“Uno spettro si aggira per l’Europa”, ma non siamo noi. Così, parafrasando il filosofo di Treviri, si può sintetizzare il sentimento prevalente che permea la riflessione collettiva che ha animato i panel del forum di Budapest. Anche quest’anno le forze di sinistra, verdi e progressiste si sono date appuntamento per confrontarsi sui temi e le urgenze della politica internazionale; e, per quanto la discussione vertesse primariamente sulle vicende europee, non sono mancati né ospiti né confronti orientati ad una dimensione globale. Come recita la dichiarazione di apertura del forum, questo “è uno spazio aperto ad incontri, dibattiti e iniziative tra differenti forze sociali, sindacali e politiche, nel rispetto delle loro diversità”.
A fare gli onori di casa Attila Vajnai, presidente del partito del lavoro ungherese (aderente all’European Left Party) a cui abbiamo chiesto il significato di ospitare proprio nell’Ungheria di Orban, il forum europeo delle forze di sinistra, verdi e progressiste: “There are now very big changes in Europe, and in the world […] So, for us as Hungarian left is very important to know how other parties from Europe and from other continents are thinking about those changing, about the future. […] And it is a very big trigger for us, a very big help to understand that we need unity. […] In Hungary we are working on that but until now we had a very fragmented left. But I see that all the participants, besides my party, other left parties of Hungary their leaders, they understood. They understood that it is the time, real time for unity, not because we have a common position in every question, but because we have common points in main questions: how to react? How to react to war, how to reactive to social and economic crisis. So it is really chance we have now, maybe not so strong, but wide left coalition against the regime and not Orban’s regime, but against the neoliberal policy”1.
Il richiamo all’emersione delle forze di estrema destra, conservatrici e neofasciste è stato l’elemento di ragionamento più forte e ricercato nell’ambito dei temi discussi nel palazzo del sindacato dei lavoratori metalmeccanici ungheresi (la cui novecentesca bellezza architettonica, cifra di un tempo ricco di solidità del movimento operaio, meriterebbe essa sola un articolo). Non a caso la prima delle assemblee plenarie in programma era, appunto, intitolata “How to win the battle of ideas against the far right?”2. Perché il confronto con l’estrema destra non si sviluppa solamente attraverso la “consueta” dimensione del conflitto di classe; partendo dal presupposto, comunemente riconosciuto e studiato, che parte, molta parte, della forza reale, politica e numerica dell’estrema destra risiede solidamente nello stesso blocco sociale di riferimento della sinistra radicale, i/le partecipanti del forum si interrogano sugli strumenti culturali e materiali con cui strappare dalle mani dei neofascisti i cuori e le menti della classe lavoratrice europea. Nessuno dei/delle partecipanti al forum ha mancato di sottolineare quanta responsabilità hanno avuto le sinistre socialdemocratiche e liberali nel pavimentare la strada verso il potere a favore della destra: politiche di austerità che hanno impoverito milioni di persone in nome di un’ideologia, il neoliberismo, utile solo ad incrementare la forbice sociale e la ricchezza dei pochi; sostegno alle politiche di riarmo nel quadro dei vincoli fiscali che si traduce nel decremento dei finanziamenti alle altre voci di spesa pubblica come istruzione, sanità e previdenza.
Allo stesso modo tutti/e i/le partecipanti concordavano su un assunto prioritario: che il percorso di crescita delle sinistre europee debba passare da un forte protagonismo sociale di base, inteso come lavoro nelle strutture sociali di prossimità, nei quartieri, nei comitati, nelle strade. Vale a dire dove le forze di estrema destra traggono forza e legittimazione. È “un lavoro enorme e difficile, ma non ci sono alternative”, ammonisce Seema Syeda (componente di Another Europe is possible, UK) durante il suo intervento in cui illustrava l’esperienza maturata nei difficili quartieri multietnici delle città inglesi attraversati pochi mesi fa dalla furia xenofoba dei neofascisti d’oltremanica.
