La nota di Cuperlo sul Reddito di Cittadinanza, integrata con le due tabelle più significative che ci sono nel rapporto INPS (cfr. Tabb. 3.1 e 3.4, pp. 160 ss.), è degna di particolare attenzione perché evidenzia alcuni punti molto interessanti e poco discussi.
La polemica con Renzi, fatta senza nemmeno nominarlo, pesa non tanto per l’effettivo consenso dell’amico dello sceicco, quanto piuttosto perché, purtroppo, nel PD – soprattutto, tra i dirigenti a tutti i livelli – le posizioni su queste tematiche sono molto simili a quelle renziane.
Fatta questa doverosa premessa, appare chiaro che ci sono due ordini di problemi da risolvere e la misura introdotta dal M5S ha creato una enorme confusione di piani, principi e concrete politiche attuative.
Il problema della povertà e dell’assistenza a chi, per diverse ragioni, non ha modo (o non ha più modo) di guadagnarsi da vivere dignitosamente, svolgendo un onesto lavoro, è quello dell’art. 38 Cost.
Si tratta di definire in via generale il valore dell’assegno/pensione sociale e dunque ha senso, qui, parametrare tutto alla soglia di povertà e quindi ai 780 euro netti al mese.
Tuttavia se si vuole universalizzare questo tipo di tutela, siamo nel campo del Reddito di Base, che appunto è del tutto svincolato dalle cosiddette Politiche Attive del lavoro.
Queste ultime, essendo finalizzate all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro, nel fissare la soglia di un Reddito Minimo Garantito – che il beneficiario del sostegno percepirà nel periodo in cui si forma per poi riprendere (o per iniziare) a lavorare – vanno invece agganciate all’art. 36 Cost. e quindi al Salario Minimo, che deve essere significativamente più alto e andrebbe appunto presidiato dalla legge e rafforzato dalla contrattazione collettiva (che può migliorarlo se ci riesce, ma non deve mai poterlo peggiorare).
L’equivoco che il reddito di cittadinanza ha messo in piedi, in definitiva, è quello di confondere la questione della tutela degli inoccupabili, a vario titolo, con quella delle persone che sono perfettamente in grado di lavorare ma non hanno lavori stabili e paghe e condizioni di lavoro dignitose.
Si può senz’altro migliorare questo sistema, ma occorre capire bene con quali finalità.
Si vuole insomma che il settore pubblico riprenda centralità nel sistema socio-economico, per permettere a tutti di lavorare e vivere dignitosamente, oppure si vuole tutelare solo gli interessi di chi ha imprese che fanno profitti sottopagando e sovraccaricando i propri dipendenti?
Questi sono i nodi principali da sciogliere, su questo tema di vitale importanza.
E sarebbe importantissimo che ci fosse una presa di coscienza diffusa delle effettive poste in gioco.
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