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Comunisti israeliani e palestinesi confermano l’obbiettivo dei due Stati

di Franco
Ferrari

Comunisti israeliani e palestinesi confermano l’obbiettivo dei due Stati

Nelle scorse settimane si è tenuto a Ramallah, città sede dell’Autorità Nazionale palestinese  nei territori occupati da Israele, un incontro tra le delegazioni rappresentanti il Partito del Popolo Palestinese (nome assunto dal partito comunista all’inizio degli anni ’90), il Partito Comunista Israeliano e il Fronte Democratico per la Pace e l’Eguaglianza (Hadash), di cui il PC Israeliano è parte rilevante. Erano presenti il segretario generale del PPP, Bassam Al-Salihi, il segretario generale del PCI, Adel Amer, e il leader di Hadash, Issam Makhoul, oltre a tre parlamentari eletti alla Knesset: Ayman Odeh, Aida Touman-Sliman e Yousef Atawneh.
Come riferisce un comunicato,  “l’incontro ha passato in rassegna gli ultimi sviluppi politici e militari considerando l’attuale guerra e genocidio al quale è sottoposto il popolo palestinese, specialmente nella striscia di Gaza”.
Sono stati messi in evidenza i maggiori pericoli che attraversa la causa palestinese e le sfide dovute “all’aggressione e alle politiche del governo fascista di occupazione  israeliano e i suoi sforzi, insieme all’amministrazione degli Stati Uniti, per liquidare la causa e i diritti dei palestinesi. In particolare il diritto all’autodeterminazione, l’installazione di uno stato indipendente e il diritto al ritorno in accordo con le legittime risoluzioni internazionali”.
Le richieste immediate per fermare il genocidio sono “la rimozione dell’assedio della striscia di Gaza, l’apertura dei valichi e l’assicurazione di cibo, sanità e abitazioni per rispondere alle esigenze della popolazione”. A questo si aggiunge la cessazione dei crimini commessi dalle truppe israeliane nei territori palestinesi occupati.
Il PPP, il PCI e Hadash concordano sul fatto che il conflitto del popolo palestinese con l’occupazione costituisce una questione di liberazione nazionale e che una vera pace può essere raggiunta solo con l’ottenimenti della libertà e dell’indipendenza dello Stato di Palestina su tutti i territori occupati nel 1967 con Gerusalemme est come capitale.
Le tre formazioni politiche hanno concordato di mantenere stretti contatti e di intensificare tutte le forme di solidarietà con il popolo palestinese in cooperazione con i partiti e le forze amiche. Hanno anche concordato di collaborare per smascherare la narrazione sionista dell’occupazione e la manipolazione mediatica dello Stato israeliano, operando per rafforzare ed estendere il sostegno al popolo palestinese.
I comunisti israeliani sono impegnati in una difficile azione per una soluzione pacifica al conflitto in un contesto caratterizzato da un crescente e radicato razzismo tra gli ebrei israeliani e l’autoritarismo sempre più esplicito della destra e dell’estrema destra fascista al potere a Tel Aviv. Il sostegno garantito dagli Stati Uniti e, seppure in misura minore, dall’Unione Europea nel suo complesso e da diversi stati, come la Germania, all’occupazione dei territori e alle politiche genocide perseguite a Gaza, rendono sempre più difficile la costruzione di una soluzione politica che parta dal riconoscimento del diritto palestinese ad un proprio Stato.
Per ora l’unica forma di opposizione al governo di estrema destra guidato da Netanyahu è rappresentata dal movimento dei familiari dei rapiti da Hamas nella incursione in territorio israeliano del 7 e 8 ottobre dello scorso anno.
Il movimento, che ha più volte manifestato davanti all’abitazione di Netanyahu, chiede che si raggiunga un accordo per la liberazione degli ostaggi, anche se dopo mesi di bombardamenti indiscriminati sulla Striscia che hanno ucciso decine di migliaia di civili è difficile sapere quanti siano ancora vivi. Manifestazione si sono tenute in numerose città israeliane, compresa una protesta nel Kibbutz Ein Hahoresh contro il ministro fascista della “Sicurezza nazionale” Itamar Ben Gvir.