Cionondimeno è stato il presidente del partito della sinistra europea, Walter Baier (già segretario del partito comunista austriaco) a tratteggiare una proposta di strategia politica che consenta alle forze progressiste e antifasciste europee di ingaggiare quella che pare delinearsi come la più importante delle lotte politiche cui farsi carico in futuro. Baier sintetizza in 3 elementi fondamentali le linee guida che la sinistra in Europa dovrebbe far sue per dare efficacia alla propria proposta politica, o, per usare le sue stesse parole, “the absolute necessity of winning to govern, to take power and make it available to the social classes to which the left refers and for the common good”: (1) porre sempre in primo piano la rivendicazione dei diritti sociali, (2) mantenere alta l’attenzione sui valori umanisti, (3) adottare una tattica di alleanze flessibili”3. Usando le parole di Walter Baier, intervistato da Transform!Italia: “When it comes fighting the far right, the key issue is social rights, social justice. Talking about ecological rights requires talking about social justice and peace. But that means that we have to be in alliance with trade unions, with social movements, with citizens. But at the same time we must see that the fight for social rights is not sufficient. We need to defend humanistic values which are not negotiable. You cannot negotiate about migrant rights”4.
Nelle parole del presidente del Partito della Sinistra Europea si coglie nitidamente l’urgenza di saper identificare le maggiori insidie politico-sociali che attraversano le società europee e coniugarle con la lotta al modello neoliberista dominante. Non si fa mistero a Budapest che l’emersione dell’estrema destra – ancorché facilitata da 30 anni di docile acquiescenza socialdemocratica – possa e debba rimodulare, almeno in parte, l’agenda politica delle sinistre europee; in tal senso, indubbiamente, uno degli argomenti di maggior uso nei dialoghi al forum è l’opportunità di costruire l’opposizione all’estrema destra su una saldatura di programma che fornisca alle masse la prospettiva di uscire a sinistra dalla crisi sociale ed economica europea, recuperando consensi sia tra le fasce urbane sedotte dal richiamo populista neofascista, sia tra il crescente astensionismo (per lo più di classe). Un’operazione che, stando alle parole di Walter Baier, potrebbe non bastare, e richiedere da parte delle sinistre radicali uno sforzo ulteriore: “I would say you can make alliances in a very generous and flexible way, as long as you are sure about your own identity; and if you are socialist then your identities are that you will be in the democratic space, defending the idea of common property of common goods, of democratic participation of the workers in the administration of factories and you might disagree with colleagues and partners with whom you have fought against the far right”4. Da dove trarre la necessaria legittimazione di un percorso politico di saldatura con altre formazioni disposte ad affrontare politicamente il nodo della cacciata dei neofascisti dai governi europei, è sempre Baier a fornirlo con una coloritura finale: “every person who wants to become an educator must be ready to be educated by the masses and by their experiences, which the social agents acquire during the struggles”5. Più prosaicamente: la sinistra, per guadagnarsi la fiducia e successivamente il consenso, sia pronta con umiltà ad ascoltare il sentimento delle masse.
L’analisi della situazione politica internazionale, è stato indubbiamente il secondo grande tema che ha dominato il forum. Il dispositivo finale del Forum, elaborato nella sua stesura definitiva al termine dei lavori, prende in esame una moltitudine di contesti di guerra o di crisi nel mondo, dalla guerra in Ucraina al genocidio in corso in Palestina, passando per la repressione ai danni del popolo Curdo, e sottolineando anche conflitti che rimangono ai margini dell’informazione mainstream, come quelli in Yemen, nel Western Sahara o del Sudan; oppure ricordando le difficili condizioni e le rivendicazioni presenti a Cipro. Transform!Italia ha intervistato alcune delle protagoniste delle assemblee plenarie dedicate alla politica internazionale. Tra questi Maite Mola, responsabile esteri del Partito della Sinistra Europea, alla quale è stata fatta notare l’evoluzione della posizione del forum rispetto alle precedenti edizioni del 2022 e 2023 in merito al conflitto ucraino. Maite Mola ha fornito con chiarezza la posizione maturata che rappresenta peraltro un elemento di dissonanza rispetto ad altre formazioni politiche europee; quest’ultime, va detto, orientate a sostenere lo sforzo bellico ucraino. Le è stato fatto notare che nel 2022 e il forum aveva chiaramente condannato l’attacco russo, mentre nel 2023 la posizione cambiava chiedendo il ritiro delle truppe russe. Oggi, invece, si fa stretto riferimento alla necessità di un cessate il fuoco, e Maite Mola ci ha esposto brevemente il senso del cambio di prospettiva da parte del forum: “bueno, por supuesto que han cambiado muchas cosas desde hace casi 3 años, no? Particularmente, yo creo que el Partido de la Izquierda Europea ha comprendido que no es solamente un problema entre Rusia y Ucrania, sino que es un problema entre la OTAN, Rusia, Ucrania, China, etcétera, o sea, que es un problema a nivel global. Entonces en esto momento lo que hay que conseguir como sea es que haya un alto el fuego. Ojalá las tropas rusas se retiren de Ucrania, pero si no es posible eso para llegar a un acuerdo, por lo menos que haya un alto el fuego. El partido de la izquierda europea tiene que luchar a muerte por ese alto el fuego y luego ya veemos qué pasa. Porque además, añado que el hecho de que Trump haya ganado las elecciones en Estados Unidos, pues también implica un cambio de escenario”6.
