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Al lavoro e alla lotta: dalla critica economica alle proposte per il XXI secolo

di Stefano
Macioci

Dobbiamo ringraziare l’editrice milanese Meltemi, che ha dato vita ad una collana intitolata Rethink per mezzo della quale intende far conoscere al lettore italiano “i nodi dell’economia politica del XXI secolo” attraverso un percorso che non ricalchi la stantia Economics delle università di tutto il mondo, e la relativa narrazione che i mass-media mondiali ci propugnano continuamente. Infatti, è con “piglio radicale” che questi nodi debbono essere affrontati.

Grazie, dunque all’Editore e grazie a Francesco Schettino[1] che con il suo Socializzare i profitti. Le leggi generali dell’economia politica nell’era dell’Antropocene[2] ci accompagna attraverso i principali momenti della costruzione teorica mainstream della microeconomia, adottando quel “piglio radicale” che lascia sorpreso anche il lettore che non si è mai imbattuto in un testo economico. Sorpreso, in quanto, attraverso l’esposizione semplice, consequenziale e scientificamente corretta, anche chi si trova alle prime armi, riesce a comprendere, questo necessario campo di indagine che è l’Economia Politica.

Diverse recensioni sono già disponibili in rete[3] che illustrano il contenuto dei diversi capitoli, che puntualizzano il metodo, il punto di vista di classe, la strumentazione analitica marxiana, ecc. Qui si vuole cogliere un aspetto particolare che emerge con forza dal testo.

Innanzi tutto, Economia Politica   – dicevamo – e non semplicemente Economics; dietro questo semplice cambio di nome della materia oggetto di studio che ci riporta alla  definizione delle “origini”, emerge che il modo in cui ci guadagniamo da vivere non è immutabile, fuori dal tempo e dallo spazio, ma contrariamente alla vulgata dominante è oggetto di mutazioni continue, in cui l’azione umana conta: è cioè politica. L’economia, dunque, è una scienza che contrariamente alla vulgata dominate ha alternative: in primis un’alternativa teorica che Schettino presenta seguendo Marx, e in secondo luogo un’alternativa pratica, in quanto il suo studio permette di cogliere le tendenze economiche che se adeguatamente “aiutate” possono generare un modo di vita totalmente diverso rispetto alla situazione attuale.

Se non è vero che there is no alternative come qualche statista ci ha inculcato nella mente, è altrettanto vero che solo procedendo con “piglio radicale” queste alternative possono essere scovate, comprese ed esposte alla conoscenza del mondo salariato. Sono alternative così “rivoluzionarie” che stravolgono l’idea di sempre alla quale siamo stati abituati: basta con la socializzazione delle perdite, è possibile socializzare, per sempre, i profitti. Con questo auspicio termina il testo di Schettino, ma l’autore non perviene a tale conclusione sostituendo alla realtà concreta un utopistico desiderio, ma, invece, attraverso l’esposizione della teoria microeconomia mainstream prima e la sua critica consequenziale poi, ci porta a vedere la possibilità di un mondo diverso, le cui basi materiali (produzione, commercio, tecnologia, informazione, ecc.) risultano già essere state poste dal presente modo di produzione, ma che le medesime basi imprigionate dentro gli odierni rapporti di produzione (alias di proprietà) hanno cessato di essere progressive per il genere umano e si sono trasformate in fattori di regresso umano ed ambientale.

Caratteristica del lavoro di Schettino è che egli non intende convincerci di nulla: egli espone la teoria microeconomica dominante, ne evidenzia i limiti teorici, e poi vi accosta una lettura della realtà economica seguendo gli strumenti analitici tratti dal Capitale che sembrano quanto mai più idonei a comprendere il presente e le sue potenziali traiettorie.

Inoltre, Schettino non sale in cattedra, non ci detta la “legge” ma ci invita a collaborare nella comprensione del mondo, e ripone negli “intellettuali” e in tutti noi subalterni, il dovere, la responsabilità e la speranza, di una costruzione collettiva del nuovo sapere e della sua divulgazione.

Incontriamo subito nell’Introduzione il motto gramsciano “istruitevi, agitatevi, organizzatevi” per riprendere la lotta teorica ed acquisire quelle armi della conoscenza diverse da quelle che la classe dominante ci ha imposto. Non solo Schettino non vuole dettare la sua “legge”, ma in nota ci fornisce le informazioni “utili ad uno sviluppo autonomo e più estensivo” (p.17), nonché si perita di fornirci ”tutti gli strumenti necessari minimi per comprende il fulcro” del suo approccio (p.130) e nella pars costruens del suo lavoro cerca di individuare tutte le direttrici “che potranno essere utili a lettrici e lettori di ogni tipo per impostare ragionamenti strumentali allo sviluppo di nuove idee e proposizioni adeguate alla fase” (p.214). È un testo che non solo espone, critica e propone, ma che ci chiama a raccolta tutti per collaborare alla comprensione prima, e alla realizzazione poi, di un mondo ove siano socializzati i profitti.

Stefano Macioci

[1] Francesco Schettino è professore ordinario di economia politica presso l’Università degli studi della Campania L. Vanvitelli

[2] Francesco Schettino, Socializzare i profitti. Le leggi generali dell’economia politica nell’era dell’Antropocene, pref. Clara E. Mattei, Meltemi, 2025, pp. 262, € 20,00.

[3] Socializzare i profitti (contro il grande inganno della scienza economica) di Antonio Minaldi; Perché non “socializzare i profitti”? di Carla Filosa; “Economia neoclassica: una rete che non prende pesci” di Luca Cangianti

 

 

 

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