Agli occhi del sud del mondo il problema delle democrazie occidentali non è tanto che manipolino l’informazione o la sopprimano come nel caso di Assange o che applichino la politica del doppio standard o abbiano amici impresentabili; e neanche che di tanto in tanto si lascino scappare qualche sbavatura. Il problema, visto dal sud è che le democrazie occidentali sono sistematicamente responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità e questo toglie loro ogni diritto di atteggiarsi a giudici e maestri di democrazia per l’universo mondo. E se lo schiavismo dopo cinque secoli è stato messo nel dimenticatoio, il colonialismo e le sue appendici sono crimini di oggi.
Quel piccolo passo che aveva fatto il Presidente Macron in passato affermando che la colonizzazione è un crimine contro l’umanità è stato vanificato quando ha aggiunto che la Francia non deve chiedere perdono a nessuno. Dunque, la colonizzazione è un crimine: ma solo la colonizzazione degli altri. Questo problema non riguarda pochi eventi lontani nel tempo, ma secoli di storia del paese e non è solo il problema della Francia più oltranzista e razzista, ma soprattutto della Francia repubblicana, quella che si vanta di essere la patria dei diritti dell’uomo; la culla di fraternità, libertà, uguaglianza. E che pretende di conseguenza, di dare lezioni di democrazia e di civiltà al mondo, ma specialmente all’Africa dove fondava gran parte del suo effimero impero coloniale. Effimero non tanto per la sua durata di poco più di un secolo, se lo facciamo cominciare e terminare con l’occupazione dell’Algeria, ma perché trovò dovunque rifiuto e tenace resistenza; e se il colonialismo, ma non le sue appendici neocoloniale e sionista, ebbe fine nel secondo dopoguerra non fu per la benevolenza e il ravvedimento degli Europei, ma perché era puramente e semplicemente insostenibile: politicamente ed economicamente insostenibile. Insomma, i bianchi se ne dovevano andare con le buone o con le cattive e più tempo avessero aspettato, più l’avrebbero pagata cara.
Verità e giustizia nella bocca del Presidente Macron suonano come parole vuote e prive di significato, i soliti gadget pubblicitari. In Sudafrica nel processo di pacificazione succeduto all’apartheid c’erano due precise condizioni che venivano poste a quanti volessero chiudere i conti col passato. Il perdono veniva concesso a condizione che l’interessato dicesse tutto dei suoi crimini, dei suoi complici, degli atti e delle organizzazioni che c’erano state dietro questi atti. E se il dibattimento – perché di processo pubblico si trattava – rivelava che una parte anche piccola, anche secondaria veniva taciuta il perdono non arrivava e arrivavano invece le condanne. I principi da soli non sono sufficienti, occorrono evidentemente dei rapporti di forza che in Sudafrica erano favorevoli a questa soluzione. Lo stesso non si può dire della Colombia dove si sono fatti valere gli stessi principi, ma il risultato è stato pessimo; e le vittime di sempre hanno dovuto subire ancora più sofferenze, ancora più martiri.
A sessant’anni dalla fine della guerra d’Algeria è doloroso vedere che non ci sono né verità né giustizia; e soprattutto che nel corso dei decenni si sono allontanate sempre di più. I governi francesi, nessuno escluso, hanno steso volutamente una coltre di silenzio, di impunità e di omertà su quelli che per decenni hanno continuato a chiamare “avvenimenti di Algeria” e invece di punirli hanno moltiplicato lodi, medaglie, pensioni, riconoscimenti a massacratori e torturatori. Hanno dedicato loro monumenti e onorificenze. Hanno trasformato l’amnistia in amnesia. E ora il Presidente aggiunge che la Francia non deve chiedere scusa a nessuno, ma pretende una verità condivisa, cioè sua, sull’Algeria, sul Camerun, sul Rwanda, sul Madagascar e chissà quante altre malefatte di cui vogliono alleggerirsi. Questo si chiama “spiegare agli altri le loro ragioni; e soprattutto i loro torti”.
La Francia di Carlo X si presentò davanti ad Algeri nel 1830 con 670 navi e sbarcò 37.000 uomini. Dopo di allora fu costantemente guerra aperta, salvo brevi intervalli. E non solo guerra. Come spiegava De Gaulle nel 1962 al suo riluttante Primo Ministro: “Non dimenticate mai fino a che punto durante gli anni, gli arabi sono stati umiliati”. E lui, Michel Debré: “Non lo dimentico, come non dimentico l’opera della Francia”. “Vedete, è un miracolo che siamo arrivati a questo accordo. Perché dopo 130 anni ‘loro’ hanno cessato di essere dominati, ingannati, spogliati, umiliati”. Debrè, che si sarebbe dimesso due mesi dopo, era convinto, come i tanti predecessori, che quella della Francia fosse una grande impresa di civilizzazione, in Algeria come nel resto del grande impero coloniale. Come, del resto, dopo 130 anni De Gaulle non riconosceva che gli algerini si chiamavano algerini e non arabi.