Il forum ha avuto luogo nei giorni in cui il governo tedesco cadeva, concludendo un processo politico caratterizzato da numerose crepe e instabilità: alla latente debolezza politica implicita nella formula del “governo semaforo” (dai colori dei partiti di maggioranza) si sono aggiunte col tempo la guerra in Ucraina, che ha di fatto sanzionato la fine del rapporto speciale tra Berlino e Mosca, la catastrofica perdita del gasdotto Northstream, e la precipitazione della crisi industriale che vede materializzarsi lo spettro della crisi occupazionale in numerosi settori strategici della manifattura tedesca. Tutto ciò ha portato ad una crisi sociale e politica senza precedenti in Germania (o meglio, con qualche illustre e drammatico precedente) cosa che ha avuto serie ripercussioni sui suoi assetti politici: l’estrema destra tedesca, AfD, ha raggiunto nelle ultime elezioni regionali percentuali di consenso sbalorditive e preoccupanti. La crescita dei neofascisti tedeschi è uno degli elementi di discussione nella sinistra europea, e lo è anche in rapporto alla valutazione sulla crescita del nuovo movimento politico di sinistra, BSW, che rappresenta un format inedito nel panorama politico. Nell’ambito della lotta per arginare l’estrema destra, è fuor dubbio il ruolo che ha rivestito il partito nuovo di Sara Wagenknecht, pur con i limiti che la sinistra radicale gli addebita. Ma l’indubbio successo della nuova formazione nata da una scissione della Die Linke (aderente al partito della sinistra europea) ci interroga sulle opportunità che il messaggio veicolato dal BSW può aprire. Oppure no.
Sul tema Transform!Italia ha intervistato Conny Hildebrandt, vice presidente di Transform!Europe, vicina alla Die Linke; le abbiamo chiesto se, e come, l’abbandono del tema dei diritti civili (bollati dalla Wagenknecht come sostanziale narrazione appartenente al patrimonio liberal, quindi estranei al corpo valoriale della sinistra tradizionale) sia il fattore fondamentale del successo del BSW e se il tema dei migranti possa aver generato, per dirla con Gramsci, una frattura nel legame sentimentale tra il partito e la classe di riferimento, colpita negli effetti materiali di una integrazione fallimentare e quindi, per tornare alle prime righe di questo articolo, preda del populismo neofascista. Le parole di Conny Hildebrandt focalizzano sulla questione dei migranti: “When the people, for example, connected with the climate change […] then is it clear that they have to? They must migrant and under this condition we have, of course to say people they need our help. We have to help because when we are speaking about when we are fighting against oppression and exploitation does that means Marx formulated for all? And, of course, we understand it for all. And that means of course we have to be open for migration from the different parts of the world. But also it’s clear that the people thinking about what is going on with my own community under this conditions”7.
Conny Hildebrandt prosegue la sua analisi con una precisazione di metodo e di contenuto politico: “It means it’s not enough for the left to say we open the door for everybody as they need help. We have also to mend the public structure, the public service, the public support for the integration of the migrants. That means not only to give this a white (green light, ndt) for migration. Also to look for and to defence, the structure for integration as to bring the state in the possibility to bring the people in the communities in the positions that they are able to fight for a clear, safe integration in dignity and Social Security. I think you have to bring both together: the question of migration and the question of Social Security”8.