Nel pomeriggio di sabato 3 agosto si è tenuta una manifestazione unitaria di arabi ed ebrei contro la guerra a Umm al-Fahm, una cittadina di 45.000 abitanti, in gran parte arabi. Promossa dall’Alto Comitato che cura gli interessi dei cittadini arabi che vivono entro i confini di Israele antecedenti al 1967, discendenti di coloro che non erano fuggiti di fronte alla pulizia etnica e alle minacce di sterminio portate avanti dalle formazioni militari sioniste, ha aderito alla manifestazione la Peace Partnership, un’ampia coalizione di organizzazioni, gruppi, partiti e movimenti attivi contro la guerra, tra i quali Hadash e il Partito Comunista Israeliano. Gli slogan della manifestazione erano finalizzati a chiedere la fine della guerra e delle torture generalizzate messe in atto da Israele nei confronti delle decine di migliaia di detenuti palestinesi. Il sindaco di Umm Al-Fahm, Samir Mahamed, ha denunciato l’inerzia del mondo di fronte alla guerra distruttiva condotta da Israele a Gaza. La polizia è intervenuta con diversi arresti di manifestanti, tra i quali il locale segretario del Partito Comunista, Mourid Fareed, e ha sequestrato bandiere palestinesi.
Da parte sua il Partito del Popolo Palestinese ha ridefinito la propria strategia all’inizio del decennio e la ha confermata in un documento del suo comitato centrale approvato alla fine del 2020 e intitolato “verso una nuova via”. I comunisti dei territori occupati ritengono che la situazione aperta del Trattato di Oslo, che avevano sostenuto, sia ormai chiusa. Chiedono che si dichiarino decaduti tutti gli accordi con l’occupante, dato che risulta da tempo evidente che non vi è nessuna volontà di arrivare ad una soluzione pacifica del conflitto e al riconoscimento dei diritti nazionali dei palestinesi. Nel giugno del 2021 i comunisti sono usciti dal governo dell’Autorità nazionale palestinese, dominato da Fatah, e chiedono che torni ad essere protagonista della mobilitazione politica l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il cui ruolo è risultato molto depotenziato dopo gli accordi di Oslo e la formazione dell’Autorità nazionale, guidata da Mahmud Abbas successore di Arafat. Un’Autorità che risulta sempre più impotente di fronte alle azioni terroristiche messe in atto giornalmente dall’esercito israeliano e dai coloni installati illegittimamente sui territori palestinesi. Questi gruppi di ebrei violenti e fanatici sono l’espressione di un’ideologia razzista e suprematista che ricorda il Ku Klux Klan statunitense, organizzazione che promuoveva linciaggi e discriminazioni dei neri considerati “razza inferiore”.
I comunisti del PPP ritengono che il “progetto sionista” punti alla frammentazione e alla disintegrazione del popolo palestinese e alla negazione dei suoi legittimi diritti nazionali e per questo cerca di indebolire e cancellare la presenza dell’OLP come suo legittimo rappresentante. L’OLP rappresenta anche i palestinesi della diaspora e non solo quelli chi risiedono nei territori occupati nel 1967, come l’Autorità nazionale palestinese, che oltretutto è stata esclusa da Gaza con la presa del potere da parte di Hamas.
Il ruolo dell’Autorità che dovrebbe essere innanzitutto di rafforzare la lotta contro l’occupazione trova seri ostacoli dovuti alle limitazioni imposte dagli accordi con lo Stato occupante, ma anche dalle struttura che l’Autorità stessa ha sviluppato, dalla sua ridotta base di classe e dal suo fazionalismo.
L’obbiettivo centrale perseguito dal PPP è la costruzione di un ampio movimento popolare di lotta contro l’occupazione e per il boicottaggio di Israele attraverso la costruzione di una leadership unitaria delle maggiori forze politiche. Il partito impegna i propri militanti a partecipare alle azioni di resistenza, nella prospettiva di una vera e propria insurrezione nazionale, citando i casi positivi di Khan al-Ahmar, Kafr Qaddum, Salfit e Beit Dajan, località dei territori occupati.
In queste ore l’intero Medio oriente vive una situazione di grande preoccupazione a seguito degli omicidi mirati compiuti da Israele in Libano ed Iran, le incursioni militari in Siria e la prosecuzione del genocidio palestinese a Gaza (obbiettivo apertamente rivendicato da molti ministri del governo di Tel Aviv) e della continua persecuzione dei palestinesi della West Bank.