Nel 2001, con la legge Taubira, la Francia aveva riconosciuto lo schiavismo come crimine contro l’umanità. In fondo erano passati solo 150 anni dalla seconda abolizione dello schiavismo nelle colonie; e nessuno era stato lì a sottilizzare se il lavoro forzato imposto per legge nelle colonie fino al 1945 – e di fatto per molto più tempo – avesse più di una rassomiglianza con lo schiavismo; o del fatto che in Mauritania, in Gabon e in Camerun lo schiavismo fosse stato tollerato dalle autorità francesi finché rimasero tali. Lo schiavismo è un crimine contro l’umanità, gli ex schiavi sono tutti morti, i negrieri pure, nessuno paga pegno e le medaglie della Francia repubblicana tornano a brillare più splendenti di prima.
Con la colonizzazione però le cose non sono andate così anche se il Presidente Macron prova a cantare la stessa canzone. Il colonialismo è un crimine contro l’umanità, però Sarkozy non molti anni prima aveva detto che “il colonialismo non era stato un sogno di conquista, ma un sogno di civiltà”. E aveva ribadito il “rifiuto di qualsiasi pentimento”. E prima di lui, per togliere voti a Le Pen, Chirac aveva promosso una legge (del 25 febbraio 2005) Sugli aspetti positivi della colonizzazione1.
Il Presidente Macron ha ripreso sia le occasionali parole di Hollande (colonizzazione, crimine contro l’umanità) che quelle di Sarkozy: nessun pentimento. A spiegarci in che direzione va la Francia è la sua storia. E la risposta non è quella che ci piacerebbe sentire.
Memoria e diritto
La guerra d’Algeria fu una guerra bastarda e sporca quant’altre mai che terminò con gli accordi di Evian il 18 marzo 1962. Gli accordi prevedevano, come è pressoché scontato in casi del genere, un’amnistia implicante la liberazione dei prigionieri delle due parti; ed erano in massima parte algerini prigionieri dei francesi in Francia e in Algeria; e la non perseguibilità per “opinioni espresse … e atti commessi in occasione degli avvenimenti di Algeria prima del giorno dello scrutinio dell’autodeterminazione”.
Da parte francese questo punto dell’accordo fu messo in atto con due provvedimenti di amnistia assunti con procedura del tutto eccezionale attraverso due decreti2. Il primo, del 22 marzo 1962, prevedeva l’amnistia delle “infrazioni commesse a titolo dell’insurrezione algerina”, cioè la liberazione dei prigionieri algerini; il secondo, pubblicato alla stessa data, era molto meno consuetudinario perché prevedeva “l’amnistia dei fatti commessi nel quadro delle operazioni di mantenimento dell’ordine dirette contro l’insurrezione algerina”.
In altre parole l’amnistia cancellava tutti i crimini di guerra, le torture, le esecuzioni sommarie che potevano essere stati commessi dalle forze armate, da quelle di polizia, dalle molteplici organizzazioni collaborazioniste dagli statuti quanto meno incerti: contro la popolazione civile e gli insorti o presunti tali nei sette anni di guerra, In Algeria o in Francia. Come vedremo le maglie già molto larghe di quella amnistia vennero ulteriormente allargate con ripetuti interventi di amnistia nei decenni successivi.
Infatti quella prima legge di amnistia non riguardava né la rivolta militare dell’aprile 1961 contro il legittimo governo francese né i reati- tra cui duemila omicidi, commessi dall’OAS tra il 1962 e il 1963 e proprio su queste due questioni il parlamento intervenne con la successiva legge di amnistia del 23 dicembre 1964.
Contrariamente ai due decreti del 1962 l’amnistia riguardava anche i membri dell’OAS per atti posteriori agli accordi di Evian, a condizione che i beneficiari del provvedimento di amnistia non fossero stati dirigenti dell’organizzazione e avessero avuto meno di 21 anni al momento dei fatti. Tuttavia questo come tutti gli altri provvedimenti di amnistia sulla stessa materia, lasciava ampio spazio all’esecutivo con lo strumento detto dell’amnistia per misura individuale per pene non superiori ai 15 anni e ruoli ambiguamente descritti dal testo come “non determinanti”3.
Furono oltre 173 i membri dell’OAS che beneficiarono di questa amnistia “per decreto presidenziale”.
La legge del 1964 precisava anche che l’amnistia non conferiva la reintegrazione nell’Ordine della Legione d’Onore né in quello della Liberazione né dava diritto a portare le medaglie, né comportava la reintegrazione nelle funzioni militari… Né dava adito alla ricostruzione delle carriere.
Nel 1966 una nuova legge di amnistia in data 17 giugno riguardò i militari che si erano ribellati al governo nell’aprile 1961 e tra questi solo i condannati a pene di meno di 10 anni.
L’amnistia non garantiva automaticamente il reintegro negli ordini onorifici, né il porto delle medaglie, né la ricostruzione delle carriere, ma quei privilegi potevano essere riottenuti caso per caso, sempre per decreto del Presidente della Repubblica.