Il tema delle alleanze come strumento politico a disposizione delle sinistre in Europa finalizzato alla marginalizzazione istituzionale dell’estrema destra è ricorrente ed è peraltro balzato con prepotenza agli onori della cronaca durante le recenti elezioni politiche francesi, con la decisione del Nuovo Fronte Popolare di dare seguito alla difesa repubblicana accordandosi con il nemico liberale (Macron) per sconfiggere i neofascisti. Non si tratta, però, dell’unico esempio di strategia politica della sinistra radicale in coalizione con i partiti socialisti e liberali in Europa. Anzi, se mai si dovessero citare esempi di effettiva compartecipazione al governo di uno stato tra socialisti e comunisti (o sinistra radicale) il pensiero volge alla Spagna. Nei giorni del forum abbiamo avvicinato Manuel Pineda, già europarlamentare del Partito Comunista Spagnolo nonché responsabile esteri del partito, chiedendogli da una parte di commentare la scelta adottata dal suo partito, dall’altra parte se crede che sia un modello esportabile in altri paesi: “hay que ver qué tratamiento aplicamos en cada sitio, y a lo mejor lo que estamos haciendo en España no valdría para Italia no valdría para otro país; creo que hay que hacer un análisis concreto para cada situación concreta. En este sentido creo que el Partido Comunista en España no sólo da un apoyo formal al gobierno de Sánchez; formamos parte del gobierno de coalición y participamos en el gobierno. […] Estamos ahí con todas las consecuencias, sabiendo que esta experiencia puede ser un fracaso [,,,] Hay muchas medidas aprobadas por este gobierno que tenemos que combatir abiertamente: lo hacemos públicamente y no sólo internamente […] Tenemos partidos como JUNTS un partido independentista catalán que es abiertamente de derechas; tenemos el partido nacionalista vasco que es de inspiración socialcristiana […] Hay que seguir apoyando a este Gobierno, pero me preguntas hasta qué punto. Esa es una buena pregunta no tengo una respuesta concreta que darte […] pero evidentemente la alternativa a este gobierno no es un gobierno más a la izquierda sino un gobierno de coalición entre la derecha y la extrema derecha, que evidentemente nunca facilitaremos […] Estamos ahí en una especie de encrucijada en una situación políticamente incómoda, pero creo que estamos actuando con la responsabilidad que requiere este momento. Este momento no es para hacer políticas cobardes sino para hacer políticas valientes; y hacer políticas valientes significa en algunos casos tener que tragarse ciertas contradicciones”9.
Pineda denuncia senza sconti tutte le difficoltà entro cui la sinistra radicale è costretta ad operare in Spagna; ma ci ricorda infine che nonostante tutto, Izquierda Unida, il PCE, Sumar hanno ottenuto l’innalzamento del salario minimo da circa 750 euro a circa 1.100 euro al mese. Compromessi, su cui ciascuno è lasciato libero di esprimere la propria opinione.
Un appuntamento fisso del forum è l’assemblea femminista, in questa edizione moderata da Cristina Simó, coordinatrice dell’Assemblea Femminista del Forum. Sotto lo slogan “Mai più fascismo, mai più guerre” (in perfetta sintonia politica con il resto del forum) nel panel si sono succeduti interventi video dall’America Latina, dove il governo di destra dell’argentino Milei attacca ferocemente i diritti sociali e i diritti delle donne, e le donne venezuelane insegnano, invece, la resistenza alle ingerenze esterne. Preziose le partecipazioni al panel da Palestina, Cipro e Italia; quest’ultimo primo paese dell’Europa Occidentale governato dalla destra estrema e da una donna, a ricordare che, come è stato sottolineato durante l’assemblea, femminile non è sinonimo di femminista. Nel quadro delle iniziative promosse dall’assemblea, importante è l’assunzione della campagna My Voice My Choice, una ICE (vale a dire una Iniziativa dei Cittadini Europei) con cui si chiede alla Commissione Europea un sostegno finanziario agli Stati membri in modo che, conformemente al loro diritto nazionale, possano garantire a chiunque in Europa non abbia ancora accesso all’aborto sicuro e legale la possibilità di mettere fine alla gravidanza in condizioni di sicurezza. Numerose le proposte uscite durante l’assemblea, in buona parte raccolte nella dichiarazione finale del forum, a segnalare come la prospettiva femminista deve essere assunta come parte integrante delle proposte di cambiamento politico e sociale che le componenti del forum hanno strategicamente fissato.
