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Superior stabat lupus. La costruzione del muro

di Luciano
Beolchi

Uno su tre dei neolaureati della Repubblica Democratica Tedesca (RDT), senza por tempo in mezzo, alla fine dei regolari diciotto anni di studi compiuti interamente a carico dello Stato, passava la frontiera e trovava lavoro nella Repubblica Federale Tedesca (RFT), ben felice di accogliere preziosa forza lavoro con un alto livello di istruzione e per la quale non aveva speso un marco, tanto più che le università tedesche dell’Est fornivano diplomi universalmente apprezzati, specie nelle facoltà tecniche a partire dalla Humboldt.
Non c’è da stupirsi che la RFT fosse disposta a offrire salari competitivi, considerando che ciascuno di quei passaggi trasferiva da Est a Ovest l’equivalente di 100.000 marchi.
Il sabato e la domenica attraverso la non frontiera di Berlino era un fluire di tedeschi dell’Ovest che andavano a Est a fare la spesa; la piccola e povera Germania dell’Est funzionava da sistema di welfare per la ricca e potente Germania dell’Ovest, dato che a Est i generi di prima necessità, ma anche i generi di ordinario consumo, dalle lampadine alle scarpe, costavano molto meno che a Ovest e nessuno poteva impedire ai cittadini dell’Ovest di profittarne. Tutto questo andava crescendo dalla fine della guerra, mano mano che con grandi sforzi la popolazione della Germania dell’Est e il suo governo sollevavano dal baratro quella che anche in passato era stata la parte più povera della Germania. Non solo, anche quella in cui le differenze economiche e sociali erano state più marcate e nella quale fino al 1918 il parlamento prussiano era costituito per classi.
Sottovalutando l’alto valore simbolico e propagandistico che ebbero la costituzione e il mantenimento del muro, delle oltre mille pagine della sua Storia delle due Germanie, 1945-1968, Enzo Collotti ne dedicò alla questione del muro meno di una. Non si trattava di difendere la RDT da un’aggressione militare, né il muro era concepito per quello, secondo Collotti, “ma di difenderla dall’azione di sovversione interna e di istigazione contro il regime socialista quotidianamente condotta dai servizi segreti e dalla miriade di organizzazioni anticomuniste, irredentiste e paranaziste pullulanti a Berlino, al punto che c’è da domandarsi perché mai il governo della Repubblica Democratica abbia atteso fino al 13 agosto 1961 per prendere misure così radicali”1.
Collotti cita, ma mette in secondo piano, il danno economico, vero e proprio stillicidio, che la RDT subiva, ma anche lui mette in dubbio che quella di un muro fosse una soluzione saggia e l’unica possibile. La migrazione da Est a Ovest – oltre due milioni e mezzo di persone dal 1945 al 1961 – si ridusse a 5.000 persone dal 1961 al 1989. Quello che è certo è che dopo il blocco della libera circolazione tra Est e Ovest  la RDT entrò in un periodo di forte crescita tale da poterlo comparare per intensità e dimensione al coevo miracolo economico italiano, con la differenza che, mettendo all’angolo le tendenze più reazionarie, specie religiose, presenti nel paese ma anche combattendo le tendenze arretrate e patriarcali presenti nello stesso Partito comunista2, il movimento delle masse, con oltre nove milione di iscritti al sindacato e ad altri movimenti di massa come la Lega democratica delle donne – il DFD3 – , ottenne risultati spettacolari, una vera rivoluzione nel campo dei diritti civili, dell’emancipazione della donne, dei diritti del lavoro, della partecipazione operaia alla gestione delle imprese con l’integrale modifica del Codice del lavoro, della Costituzione, del Diritto di famiglia e della protezione delle donne sole e delle donne sole con figli. Il primo paese in Europa che si pose il problema delle comunità LGBT, dei loro diritti e della difesa di quei diritti.
Tuttavia il danno propagandistico della costruzione del muro fu enorme e le 133 vittime sul muro ad oggi vengono fatte pesare come i milioni di vittime della guerra in Vietnam, per non dire di tutte le guerre illegali promosse dagli USA e dalla NATO, dalle vittime delle sanzioni unilaterali e delle vittime delle infinite barriere e ostacoli apposti dagli occidentali alla libera circolazione delle persone.
Proviamo a immaginare che oggi in Europa, magari a Berlino, si aprisse una porta di libero accesso all’Unione Europea. Non passerebbe mezza giornata che si comincerebbero a costruire muri e reticolati, che del resto è quanto hanno fatto Polonia, Lituania e Lettonia, quando a Lukashenko era venuto in mente di fare qualcosa del genere alle frontiere della Bielorussia, lasciando che migranti afghani, siriani e africani attraversassero liberamente la frontiera bielorussa. Furono subito cani, armi, veicoli da combattimento, barriere elettroniche, fili spinati e muri opposti dai paesi occidentali a donne uomini bambini inseguiti per boschi e foreste, morti assiderati e morti nei fiumi in un silenzio colpevole pressoché totale.
