Da diversi anni, la legge 185 è stata soggetta a pressioni da parte delle industrie degli armamenti. Già nel 2003, con l’abolizione del controllo sull’end-use e poi nel 2012, con il ridimensionamento del controllo sulle transazioni bancarie, si sono verificati cambiamenti significativi. Tuttavia, la sostanza principale della legge è rimasta intatta fino alla scorsa settimana, quando il Senato ha votato una riforma che ne compromette profondamente l’efficacia e ne altera il significato. Il testo è ora all’esame della Camera e arriverà in aula a maggio.
Questo è stato denunciato da diverse associazioni, tra cui quelle che aderiscono alla Rete italiana Pace e Disarmo e la Banca Popolare Etica, che si è distinta per il suo impegno nel non investire nelle industrie degli armamenti. La Rete ha avviato una campagna denominata “Basta favori ai mercanti di armi” e ha lanciato una petizione al Parlamento che può essere firmata qui: (https://retepacedisarmo.org/petizione-basta-favori-ai-mercanti-di-armi-fermiamo-lo-svuotamento-della-legge-185-90/)
La Legge 9 luglio 1990, n. 185, intitolata “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, è stata uno dei risultati più significativi del movimento pacifista degli anni ’80, che si è sviluppato durante le grandi proteste contro gli euromissili e ha beneficiato del clima internazionale di distensione causato dalla svolta disarmista di Gorbaciov. Questa iniziativa è nata dalle associazioni di ispirazione cattolica, come Mani Tese, Pax Christi e le Acli, e si è unita ad altre campagne, come quella contro le Banche Armate e la Lega per il Disarmo Unilaterale.
La legge era una buona legge, forse la prima del suo genere a livello globale a sottoporre ufficialmente a un’autorizzazione pubblica ogni operazione commerciale riguardante armamenti, vietando specifiche transazioni, in particolare le vendite a paesi in guerra e violatori dei diritti umani. L’Unione Europea ha impiegato ancora vent’anni per adottare una sua legislazione, più liberale rispetto a quella italiana riguardo alle transazioni intra-comunitarie, a cui l’Italia si è dovuta adeguare nel 2012.
La legge 185 ha anche istituito un meccanismo di controllo attraverso la pubblicità delle transazioni finanziarie legate al commercio di armamenti, che dovevano essere notificate preventivamente e soggette a un regime di autorizzazione. Sebbene questo regime sia stato eliminato con l’adeguamento alla normativa europea nel 2012, sostituito da un sistema di semplice “comunicazione” successiva, la trasparenza è rimasta in vigore. Fino ad oggi, le operazioni finanziarie delle Banche Armate sono state pubbliche e sono state oggetto di un apposito capitolo nella Relazione annuale sul controllo del commercio di armamenti che il Governo, in conformità alla legge 185, deve presentare al Parlamento.
Tuttavia, questa è una delle norme che viene ora abolita: il testo approvato dal Senato elimina l’obbligo di pubblicità delle operazioni finanziarie, privando il pubblico e l’opposizione politica di uno strumento fondamentale di conoscenza e verifica del rispetto della legge. Ciò riporta l’informazione nell’ambito della riservatezza, permettendo al governo di agire nell’ombra in merito a finanziamenti e transazioni che potrebbero non reggere alla luce del sole.
Ma non è solo la trasparenza ad essere compromessa, anche il nucleo stesso della legge è modificato, seguendo una linea di cambiamenti che ha caratterizzato il passato. La riforma prevede la creazione di un Comitato interministeriale (il CISD) al posto dell’attuale ufficio del Ministero degli Esteri, responsabile delle autorizzazioni, e la riduzione dei tempi per il rilascio delle licenze. Questi interventi sono stati richiesti da tempo dall’industria militare.
È importante notare che il CISD sarà un organo politico, non più un ufficio tecnico incaricato di far rispettare la legge. Il comitato sarà presieduto da un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non più un diplomatico, e sarà composto dai ministri degli Esteri, dell’Interno, della Difesa e dell’Economia. Le autorizzazioni assumeranno un carattere sempre più politico e sempre meno vincolato alla legge.
La nuova filosofia è stata ben riassunta dal segretario generale della Difesa, generale Portolano, durante un’audizione alla Camera sulla proposta di riforma della legge.
“Le scelte in materia di esportazione dei materiali d’armamento rappresentano, al pari delle operazioni militari, uno strumento che contribuisce al perseguimento degli obiettivi di politica estera” ha detto, aggiungendo: “Le modifiche perseguono un processo di semplificazione normativo teso a favorire lo sviluppo degli investimenti e delle attività industriali”.
Mentre l’obiettivo originale della legge era quello di limitare il commercio di armamenti, quello nuovo è quello di integrare questo commercio nella politica di difesa e industriale del paese. Il focus si sposta quindi dalla limitazione alla promozione e all’indirizzo.
Come ha scritto Francesco Vignarca, coordinatore nazionale delle campagne della Rete Pace e Disarmo, questa non è una questione legata esclusivamente al governo attuale o alla presenza di un ministro specifico, ma è un trend che si è delineato da diversi anni con il sostegno di gran parte delle forze politiche.
Nel frattempo, il Governo ha presentato il rapporto annuale sul commercio di armamenti, che conferma un aumento delle autorizzazioni del 20% in un solo anno, raggiungendo 6,3 miliardi di euro verso 82 paesi. Questo conferma il trend di crescita già evidenziato dal SIPRI, con un aumento dell’86% rispetto al quinquennio precedente. Tra i destinatari vi sono numerosi paesi con gravi violazioni dei diritti umani, come l’Arabia Saudita, il Kuwait, la Turchia, Israele e l’Azerbaigian, oltre a contratti per un totale di oltre 400 milioni di euro con l’Ucraina, coinvolta in un conflitto armato, cosa che sarebbe vietata dalla legge 185.
Unicredit e San Paolo-Banca Intesa sono i due principali istituti che hanno facilitato il traffico di armamenti, finanziando da soli quasi il 50% di tutte le transazioni. I clienti di queste banche possono trarre le dovute conclusioni. Tuttavia, se la riforma verrà approvata, dal prossimo anno non avranno più accesso alle informazioni su come vengono utilizzati i loro risparmi.
Fabio Alberti