Non è mancato, non poteva essere altrimenti, un panel di approfondimento sui temi economici, che ha visto la presenza composita di esperti di politiche sindacali, accademici in materie economiche e studiosi di enti di ricerca di livello europeo. Il panel, dal titolo “Under the dominance of EU competitiveness – opportunities and threats”, ha affrontato il tema del ruolo, o della sua mancanza, del comparto pubblico nello sviluppo delle politiche industriali nei Paesi dell’Unione, sottolineando come la politica debba tornare a definire e incrementare le prerogative del pubblico nell’ambito dei processi decisionali e del capitale industriale. In questo superando decisamente il concetto di mera governance che ha pervaso la mentalità e l’approccio della funzione pubblica da parte soprattutto delle sinistre liberali e socialdemocratiche negli ultimi 30 anni. Nelle parole dei relatori, come pure in quelle del pubblico intervenuto al panel, ricorreva ampiamente il concetto secondo cui solo il controllo pubblico dell’economia, o almeno di una parte sostanziale e strategica di essa, può favorire l’interesse collettivo.
E non sono mancati i riferimenti e le critiche alle recenti agende compilate da Mario Draghi per conto della Commissione Europea. La Commissione (per la quale Draghi ha scritto il suo piano) afferma di voler avviare un piano mastodontico di 750 miliardi di investimenti, i quali però rientrano esplicitamente in un piano di realizzazione di un potente oligopolio privato e non pubblico; nei fatti in nessuna parte dell’agenda si fa cenno al superamento dei vincoli di spesa pubblica (altresì nota come austerità), conseguendone che tutto il carico dei servizi pubblici tagliati dal finanziamento dei soli settori che Draghi giudica strategici (industria delle armi, intelligenza artificiale, comparto finanziario) graverebbero sull’indebitamento privato delle famiglie: parliamo di istruzione, sanità e previdenza. Il tutto, secondo i piani della Commissione, con l’obiettivo di rendere nel prossimo futuro competitiva l’industria e i servizi della UE che dovrà vedersela con il ben più efficiente sistema cinese. Non siamo quindi di fronte ad un piano accettabile da un punto di vista di sinistra, non si può in nessun modo vedere un riesumato Keynes nella seducente montagna di investimenti proposti (tutti, ricordiamo, a beneficio e nel quadro della più classica delle ristrutturazioni del capitalismo nostrano). Il Piano Draghi/Von Der Leyen è da rigettare e contrastare poiché impoverisce la classe lavoratrice e aumenta il potere del complesso militare industriale europeo, ricalcando il modello di sviluppo statunitense.
Naturalmente il forum ha avuto altre e numerose occasioni di dibattito sui temi che rappresentano oggi il terreno di confronto politico in Europa come in altre parti del mondo. Qui si è voluta offrire una rappresentazione generale dei temi di maggior impatto; per avere una panoramica, pur sintetica, degli argomenti discussi si può leggere la dichiarazione finale del forum consultabile al seguente indirizzo web: https://europeanforum.eu/2024/11/05/final-declaration-european-forum-2024/.
Stefano Amann per Transform!Italia
- “Ci sono ora grandi cambiamenti in Europa e nel mondo […] Quindi, per noi come sinistra ungherese è molto importante sapere come gli altri partiti in Europa e in altri continenti stanno pensando a questi cambiamenti, al futuro. […] Ed è un grande innesco per noi, un grande aiuto per capire che abbiamo bisogno di unità. […] In Ungheria ci stiamo lavorando ma finora abbiamo avuto una sinistra molto frammentata. Ma vedo che tutti i partecipanti, oltre al mio partito, gli altri partiti di sinistra ungheresi e i loro leader, hanno capito. Hanno capito che è il momento, il vero momento per l’unità, non perché abbiamo una posizione comune su ogni questione, ma perché abbiamo punti in comune sulle questioni principali: come reagire? Come reagire alla guerra, come reagire alla crisi sociale ed economica. Quindi è davvero una possibilità che abbiamo ora, forse non così forte, ma un’ampia coalizione di sinistra contro il regime e non il regime di Orban, ma contro la politica neoliberista”.[↩]
- “Come vincere la sfida delle idee contro l’estrema destra”.[↩]