In quest’occasione l’amnistia fu estesa alla forze dell’ordine per eventuali crimini commessi in Francia durante la guerra d’Algeria. In quel modo furono chiuse d’ufficio centinaia di istruttorie, comprese quelle per i fatti del 17 ottobre 1961 che avevano causato oltre 200 morti algerini a Parigi.
Ma è con la successiva legge di amnistia del 31 luglio 1968 che si può parlare di un inizio di riabilitazione per i capi militari e i responsabili del putsch e dell’OAS.
Questa legge concede “amnistia di pieno diritto per tutte le infrazioni commesse da militari di servizio in Algeria durante il periodo degli ‘avvenimenti’”. Poiché i militari in genere erano già stati amnistiati nel 1962, questa nuova legge riguardava specificamente i putschisti e i membri dell’OAS che venivano “interamente amnistiati con restituzione delle decorazioni senza che alcuna condanna politica o morale per le loro azioni sia ormai pronunciate dalle istituzioni della repubblica”. Inoltre venivano reintegrati “nell’Ordine della Legion d’Onore, nell’Ordine della Liberazione e rientrano nel diritto al porto di medaglie e decorazioni”.
Sembrava che potesse bastare, ma quando arrivò alla presidenza il socialista Mitterrand impose la legge del 3 dicembre 1982 che riconosceva agli ufficiali alla testa del colpo di stato e dell’OAS i gradi e i diritti a pensione che avevano perso a seguito della loro radiazione dall’esercito dopo le loro condanne. Di fronte al rifiuto del parlamento, Mitterrand s’impose col ricorso all’articolo 49-1 della Costituzione che prevede l’approvazione senza voto. Nel 2005, come già detto, Chirac riabilitò la colonizzazione nella sua integrità e comunque già nello spazio di venti anni, dal 1962 al 1982, si era passati dall’amnistia limitata alla riabilitazione e agli onori.
Nessun crimine di guerra è stato perseguito, nessun militare è stato condannato, neanche quelli rei confessi come Le Pen padre e molti altri con lui.
Non è un processo di fronte a un tribunale civile che cambia la storia e tuttavia in molti casi questi processi – il più clamoroso fu il caso Dreyfus – sono serviti a far prender coscienza a molta gente. Si è giunti all’assurdo che quando fu dato seguito alla legge Chirac del 2005 e fu istituita la Fondazione per la memoria della guerra d’Algeria, nel consiglio di amministrazione entrarono 4 generali firmatari nel 2002 di un manifesto che diceva testualmente: “Ciò che ha caratterizzato l’azione dell’esercito francese in Algeria fu anzitutto la sua lotta contro tutte le forme di tortura”.
Qui non si tratta neanche di casi personali numerosi e noti di crimini e criminali di guerra. Ciò che è più sconvolgente e disonora la Francia è che questi criminali siano stati reintegrati nei loro privilegi e onori, che siano stati ricostruite le loro carriere, versati loro i contributi pensionistici. Che siano stati eretti monumenti, nelle caserme e nelle scuole militari, erette steli agli eroi e combattenti dell’OAS richiesta ripetutamente la sepoltura dei defunti agli Invalides.
Con questo retaggio alle spalle sembra difficile che la proposta di Macron trovi interlocutori in Algeria e in Africa in genere. Comunque, siccome nulla di ciò che parla di pace ci è estraneo avanziamo la proposta che le autorità francesi si pronuncino preliminarmente sulle questioni generali; se la tortura può essere legittima; che cos’è la tortura (visto che il generale Salan diceva di non saperlo); se è legittimo uccidere un fuggitivo; che cosa intendono per interrogatorio musclé, serré, sévère; se ritengono che ogni interrogatorio debba essere registrato da telecamere e ogni agente mostri in evidenza il suo numero identificativo; se sono disposti a togliere le decorazioni a Aussaresses, a tutti i rei confessi di aver fatto ricorso a tortura e ai generali felloni.
Luciano Beolchi
- Inizialmente la legge stipulava /art. 4): “I programmi scolastici riconoscono in particolare il ruolo positivo della presenza francese Oltremare” che provocò una forte indisposizione e fu lasciata cadere dai socialisti che l’avevano inizialmente appoggiata. Curiosamente, ma non troppo, la cancellazione dell’art. 4 lasciò però in vigore il precedente art. 3 che creava, sulla stessa base, una “Fondazione per la memoria della guerra d’Algeria”, poi costituita da Sarkozy e un art. 13 che riconosceva i contributi di pensione ai membri dell’OAS fuggiti in Spagna fino a quando erano stati amnistiati in blocco nel 1968.[↩]
- Eccezionale perché i provvedimenti di amnistia normalmente erano presi a seguito di un dibattito e di una legge votata dal Parlamento.[↩]
- Tecnicamente il provvedimento di cui il Presidente De Gaulle e il suo successore Georges Pompidou fecero ampio ricorso si chiama grazia amnistiante.[↩]