Ai tempi della costruzione le spiegazioni della costruzione del muro di Berlino furono deboli e insufficienti, sia da parte delle autorità dell’Est che da parte del movimento comunista;  né i sovietici né i tedeschi orientali se la sentirono di registrare che il muro era figlio dell’insuccesso dei molteplici tentativi di risolvere “la questione tedesca”, vuoi che si trattasse di unificazione, di trattato di pace, di sicurezza comune, di disarmo o di ritiro delle forze di occupazione.
Che rappresentava soprattutto “l’abbattimento in volo” della proposta Chruščëviana di quella Coesistenza pacifica che fornì oltretutto alla Cina il pretesto di spaccare il movimento comunista nel pieno della guerra del Vietnam. La stessa Cina che poco più di dieci anni dopo, con gli stessi protagonisti al suo vertice, andò persino oltre il punto di mediazione proposto da Chruščëv all’Occidente.
Potremmo dire che il muro rappresentò un cattivo esercizio di sovranità e la NATO e il suo potente apparato propagandistico ebbero buon gioco a definire “imprigionamento di un popolo sotto la dittatura comunista”.
Gli occidentali da parte loro non solo hanno apposto infinite e mortali barriere alla libera circolazione delle persone, ma hanno essi stessi rinchiuso, dove ritenevano di dover rinchiudere; e gli esempi più clamorosi e recenti sono i palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, il cui diritto di libera circolazione è stato rapinato nel 1967 e mai più ristabilito: ma il lupo che minaccia l’agnello ha sempre ragione lui e si lamenta pure.
Il muro costruito nel 1961 era lungo 155 km e alto 3,6 metri. Divideva la Berlino Ovest, ampia circa 480 km2, da Berlino Est. Il muro principale costruito da Israele in Cisgiordania è già lungo oltre i 570 km e punta a 764 km. A questi si aggiungono altri centinaia di spezzoni di muro, sempre costruiti su territori di spettanza palestinese, così come pure le strade ad uso esclusivo degli occupanti israeliani che circondano e collegano le centinaia di colonie: anche le strade sono protette da muri, transitabili e percorribili solo ai coloni. In più, oltre alle vittime dei muri si aggiungono i progrom ormai metodici dei coloni e dell’esercito, composto dai parenti dagli stessi coloni che eseguono i pogrom e che li assecondano, li coprono e li proteggono.
In Germania dell’est la riapertura delle frontiere fu decretata dal governo della RDT il 9 novembre 1989, dopo che fin dal 23 agosto l’Ungheria aveva aperto le proprie frontiere dando anche ai tedeschi dell’Est la possibilità di espatriare. Inizialmente, ai cittadini di Berlino era consentito di espatriare liberamente in tutte e quattro i settori, mentre il confine tra Germania Est e Germania Ovest era stato chiuso nel 1952: circa 2,6 milioni di tedeschi orientali passarono a Ovest tra 1949 e 1961, attraverso i valichi legali di Berlino.
Il 16 dicembre 1958, i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, USA e Repubblica Federale Tedesca sottoscrissero (dopo il vertice NATO a Parigi del 14 dicembre), insieme ai membri del Consiglio NATO, la Dichiarazione di Berlino, in cui si affermava il diritto delle tre potenze occidentali a permanere nella città divisa in blocchi e la libertà di comunicazione fra Berlino e il resto del mondo, posizioni condivise dal voto libero di due milioni di abitanti a Berlino Ovest. Il Consiglio riteneva che la questione di Berlino poteva essere risolta soltanto nel quadro di un accordo con l’URSS per la Germania nel suo complesso, e che le potenze occidentali si erano dichiarate più volte pronte a esaminare questo problema, così come quelli di disarmo e sicurezza europea: una spudorata menzogna perché tutte le proposte di affrontare la questione dell’unificazione e del disarmo, avanzate a più riprese da Stalin e poi da Chruščëv erano state rimandate al mittente senza risposta.