- “L’assoluta necessità di vincere per governare, per prendere il potere e metterlo a disposizione delle classi sociali a cui la sinistra fa riferimento e per il bene comune”: (1) porre sempre in primo piano la rivendicazione dei diritti sociali, (2) mantenere alta l’attenzione sui valori umanisti, (3) adottare una tattica di alleanze flessibili”.[↩]
- “Quando si tratta di combattere l’estrema destra, la questione chiave sono i diritti sociali, la giustizia sociale. Parlare di diritti ecologici significa parlare di giustizia sociale e di pace. Ma ciò significa che dobbiamo essere alleati con i sindacati, con i movimenti sociali, con i cittadini. Ma allo stesso tempo dobbiamo vedere che la lotta per i diritti sociali non è sufficiente. Dobbiamo difendere valori umanistici che non sono negoziabili. Non si può negoziare sui diritti dei migranti”.[↩][↩]
- “Ogni persona che voglia diventare educatore deve essere pronta ad essere educata dalle masse e dalle loro esperienze, che gli agenti sociali acquisiscono durante le lotte”.[↩]
- “Beh, ovviamente molte cose sono cambiate rispetto a quasi 3 anni fa, giusto? In particolare, credo che il Partito della Sinistra Europea abbia capito che non è solo un problema tra Russia e Ucraina, ma che è un problema tra NATO, Russia, Ucraina, Cina, ecc., cioè è un problema a livello globale. Quindi in questo momento ciò che deve essere raggiunto è un cessate il fuoco. Spero che le truppe russe si ritirino dall’Ucraina, ma se non fosse possibile raggiungere un accordo, dovrebbe almeno esserci un cessate il fuoco. Il partito della sinistra europea deve lottare fino alla morte per questo cessate il fuoco e poi vedremo cosa succede. Perché aggiungo anche che il fatto che Trump abbia vinto le elezioni negli Stati Uniti implica anche un cambio di scenario”.[↩]
- “Quando le persone, per esempio, sono condizionate dal cambiamento climatico […] allora è chiaro cosa devono fare? Devono migrare e a questa condizione dobbiamo, ovviamente, dire alle persone che questi migranti hanno bisogno del nostro aiuto. Dobbiamo aiutare perché quando Marx parla di lottare contro l’oppressione e lo sfruttamento, intendeva per tutti? Ovviamente, lo abbiamo capito per tutti. E questo significa ovviamente che dobbiamo essere aperti alla migrazione da diverse parti del mondo. Ma è anche chiaro che le persone comuni pensano a cosa sta succedendo nella loro comunità in queste condizioni”.[↩]
- “Significa che non è sufficiente per la sinistra dire che apriamo la porta a tutti i migranti perché hanno bisogno di aiuto. Dobbiamo anche riparare la struttura pubblica, il servizio pubblico, il sostegno pubblico per l’integrazione dei migranti. Ciò significa non solo dare luce verde alla migrazione. Anche per cercare e difendere la struttura per l’integrazione, per indurre lo stato a consentire a tutte le persone nelle comunità di lottare per un’integrazione chiara e sicura nella dignità e nella sicurezza sociale. Penso che si debbano mettere insieme entrambe le cose: la questione della migrazione e la questione della sicurezza sociale”.[↩]
- “Dobbiamo vedere che trattamento applichiamo in ogni luogo, e forse quello che stiamo facendo in Spagna non varrebbe per l’Italia, non varrebbe per un altro Paese; Credo che per ogni situazione specifica vada fatta un’analisi specifica. In questo senso, credo che il Partito Comunista in Spagna non solo dia un sostegno formale al governo Sánchez; Facciamo parte del governo di coalizione e partecipiamo al governo. […] Noi siamo lì con tutte le conseguenze, consapevoli che questa esperienza può essere un fallimento […] Sono tanti i provvedimenti approvati da questo governo che dobbiamo combattere apertamente: lo facciamo pubblicamente e non solo internamente […] Abbiamo partiti come JUNTS, un partito indipendentista catalano che è apertamente di destra; Abbiamo il partito nazionalista basco che è di ispirazione sociale cristiana […] Dobbiamo continuare a sostenere questo governo, ma voi mi chiedete fino a che punto. Questa è una bella domanda, non ho una risposta concreta da darti […] ma ovviamente l’alternativa a questo governo non è un governo più a sinistra ma un governo di coalizione tra la destra e l’estrema destra, che ovviamente noi non faciliterà mai […] Siamo a una sorta di bivio in una situazione politicamente scomoda, ma penso che stiamo agendo con la responsabilità che questo momento richiede. Questo momento non serve per fare politiche codarde, ma per fare politiche coraggiose; e fare politiche coraggiose significa in alcuni casi dover digerire alcune contraddizioni”.[↩]