Il 7 ottobre non è solo, a mio modesto avviso, una manifestazione importante, ma segna anche un cambio di passo ; innova nelle forme e nei metodi, è inedita nei comportamenti, può aprire una fase nuova. Questa manifestazione, infatti, lo sa bene transform che l’ha seguita dai primi passi nella primavera scorsa, nasce sostanzialmente “dal basso”. Non è retorica; nasce rammentando e ricucendo i fili sparsi di centinaia di movimenti, piccole associazioni, segmenti di militanza sociale, di comunità “di scopo”. Ha saputo, poi, unire, saggiamente, il “basso” e l'”alto” quando la connessione unitaria e plurale si è configurata nella presenza attiva di sindacati confederali e antagonisti, della Rete dei Numeri Pari, dell’Anpi, della Casa delle Donne, di Libera. Soggettività, cioè, che costituiscono l’architettura della legalità costituzionale, le strutture intermedie della nostra Costituzione, che è fondata sulla partecipazione e non sull’investitura, sul rapporto diretto tra “capo” e popolo. Il 7 ottobre è un amalgama, un insieme di percorsi, di culture, di vite che provano a stare insieme. E’ solo il primo passo, dobbiamo comprenderlo. Il 7 ottobre deve anche essere in grado di preparare i futuri, immediati aspri scontri con il governo. Può crescere la vertenzialità sindacale, può trovare una massa critica di sostegno la conflittualità diffusa, che certamente si diffonderà nei territori. Sarà una lotta di lunga durata. Sarà decisivo ricostruire la “connessione sentimentale” con il nostro popolo; ma anche, per sconfiggere l’ideologismo disciplinare e fascistoide delle destre, rifondare un sistema di valori, un modello alternativo, un’agenda sociale. Penso allo scontro, immediato, aspro, che dovremo sostenere contro l’asse leghista/liberista “autonomia differenziata” e premierato (cioè una assoluta verticalizzazione autoritaria del rapporto tra cittadinanza e statualità). Dovremo far vivere lo scontro, che attiene alla sopravvivenza della Costituzione stessa, nei territori, nelle amministrazioni locali, nelle soggettività. Non vinceremo se non rilanceremo progetti di democrazia di prossimità, di cooperazione, di autogestione. Per sconfiggere l’autocrazia di investitura dovremo rimettere al centro la democrazia di partecipazione, contro le privatizzazioni, la frantumazione delle solidarietà sociali. Per un nuovo ruolo del comune, del pubblico (che da tempo il centro sinistra ha distrutto, distruggendo se stesso). Allora il 7 ottobre questo tema, così come quello della pace, deve essere ben visibile nella piattaforma, negli slogan, nei volantini, sui palchi; non nascosto tra mille rivendicazioni, fingendo, per politicismo opportunista, di non comprenderne la centralità costituzionale. Tutte e tutti noi, a partire dai sindacati confederali e dalle organizzazioni di massa, dobbiamo rompere gabbie identitarie e pigrizie intellettuali (e posizionamenti politicisti). Tornano d’attualità le parole profetiche, di tanti anni fa, ma ancora capaci di indurci alla riflessione, di Luigi Pintor: ” la sinistra italiana che conosciamo è morta. Ora è un’area senza confini. Il nostro scopo è reinventare la vita in un’era che ce ne sta privando in forme mai viste”.
Giovanni Russo Spena
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Caro compagno, la mia speranza, alla quale non voglio rinunciare, è che sabato 7 ottobre saremo tante e tanti. Nel grande numero anche i colori più smorti si ravviveranno, anche quelli di noi più timorosi troveranno popoli con cui dialogare e riconoscersi almeno in parte. E’ vero che le destre sono più facili da riunire, perché gli egoismi non richiedono sforzi di volontà né generosità, bastano capi che illudano e diano ordini, mentre il comunismo non sta in piedi senza femminismo né pace, e l’ambiente chiede socialismo altrimenti i capitalisti lo possono replicare. Ma solo un governo, un potere di tanti può dare a tanti