intersezioni femministe

Un’Intersezione musicale afronapoletana

di Paola
Guazzo

Apriamo con una lunga citazione di Iain Chambers che riguarda anche i motivi della scelta fatta per Intersezioni Femministe di oggi (Mediterraneo Blues, Tamu Edizioni, Napoli 2020):
Se i sistemi di potere consolidati si rifiutano di ascoltare, allora questi suoni delineano un’altra proiezione, per lo più ignorata e al di fuori di ogni disciplina, che getta un’ombra sull’ appiattimento delle interpretazioni vigenti. Gli effetti di un’opera d’arte spingono i presupposti di un’analisi storica e sociologica oltre i propri parametri esplicativi. Ciò che non può essere rappresentato in termini disciplinari, tuttavia, esiste come interrogativi, potenziale rottura. Considerando il Mediterraneo, con Gramsci, come “un’infinità di storie… senza inventario”, le storie acustiche offrono un persistente “rumore di fondo” che disturba il silenzio dell’archivio storico. I suoni divengono una fonte di perturbazione critica, e l’archivio musicale diviene “una questione di avvenire, la domanda dell’avvenire stesso …”. Come il mare, che un tempo ha agevolato il loro passaggio, i processi sonori oppongono resistenza alla rappresentazione e propongono un’economia affettiva “senza conforto né certezza”, intrinsecamente diasporica, destinata a scardinare le configurazioni fisse di tempo, spazio e appartenenza, nel suo prospettare comunità ancora a venire.

Per queste ragioni scrivere qui di Ste, una cantante nigerian-napoletana di contemporary R&B ( Rhythm and Blues contemporaneo), non rappresenta un semplice intermezzo musicale, ma un invito ad un ascolto che scardini le configurazioni fisse che riguardano anche le appartenenze politiche e femministe, dove Ste irrompe con la sua voce e i suoi video espliciti, desideranti e non conformi. Un desiderio lesbico, e da lesbica butch (che rappresenta la “mascolinità senza uomini” di cui hanno parlato Teresa de Lauretis e in tempi più recenti Jack Halberstam in un saggio su butch e ftm inappropriatamente mancante  nell’edizione dei suoi scritti in Italiano per Ets nel 2010). Forme di sessualità non addomesticata, perturbante, come in Testo tossico di Paul B. Preciado (Fandango, 2015), amori difficili, lacerazioni,  sensualità e sadomasochismo. Compresa la citazione fallica di cui parla Butler, certo, o forse andrebbe riletta anche la teoria butch e femme esplicitata da Teresa de Lauretis in Differenza e indifferenza sessuale e Pratica d’amore. Letture importanti ma non indispensabili, in fondo, dato che l’esperienza di ascolto significa in sé ed apre ad una mixité mediterranea reale, come ci ha ricordato Chambers e come indica la  biografia di Ste, che invitiamo a leggere attraverso un articolo di Flaviano De Luca, pubblicato sul Manifesto del 14 febbraio.

Paola Guazzo

Ste:” Mi piace cantare l’amore senza pregiudizi”

Flaviano De Luca

«Uuh.., mi innammorai de ti quand nun ce stive/ Tenev’ o’ core a’ strett dind’ a na catena/ E mo chesta catena tene o nomm tuoje/ Pure o’ doce tu e fatt’ addiventá veleno». . La voce potente e sensuale di Stephanie Ojembo, in arte Ste, ha infiammato Tik Tok e Instagram arrivando in breve tempo a milioni di visualizzazioni, cantando l’amore libero e anticonformista. Catene, accompagnato da un videoclip dove fa la prigioniera arrabbiata di una passionale bionda alcolista, è uno dei singoli di successo di questa ragazza di 28 anni nata a Lagos e cresciuta da bambina in una famiglia napoletana che ha adottato lei e la mamma Ada, con l’intercessione del parroco di Villaggio Coppola, la zona del litorale domizio. Proprio, cantando nel coro della chiesa motivi religiosi, Ste ha scoperto il suo talento vocale ed è stata incoraggiata a coltivarlo, esibendosi al Whoop, un pub-ritrovo di Castelvolturno dove le hanno voluto bene e ancora oggi l’aiutano in mille modi. Il suo stile è molto influenzato dal soul, dal jazz e dalla canzone classica napoletana, regalando energia e brividi a ripetizione.

