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C’è meno sicurezza, sia dentro che fuori: la parola a Mattarella

di Marcello
Pesarini

Il 18 marzo il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto la rappresentanza del Corpo di Polizia Penitenziaria in occasione dei suoi 207 anni di vita.
Fa un po’ effetto pensare alle storiografia che ci raccontava figure ora burbere e paterne, ora crudeli aguzzini senza cuore, che ci vengono rimandate dai libri, dalla storia o dai fogli ingialliti che rappresentano qualche nostro avo. Erano braccia che spesso abbandonavano l’agricoltura in cerca di un posto sicuro, che però come dice una bellissima canzone di Claudio Lolli, Dalle capre, erano condannate al destino comune a quello del detenuto che sorvegliavano: ”Insieme tutta la vita ci stai anche tu”.

L’effetto si tramuta in paura tangibile se ripercorriamo la vita  degli ultimi anni, fra pestaggi di detenuti magari nascosti o fintamente motivati da stati di tensione tipo pandemia.

L’intento dell’articolo è di sottolineare le politiche rivolte a sistematizzare le spinte di rieducazione  dei carceri e quelle di sicurezza, sulle quali il Presidente della Repubblica ha impostato il suo saluto, esprimendo la preoccupazione di spingere gli equilibri futuri al di là di quelli esistenti.

Vediamoli: in Italia non c’è un partito né un sindacato dei detenuti, anche se non mancano attori autorevoli e impegnati costantemente da tempo, come il Partito Radicale e l’associazione Antigone.

Negli ultimi mesi sono state presentate dalle opposizioni presenti in Parlamento, spesso assieme, numerose proposte di legge che recepiscono parte del dibattito presente nel Paese, soprattutto dalla parte del volontariato che si rivolge ai detenuti e alle loro famiglie.

La collaborazione della Società della Ragione con Madri Fuori, del Forum Droghe con Sbarre di Zucchero, della Conferenza Nazionale del Volontariato e della rivista Ristretti Orizzonti è ricchissima e funziona proprio perché viene mantenuto il carattere operativo e l’osmosi con il mondo da cui si nasce e a cui ci si rivolge.

Ci sono state negli ultimi anni campagne condivise sul sovraffollamento delle carceri, “Una telefonata può salvare la vita”, “Madri fuori contro lo stigma”, una campagna in difesa delle donne che molti uomini vogliono ricondurre al ruolo di streghe. “Malati di niente”, “Sbarre di zucchero” sono sigle e battaglie che coinvolgono allo stesso modo.

In risposta all’aria di restaurazione che colpisce tutti i settori della società italiana ed europea, per mezzo della riduzione dei servizi e della settorializzazione degli interventi, vanno salutate positivamente le seguenti proposte di legge:

  • Disposizioni in materia della salute mentale, n. 38 d’iniziativa dei senatori Magni, De Cristofaro e Cucchi
  • Istituzione delle case territoriali di reinserimento sociale nonché modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di esecuzione della pena presso le medesime, n. 1064 d’iniziativa dei deputati Magi, Di Biase, Dori, Zanassi, Serracchiani, Zanella
  • Introduzione dell’articolo 18-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di relazioni affettive intime delle persone detenute”, n. 1720 d’iniziativa dei deputati Zaratti, Dori, Zanella, Fratoianni, Grimaldi, Bonelli, Mari
  • Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di imputabilità e di misure alternative alla detenzione per le persone con disabilità psicosociale”, n. 2939 firmatario  Magi.

Tornando alle parole di Mattarella, noi abbiamo sempre sostenuto che prevenire è meglio che curare, e che con la repressione si buttano dalla finestra finanze ma soprattutto sentimenti, corpi, persone, non solo quelle di chi è “dentro” ma anche di chi è “fuori”, perché per sorvegliare e reprimere si diventa peggiori di coloro che vogliamo reprimere, e ci si incastra in un mondo nel quale le sbarre finiscono per isolare tutti.

Un ultimo accenno che richiederebbe un esame a parte, accennato in C’è bisogno di un dottore.
Ci sono 6.000 detenuti che soffrono di disturbi psichici molto gravi, tra i quali il 12,4% delle donne che vivono dietro le sbarre. Ma il problema è molto più esteso, tanto che il 20% assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, mentre il 40,3% fa uso di sedativi e ipnotici.
Si entra in carcere con problemi, all’interno li si peggiora, come ha dichiarato la senatrice Ilaria Cucchi a proposito di un detenuto diventato assassino “dentro”, e comunque tutte le proposte di riforma delle misure di sicurezza, sia quelle di stampo abolizionista che revisionista  concordano sul fatto che debbano esistere luoghi a carattere comunitario dove i ‘folli-rei’, in particolare quelli con una medio-bassa pericolosità sociale, debbano essere accolti”.

Nel momento più buio ci sono proposte che vengono da chi pratica, dovrebbero essere spinte avanti.

Marcello Maria Pesarini

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