Si attende una reazione militare da parte dell’Iran, i cui termini al momento non sono definiti, con il possibile coinvolgimento di altre forze dei movimento di resistenza ad Israele e agli Stati Uniti presenti nella regione: Washington ha subito mobilitato le proprie forze armate per garantire l’impunità delle politiche dell’estrema destra israeliana.
Molti soggetti si sono mossi per cercare di disinnescare l’eventualità di un conflitto regionale di grandi dimensioni, anche se la leadership iraniana ha fatto sempre corrispondere alla retorica incendiaria atti molto più moderati. Accontentandosi in genere di “rappresentare” una reazione, più che di metterla realmente in atto, come è avvenuto con i droni e i missili “telefonati” su Israele, dopo il bombardamento dell’ambasciata in Siria. Un altro atto criminale di Israele rimasto impunito.
Il Partito Tudeh iraniano, che opera nell’illegalità a causa della repressione operata dal regime di Teheran, ha condannato il criminale assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e ritiene “che l’obbiettivo del governo razzista di Israele sia di espandere il conflitto in Medio oriente, in particolare trascinando la Repubblica Islamica in una guerra devastante, una guerra che indubbiamente servirebbe gli interessi a lungo termine dell’imperialismo nella regione”.
I comunisti iraniani mettono anche in evidenza come l’assassinio del leader palestinese attesti quanto sia estesa l’infiltrazione dei servizi di intelligence occidentali nell’apparato di sicurezza iraniano. Il regime islamico – aggiungono – riesce a dimostrare la propria “potenza securitaria” solo quando si tratta di proseguire la brutale e sanguinosa repressione dei dissidenti al proprio interno.

Franco Ferrari

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1 Commento. Nuovo commento

  • Luigi Porro
    11/08/2024 16:29

    Dopo l’assassinio di Rabin e la morte di Arafat, tutte le questioni in sospeso e gli stessi accordi sottoscritti nel trattato
    di Oslo, erano destinati al fallimento. Solo gli ingenui e le cosiddette persone di buona volontà speravano in una soluzione pacifica, La realtà o come viene definita in gergo, la Realpolitik faceva presagire a coloro che non si facevano influire dal pensiero dei media servili al potere, che i sionisti non si sarebbero arresi e avrebbero proseguito nel loro disegno di creare quello che definiscono il “Grande Israele”. Per attuare questo folle progetto, dopo la fine dei regimi comunisti nell’Europa dell’est e l’apertura delle loro frontiere, lo stato d’Israele, indipendentemente dal colore politico dei governi che si sono succeduti negli anni ha incentivato una immigrazione selvaggia di popolazioni ebraiche in Palestina. Per dar loro una sistemazione, doveva in qualche modo acquisire dei territori. Tutto ciò ha determinato tutti gli eventi fin qui successi con un cinismo inpressilnante.
    Come uscire da questa logica di guerre, faide, occupzzioni di terre altrui? Creando due stati per due popoli, senza modificare le radici dell’esistente? Israele si sa è piaccia o no è uno stato confessionale, senza una costituzione scritta, dove il confine tra le leggi di diritto civile e le leggi di ispirazione religiosa si confondono come pere la normale magistratura e i tribunali religiosi. Penso che i partiti di sinistra presenti in Israele, su questo terreno abbiano molto da operare per cambiare questo stato di cose, reclamando una costituzione democratica.
    Altrettanto dovrebbero farlo anche i raggruppamenti di sinistra palestinesi per poi contribuire alla creazione di uno stato laico palestinese.

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