A cose ormai fatte la Bundesrepublik dichiarava che l’unificazione era costata alle sue finanze 1.250 miliardi di euro e la cosa fa imbestialire la grande maggioranza dei cittadini dell’Est: dei diciotto milioni che erano nel 1989, un terzo aveva perso le case, che si erano dovute restituire ai primitivi proprietari; il 30% aveva perso il lavoro e, a distanza di due generazioni, in Turingia, in Sassonia, in Pomerania e Sassonia-Anhalt non l’hanno recuperato né i figli, né i nipoti; tutti avevano visto i loro patrimoni massacrati dal cambio tra il  marco occidentale e il marco orientale e i loro risparmi trasferirsi dalle banche e assicurazioni locali a quelle dell’Ovest. Le donne avevano visto crollare l’occupazione dal 90% nel 1989 al 55% e anche se nella RDT il lavoro domestico toccava in massima parte a loro, tuttavia l’impegno dello Stato socialista era stato imponente e gli asili nido coprivano tutta la giornata lavorativa dalle 6 alle 19 mentre ora in tutta la Germania aprono solo dalle 9 alle 144. Ma chi può mantenersi lavorando solo tre/quattro ore al giorno?
Una vita mediocre probabilmente, uno stato operaio a controllo burocratico, così qualcuno definiva la RDT, ma tutti sapevano che quella burocrazia offriva molte scappatoie, mentre il dominio del denaro non ne offre nessuna: o ce l’hai o non ce l’hai, non ci sono vie d’uscita; e la scure dei tagli e delle privatizzazioni che si è abbattuta sull’Est al tempo dell’annessione, ora che l’Est è stato prosciugato, si abbatte a Ovest mentre lo spettro della disoccupazione di massa, a partire dalla mitica Volkswagen, aleggia su tutta la Germania.
La vita nella RDT era forse mediocre, ma quell’esperienza e la nostalgia che l’accompagna, che sono alla base anche delle attuali catastrofi elettorali dei partiti borghesi nati nella Germania ricca, non è riducibile a Stasi e Trabant. Certo i cabarettisti hanno avuto gioco facile a prendere in giro per generazioni quegli stupidoni dell’Est che si erano fatti infinocchiare da una caricatura di Stato!! E quanto era cattiva la coca-cola, proprio non la sapevano fare! Non avevano neanche le banane! E la loro architettura faceva c… Per non parlare delle carte da parati. Ah, ah, che ridere.
Poco importa che istruzione e cultura fossero gratuite, gli alloggi e la spesa a buon mercato, il lavoro facile da trovare e i salari sicuri. E bastavano Le vite degli altri e Good bye Lenin, per non dire della Spia che venne dal freddo per spiegare tutto quanto a chi fosse intellettualmente curioso. E si confermava che la RDT era solo muro, Stasi, Trabant! La mascherata e le risate sono però finite con i risultati elettorale del mese scorso nei länder dell’Est, con il 45% di elettori che ci sputano sopra, a quella mascherata, due generazioni dopo la caduta del muro.
Ma perché il 30% di loro sono traghettati della ostalgia5 alla nostalgia palese per il III Reich?
Possiamo cercare di dare una risposta sociologica e/o una politica. La seconda ci pare più convincente e meno fine a se stessa, mero esercizio intellettuale.
All’inizio degli anni 20 del XX secolo la Germania attraversava una crisi peggiore dell’attuale. Sullo sfondo c’erano la guerra persa, le diseguaglianze sociali, l’esosità dei vincitori, la delusione se non il tradimento della socialdemocrazia e un primo grandioso tentativo rivoluzionario che era stato schiacciato nel sangue di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, uccisi dai quei socialdemocratici che li consideravano i loro peggiori nemici e che avevano stretto a questo fine un accordo formale con la Confindustria e i militari6. In un importante discorso che fece sulla situazione russa ed europea nel settembre 1920, Lenin affrontò in termini espliciti un tema – quello dei rosso-bruni – che è drammaticamente ridiventato d’attualità.
Si era appena conclusa la guerra russo-polacca e Lenin faceva il punto della situazione a una riunione dei circa duecento quadri dirigenti del partito.
La guerra russo-polacca era finita male per la Russia, ma tutta l’Europa centrale restava in fermento e queste erano le valutazioni di Lenin7:

“L’avvicinarci delle nostre truppe ai confini della Prussia orientale, fece intendere che tutta la Germania era in fermento […] Adesso, quando arrivano i giornali per niente bolscevichi che descrivono la situazione della Prussia orientale, ci appare un quadro davvero interessante: fanno pensare a certi periodi della rivoluzione russa del 1905 quando in Russia comparve un tipo ibrido di reazionario-rivoluzionario.
A quel tempo la rivoluzione […] stava muovendo i primi grandi passi per far emergere e raccogliere gli ampi, ma anche estremamente arretrati elementi contadini e in quel lavoro fummo aiutati dai Centoneri8 che pure puntavano a istigare i contadini contro di noi. Quel movimento era guidato da preti e ufficiali e tuttavia quella neonata organizzazione centonera fu la prima ad unire i contadini e a famigliarizzarli con un’organizzazione. E quegli stessi contadini insorti, che portavano avanti le rivendicazioni dei Centoneri, il giorno seguente rivendicavano tutta la terra dei latifondisti.
