare dal coronavirus. La prima: ci renderemo conto di quanto siamo interconnessi a livello globale, molto più di quanto pensassimo. Faccio l’esempio dei cambiamenti climatici: quando gli Stati Uniti inquinano, il resto del mondo soffre. Oppure: se la Cina non ha un buon sistema sanitario pubblico, il virus può distruggere il resto del mondo. Dobbiamo lavorare insieme sulla salute globale, l’ambiente globale, la conoscenza e la ricerca globali. Viviamo in un piccolo pianeta, ciò che succede in una regione ha effetti sulle altre. Per questo dico che il coronavirus impone quella cooperazione internazionale che Trump ha cercato di distruggere negli ultimi 4 anni. La seconda: potremmo imparare che la scienza è molto importante. Un presidente degli Stati Uniti che nega la scienza è davvero pericoloso. Si pensi a quanto sia importante la scienza per migliorare la vita di tutti! La terza cosa è l’azione collettiva. Ci renderemo conto che dobbiamo agire insieme, non possiamo muoverci ognuno per conto proprio, altrimenti avremmo di nuovo la peste nera. L’ideologia della destra liberale di ‘lasciar fare al mercato’ si dimostrerà inadeguata alla sfida.

Dunque, anche il coronavirus ha dei possibili risvolti positivi…

Sulla crisi del 2008 si diceva: ‘evitiamo di sprecarla’. Però poi l’abbiamo sprecata: non abbiamo imparato la lezione. Per questo motivo negli Stati Uniti ci sono molte aziende che si sono indebitate e il sistema non è tornato ai tempi pre-crisi. Così con Covid-19: ci sono delle lezioni che potremmo imparare, ma non è affatto certo che lo faremo.

Oltre al Covid-19, l’Europa si ritrova ad affrontare un’altra emergenza sul fronte immigrazione al confine tra Turchia e Grecia. Nel linguaggio delle istituzioni non risaltano più le parole ‘accoglienza’ o ‘redistribuzione’ nemmeno in linea teorica. Significa che di fatto ha vinto la ricetta sovranista?

Non penso. Voglio sperare che l’Europa non stia abbandonando il suo impegno per i diritti umani. Ma è comprensibile che in questo momento sia difficile gestire due crisi insieme. Erdogan in qualche modo ha causato la crisi attaccando la Siria. E Trump gli ha dato disco verde. Quando due figure autoritarie come Erdogan e Trump non pensano alle conseguenze delle loro azioni e impongono costi agli altri con la loro mancanza di umanità, gli altri si sentono legittimati a rispondere che non vogliono caricarsi di questi costi. Questo succede quando due figure autoritarie cercano di imporsi infischiandosene delle regole della democrazia.

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