Per fare un esempio: quella lanciata da Michele Serra che chiama, sabato 15 marzo, ad “una grande manifestazione di cittadini per l’Europa, la sua unità e la sua libertà. Con zero bandiere di partito, solo bandiere europee” nasconde una mistificazione di fondo.

Serra si domanda come fare perché l’Europa, culla a suo dire della democrazia liberale, sappia essere forte e convincente come e di più dei suoi nemici (ahimè quanti drammatici eventi con la logica del nemico). Non dice però che la risposta non potrà venire dal basso perché in alto hanno già deciso: l’Europa reale stanzia 800 miliardi per il riarmo, al di fuori dei vincoli del patto di stabilità. Un’Europa reale che si mette la divisa e distribuisce elmetti e  in cui, per bocca della presidente della Commissione Europea, la guerra torna ad essere considerata possibile se non imminente.“Qui si fa l’Europa o si muore” tuona il giornalista dalla sua “amaca” liberaloide (mai titolo di rubrica fu più appropriato, ne va dato atto a Serra), ma nella realtà se si continua con questa Europa si muore. Gli 800 miliardi stanziati servono in particolare per continuare la guerra in Ucraina che significa altra morte, altre distruzioni, altro dolore.

Dentro l’“effetto Serra” a morire è il sogno di un’Europa che per fare la pace prepari la pace e non la guerra e ritrovi il senso profondo del suo esistere, ricordando (non strumentalmente) quanto scrissero nel “Manifesto di Ventotene” Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi auspicando un’Europa unita, democratica, pacifica. Ci piace rammentare, fra l’altro, che, essendo i due estensori del testo confinati dal regime fascista nell’isola di Ventotene, il Manifesto venne diffuso da alcune donne, tra le quali Ursula Hirschmann e Ada Rossi che lo portarono sul continente per farlo conoscere a chi si opponeva al regime.
Sarebbe bene che quel Manifesto non venisse invocato a vanvera.

In questo sabato di marzo che sa già di primavera, tuttavia, una bella piazza ci sarà. Quella nella quale si esprimerà la voglia di credere possibile un’Europa dei diritti, dell’accoglienza, della solidarietà, della Pace con la p maiuscola.
In un contesto di feroci conflitti intercapitalisti le cui dinamiche producono violenza, materiale e simbolica, cultura maschia (incarnata anche in corpi di donne) nel più deteriore e patriarcale significato del termine insieme a impulsi bellicosi che solleticano la parte distruttiva di tutti e tutte c’è bisogno di pensiero altro. Rifiutiamo le apologie rutilanti e superficiali dello stato di guerra. Ci nausea la visione deliquiante ed aggressiva espressa da  Scurati su Repubblica, così vicina a quella del Mussolini di cui è stato tratteggiatore da romanzo. Come scrive Tomaso Montanari citando Federico II di Prussia, “Se i miei soldati cominciassero a pensare nessuno di essi rimarrebbe nelle file”. C’è bisogno di costruire un altro modo di stare al mondo, con pazienza e cura, con tenacia e convinzione. Vogliamo qui ricordare che le piazze femministe dell’8 marzo si sono già largamente espresse contro il Rearm Europe. Motivo di ulteriore riflessione lo offre Camilla Ranauro, presidente del Cassero lgbt center di Bologna, luogo storico dell’attivismo lgbtqia+: “Non possiamo accettare una manifestazione che non condanna apertamente l’occupazione e la pulizia etnica in atto in Palestina. Se crediamo nei diritti umani, dobbiamo farlo sempre, non a intermittenza”.

Da parte nostra saremo in questa piazza da femministe intersezionali, non in funzione ancellare, materna, infermieristica stile Grande Guerra o di eterne subordinate da seconda fila, ma per esprimere una soggettività matura e collettiva che indica una via precisa: una politica economica non dissennatamente estrattiva ed espansiva, un’occupazione non fondata sul riarmo e l’industria bellica, un lavoro liberato da profitto e sfruttamento, che colga il nesso inscindibile fra produzione e riproduzione, una cultura capace di decolonizzare le menti e rigettare l’ondata omofoba e transfobica, un pensiero che ritrovi l’utopia necessaria a dare un senso alla pratica. Lo saremo con gli occhi ben aperti, consapevoli che non basta invocare il cambiamento se non si è in grado di cambiare se stesse e se stessi.

Con questo atteggiamento, sabato 15 marzo, saremo in Piazza Barberini.
Augurandoci da lì che sappia alzarsi una voce, limpida e coerente, capace di coinvolgere anche chi la pensa come noi ma in questa piazza non ci sarà.

Paola Guazzo e Nicoletta Pirotta

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