«La mia passione per la musica si è scoperta sin dalla tenera età, con le recite scolastiche e i piccoli progetti extra didattici. Da lì poi sono passata a cantare nel coro della chiesa, fino a non smettere più di lavorare sulla mia voce. Fino ad oggi, con la pubblicazione dei miei inediti, ho continuato a raccontare i vari aspetti della mia vita e del mio carattere. Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita». Il suo primo brano s’intitolava Ansia, una dichiarazione d’insicurezza, un testo molto rappato addolcito dalla vena malinconica del dialetto ascoltato e amato. Colato nel suo T’aggio voluto bene, un amore finito, con citazioni da Reginella e Ditincello vuje, due capolavori della canzone napoletana classica, rivoltati con una grinta emozionante. «Sono donna, nera, omosessuale e mi piace cantare l’amore senza pregiudizi e col conforto del napoletano che trovo romantico e coinvolgente – ha dichiarato a Radio Radicale – In tutti i brani che scrivo ci metto dentro me stessa, che si riflette anche nel mio modo di vestire da “maschiaccio”», con giacca, camicia e cravatta.

La scorsa estate Ste ha partecipato a Le Vesuviane, una serata tutta al femminile all’Arena Flegrea di Napoli, con 15 partecipanti, in gran parte cantanti jazz e pop, da Teresa De Sio a Simona Molinari, e giovani talenti come Kalika e Filly Lupo, accompagnate da un’orchestra d’archi diretta da Elisabetta Serio. «È stata una serata da brividi, la ricordo con grande piacere- ha detto – Sentire che il pubblico, molto caloroso, apprezzava la mia musica e la mia voce mi ha fatto stare bene».

«Nei pezzi metto dentro me stessa. Si riflette anche nel mio stile da maschiaccio».

Alla fine dell’anno è arrivato Red, nato quasi per caso quando Ste pensò di omaggiare nelle storie di Instagram il successo dal ritornello travolgente I know what you want di Busta Rhymes e Mariah Carey. «Integrai quella canzone con delle parole in napoletano che quel giorno mi furono ispirate da un quadro che ho in camera e che dipinsi con lo sfondo rosso e la figura grigia di una donna nuda». Da Instagram a Tik Tok, l’entusiasmo collettivo l’ha portata a incidere il brano, un mashup che ha colpito anche il rapper Geolier e il sassofonista Andrea Siano, che hanno remixato il brano.

C’è un’altra ragazza d’origine nigeriana, Lina Simons, all’anagrafe Pasqualina De Simone, passata da Cerreto Sannita a Londra dove è approdata per studiare musica e avviare la sua carriera di cantante e musicista. Il suo primo album, P.A.S. con testi molto aggressivi nati dalle sue esperienze di razzismo e discriminazione, in provincia di Benevento, e dalla sua passione per l’afrobeat, il rap e il dialetto napoletano. Una storia simile a quella di Stephanie Ojembo l’ha vissuta anche la scrittrice Sabrina Efionayi, altra ragazza napoletana afrodiscendente, scoperta sulla piattaforma di narrativa Wattpad, con tre milioni di lettori in due anni, e poi il salto con Addio, a domani per Einaudi, la sua incredibile storia vera, l’autobiografia di lei bambina di undici giorni affidata ai dirimpettai dalla madre Gladys, schiava del racket della prostituzione nella devastata Castelvolturno (la cittadina della Strage di San Gennaro, il 18 settembre 2008, con sei giovani vittime innocenti, profughi africani che non c’entravano niente con i regolamenti di conti dei casalesi, dove vivono almeno ventimila immigrati) e cresciuta dal calore della famiglia adottiva, questo perenne amore/odio per la sua madre biologica. Il suo libro racconta due terribili mondi limitrofi e la difficoltà di riuscire a conciliarli in questa provincia italiana, carica di generosità e d’ignoranza, in questo pezzo di paese reale che molti non vogliono vedere.

Articolo precedente
Le origini di classe della Giornata Internazionale delle Donne
Articolo successivo
Sottomesse

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.