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Tre punte

di Gianluca
Schiavon

Dopo la raccolta firme tra parlamentari è stata depositata il 5 novembre la richiesta alla Corte di Cassazione per fissare il quesito per far respingere o approvare la riforma costituzionale che il Parlamento ha votato per la quarta volta lo scorso 30 ottobre.
Si tratta di una riforma iperpolitica decisa fin nei dettagli nel Consiglio dei ministri, benché la maggioranza di destra voglia farla apparire tecnica e, dunque, da lasciare alla discussione tra magistrati e avvocati. Il testo finale adottato al Senato, nonostante i due doverosi passaggi in ciascuna Camera, non si differenzia nemmeno di una virgola dal testo proposto da Carlo Nordio meno di un anno e mezzo prima. I temi trattati dalla riforma sono quattro: separazione delle carriere, duplicazione del CSM, creazione di un nuovo organo per i procedimenti disciplinari verso i magistrati e, infine, estrazione a sorte di due terzi dei componenti di tutti gli organi di autogoverno e disciplina della magistratura.
Non abbiamo intenzione di iscriverci al partito dei magistrati che sostiene a prescindere la tutela corporativa di qualche procuratore che, a favore di telecamera, moltiplica l’esercizio dell’azione penale in presenza di nuove urgenze. Noi siamo il partito del giusto processo e il partito che ha sempre combattuto il diritto penale d’emergenza.
Pubblico ministero e giudice già ora, dopo le riforme Castelli del 2005 e Cartabia del 2022, hanno carriere ordinariamente separate salvo che il magistrato nei primi anni voglia cambiar funzione, cambiando distretto di Corte d’appello e partecipando a un corso formativo propedeutico al nuovo ruolo. L’avvicendamento nella carriera può, inoltre, avvenire una sola volta e, infatti, sono meno dell’1% i magistrati requirenti che divengono giudicanti o viceversa.
Il primo significativo peggioramento apportato da questa riforma è la formazione rigidamente separata tra PM e giudice perché togliere la formazione comune e il confronto professionale tra uffici requirenti e uffici giudicanti porterebbe i primi necessariamente a una maggiore contiguità, oltre alla consuetudine quotidiana, con gli uffici di governo e controllo del territorio dai quali proviene la polizia giudiziaria. Una contraddizione plateale con la scelta deflattiva del processo impressa dalla riforma Cartabia in forza della quale il PM deve esercitare l’azione penale solo in presenza di una “ragionevole previsione di condanna” non più quando gli elementi acquisiti nelle indagini sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Il paradosso è, dunque, che si trasformerebbe il PM nell’avvocato dell’accusa quando a lui alla fine delle indagini è richiesta la più importante valutazione propria del giudice, qual è la condanna. Le altre scelte discendono da questo paradosso come la creazione di un CSM che si occupa delle carriere dei soli magistrati requirenti, che sono numericamente pari a circa un quarto dell’intera magistratura. Ciò comporterà il rafforzamento del cosiddetto partito delle Procure. La chiusura corporativa sarà rafforzata da un organo di autogoverno avente esclusiva competenza su 2600 appartenenti in un contesto lavorativo che è naturalmente gerarchico, all’interno, con i ruoli sostituto procuratore, procuratore aggiunto e procuratore capo e, all’esterno, con le strutture della Procura della Repubblica e della Procura generale.
Secondo punto fondamentale è l’estrazione a sorte dei componenti dei due CSM e della Corte disciplinare sia dei componenti laici che togati. Un primo motivo di contrarietà riguarda l’abbandono dell’elezione (da parte del Parlamento, per i laici, e da parte dei magistrati, per i togati) a favore del sorteggio, che per la prima volta entrerebbe nella Costituzione come metodo di individuazione di persone cui affidare incarichi in organi costituzionali. L’elezione è un metodo di rappresentanza nel quale sono rilevanti il merito (il curriculum vitae), le capacità, le idee, la visione, la rappresentatività e che responsabilizza il prescelto. Il sorteggio è un metodo cieco, ispirato alla logica secondo cui “uno vale l’altro” quindi la costituzionalizzazione di un metodo cieco nella scelta delle persone destinate a ruoli tanto importanti, quale l’autogoverno di un potere dello Stato, può portare alla sua diffusione.
Si nasconde dietro la lotteria dei magistrati un aumento del potere nei tre organi dei componenti laici, scelti dalla politica, i quali sono pure sorteggiati, ma su un elenco più ristretto votato dal Parlamento in seduta comune.
La maggioranza politica spaccia per riforma della giustizia e della magistratura una riforma costituzionale rivolta ad affievolire la sua autonomia e indipendenza. Le destre, a parole liberali, hanno moltiplicato le nuove fattispecie di reato, quindi i fascicoli in Procura, i processi e la popolazione carceraria. La strategia del Governo Meloni consiste in un ossequio all’autonomia dei magistrati solo quando non indagano o non condannano i potenti e in questo quadro si capisce il rinvio dell’applicazione del divieto delle porte girevoli tra carriere. Norma pensata per limitare il fatto che i magistrati entrino da fuori ruolo a coadiuvare il Governo, o qualsiasi amministrazione pubblica, e possano ritornare nel ruolo precedente senza nessun ostacolo.
Contro questa riforma e, sul fondo, sulla politica della giustizia e della repressione del Governo dobbiamo costruire una opposizione di massa che spinga il NO al referendum confermativo. L’opposizione alla riforma si configurerà con un attacco a tre punte: un comitato legato all’ANM presieduto dal costituzionalista Enrico Grosso, un comitato della società civile e dei movimenti con ARCI, ANPI, ACLI, CGIL e presieduto da Giovanni Battista Bachelet, infine, un coordinamento tra le forze politiche. Per vincere la partita referendaria le tre punte devono essere alimentate e, in particolare, come militanti politici e giuristi fedeli alla Costituzione dobbiamo contribuire a dare consistenza nei territori al Comitato per il NO della società civile e dei movimenti nonché spingere le forze di opposizione parlamentare a offrire il loro contributo.
Non sfugge che una sconfitta alle urne di Meloni e dei suoi camerati cambierebbe l’evoluzione della legislatura e, per converso, una vittoria di questo governo darebbe l’abbrivio ad altre esiziali riforme. Stanno discutendo, infatti, una legge elettorale fintamente proporzionale e autenticamente plebiscitaria con una trasformazione de facto della Repubblica parlamentare a premierato. Non hanno, nel frattempo, dismesso il disegno di legge che modificherebbe anche de jure la forma di governo svilendo il ruolo del Capo dello Stato. Sono avanzati anche sull’autonomia differenziata tramite le intese Stato-Regione e la disciplina dei LEP nel testo della manovra di bilancio.
Bloccare la valanga che rischia di devastare l’ordinamento democratico è una ragione in più per organizzare i comitati e per spingere verso la vittoria referendaria nelle piazze, nelle scuole e nei luoghi di lavoro.

Gianluca Schiavon

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