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Tolo tolo

di Andrea
Bagni

di Andrea Bagni – La prima mossa geniale, come ha scritto Alessandro Gilioli, è stato il trailer di Tolo Tolo, così ambiguo per molti. Antiimmigrati, xenofobo, razzista. L’immigrato che arriva, invade le strade, ossessiona con le richieste di soldi, poi domina le famiglie e le mogli. Tutto eccessivo, esagerato, perfetto. Politicamente ultra scorretto, anti buonista. Sarà vero? Grandi attese.

Assomiglia a un cortometraggio pure geniale di Gipi, Gli occhiali mentali. Prima la rabbia del marito che si sveglia imbestialito contro l’immigrazione che porta degrado, tarocca i prodotti, deturpa le tradizioni, distrugge le radici della nostra cultura. E si prende le nostre donne, facili prede, con le sue super prestazioni. Poi una volta indossati gli occhiali, finalmente trovati, tutto lo scenario cambia: sono loro i nuovi italiani che rappresentano la nostra speranza, il nostro felice futuro meticcio, la gioia che arriva nella nostra stanca vita. Il futuro sarà tutto armonia e felicità condivisa col mondo… E la moglie alla fine domanda, Non saranno un po’ fortini questi occhiali?

Perché la comicità di Checco Zalone è tutta antifrastica, come direbbe lo strepitoso Nichi Vendola del film, ritirato dalla politica, dedito a intellettuale agricoltura di alta coltivazione retorica.

Si estremizza una posizione, l’esaltazione di una cultura e la banalità agghiacciante del senso comune. E finisce che quando ridi non sai più bene di cosa ridi, se degli altri ignoranti, primitivi, incivili, o di te stesso: della tua supponenza occidentale, del tuo consumismo plastificato. Gli mancano le basi culturali per capire l’acido ialuronico nel deserto. Non sanno che con le coperte termiche ci si può abbronzare alla grande. Non apprezzano la libertà di non dover rispondere a sovrintendenze, non pagare irpet, iva, ici, etc. Non sanno che si possono aprire vertenze se hanno incidenti sul lavoro, se vengono sfruttati sono felici comunque di lavorare…

Per certi versi, niente di particolarmente nuovo. L’italiano medio e tutti i suoi vizi alle prese con un contesto alieno, un po’ esotico: Alberto Sordi – citato proprio in una camminata tipica con braccia oscillanti – e tutta una tradizione della commedia all’italiana.

Però qui la materia è particolarmente incandescente e divisiva, come si dice oggi. Politica.

Checco esibisce la sua superiorità occidentale nell’Africa dei villaggi di capanne e delle guerre civili – ma cerca anche di andare con quelli dell’isis perché sono molto più umani della sua ex moglie. E però l’amico Omar, che vuole arrivare in Italia perché è fanatico del neorealismo italiano, mostra ogni tanto le cassette di quei film (e Mamma Roma di Pasolini) che riportano alla storia di miseria e di emigrazione dell’Italia. E Checco scende dalla nave dei futuri maledetti clandestini, pure lui come migrante indesiderato – solo che la sua prima richiesta è un caffè corto, come nel bus preso dalle milizie era stata una toilette. Understatement. Vizio della civiltà. Vizio anche dei buoni giornalisti impegnati, che attraversano l’Africa per testimoniarne le sofferenze, ripetono frasi celebri (ho visto persone così povere che l’unica cosa che hanno sono i soldi), ma continuano a offrire squallidamente denaro per convincere alle interviste e fanno i testimonial delle creme golden. La corruzione africana è più onesta, come dice Checco…

Ma quello che spiazza, anche la tradizione della commedia all’italiana, mi sembra soprattutto il fantastico intreccio di stili del film. La capacità spostarsi su terreni altri della società dello spettacolo, di ibridare la narrazione con materiali diversi, anche il cartone animato alla fine, quando però ormai tutto ci può stare perché abbiamo visto già televisione del dolore, telegiornale di Mentana, canzonette da Sanremo, musical per un affogamento, sorteggi da champions league o da olimpiadi, con le nazioni che festeggiano la distribuzione dei migranti. In base al peso, come spiega il ministro degli esteri italiano: chilogrammi 1486 alla Finlandia, 432 alla Norvegia e così via. Restano da sorteggiare l’Italia e il mitico Liechtenstein: iva al 5%, niente segreto bancario, il paradiso per Checco. Gli Altri, corpi senza anima. Un tanto al chilo per la civile Europa.

E quando si sente ancora volta prima gli italiani la sequenza successiva è quella della famiglia tanto addolorata che dice che la perdita del loro caro non è pagabile, non ci sono risarcimenti possibili, cifre congrue per la perdita di una vita. Però il doppio di 200mila potrebbe andare bene… Anzi di sicuro. Fondamentale è che quella vita si estingua.

Poi, finito il film nel film, i bambini africani se ne dovranno tornare a casa loro, zero permessi di soggiorno. Dice il ministro che non è colpa sua se sono nati in Africa. La colpa la spiega una canzoncina che racconta di una cicogna strabica e un po’ disinvolta sessualmente che ha deviato dalla retta via delle consegne europee. Capita.

Durante il viaggio nel deserto senza tè di Bertolucci, quando una voce parla dentro Checco e gli fa citare Mussolini, la questione razziale e le reni da spezzare, il vecchio medico nero dalla barba bianca gli spiega che ha dentro il fascismo. Succede a molti. Lui dice, Viene fuori così, come la candida… come si guarisce?, il vecchio risponde, Con l’amore.

Facile e leggera dunque la commedia di Zalone. Forse nazional-popolare.

Proprio per questo straordinariamente politica. E pericolosa per l’ordine dato.

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