[…] Un giornale tedesco antibolscevico […] dice che tutta la Germania orientale è in fermento e che i kappisti9 – ossia quelli che andavano dietro a Kapp, il nostro Kornilov – tutti questi kappisti sono con i bolscevichi e quando si parla con un giovane tedesco poco istruito, che non capisce niente di politica ed è confuso quello ci dice che deve ritornare Guglielmo perché non c’è ordine e nello stesso tempo dice che bisogna andare con i bolscevichi. E vediamo che la Germania orientale è in fermento e si forma una sorta di blocco innaturale agli ordini di generali korniloviani, gente di mentalità militare, con un’unica parola d’ordine: guerra alla Francia […] In Germania, si è formato un blocco innaturale, un blocco che non era stato previsto dal trattato di Versailles, che non stava scritto da nessuna parte, che non era stato votato, ma un blocco nel quale i seguaci di Kapp e i korniloviani, tutta la massa dell’elemento patriottico umorale veniva a trovarsi insieme ai bolscevichi. Ecco il problema che si poneva allora e quel problema in quel momento i comunisti tedeschi non potevano risolverlo perché se ne stavano qui a Mosca… a risolvere la loro questione primordiale: come creare gli elementi di un vero partito comunista in Germania…”,

In previsione delle prossime elezioni politiche tedesche la sinistra tedesca ed europea non sa far altro che seguire i partiti borghesi e le socialdemocrazie sulla strada del panico: e se la peste neo-nazista e rosso-bruna contagiasse anche l’Ovest?
Anche questo è il segno di una sottomissione ideologica: se seguiamo il lucido pensiero di Lenin in una situazione analoga i risultati elettorali non sono il risultato di un improvviso impazzimento di massa degli Ossie, ma il risultato di un freddo piano di sfruttamento e rapina di quei partiti borghesi e socialdemocratici, peraltro già pronti a negoziare con l’estrema destra, come stanno facendo in Austria, nei Paesi Bassi e nei Paesi scandinavi; e come hanno fatto in Francia.
E la sinistra invece di denunciare chi ha trasformato un paese relativamente prospero in un paese di straccioni, non riesce a staccarsi dal luogo comune che riduce la Germania Democratica al paese del muro, della Stasi e della Trabant, credendo con ciò di salvarsi la coscienza, mentre sarà la prima a cadere nel baratro o, com’è più probabile, a tirare un respiro di sollievo nel caso che le elezioni nazionali non siano la ripetizione delle elezioni dei länder orientali: diversa è la storia delle due parti della Germania.
E si dirà soddisfatta di dover ringraziare della salvezza quei responsabili del disastro tedesco che invece dovrebbe accusare della devastazione di un paese dove le donne erano il 50% dei quadri dirigenti, erano pagate come gli uomini, erano occupate al 90% e godevano di un welfare tra i più avanzati al mondo, sia che vivessero da sole o in un nucleo famigliare, con o senza figli.

Disoccupazione e lavoro

Il mercato del lavoro non ha fatto progressi nei länder dell’Est dopo la riunificazione. Benché il costo complessivo del lavoro sia diminuito per l’aumento della produttività, la disoccupazione è aumentata anche a seguito di quelle che Snowen e Merkl chiamano “trappole del lavoro” 10: ridotta qualificazione dei lavoratori, invecchiamento della forza lavoro, capitale a scarso impiego di forza lavoro poco qualificata, disoccupazione massiccia nel settore commerciale; e tutto questo nonostante i massicci flussi migratori verso Ovest e la denatalità. Il raddoppio del tasso di disoccupazione pesa anche più alto del 20% ufficiale se di considera la disoccupazione di lunga durata (da 1/4 a 1/2 tra 1992 e 2004). L’assistenza sociale (circa 80 miliardi l’anno per disoccupazione e pensioni) è una delle conseguenze della rovina dell’Est che fa più imbestialire i cittadini dell’Ovest che si sentono vessati dai fannulloni Ossie: un altro stereotipo che ha sostituito la coppia Stasi-Trabant.
Il PIL pro-capite nell’ex Germania Est è pari al 55% di quello dell’Ovest.
Stasi, Trabant e muro. A questi stereotipi era stato ridotto un paese che dopo essere stato uno dei più poveri, arretrati e retrogradi d’Europa, per di più distrutto dalla guerra, con uno sforzo gigantesco aveva trovato in sé la forza di cambiare. I comunisti odierni e la Linke in particolare nel contesto tedesco sono come quegli indiani Sioux Lakota che per decenni avevano cercato di mascherare la loro sconfitta storica travestendosi da bianchi e cancellando le loro tradizioni. Non perché si potesse tornare indietro di secoli alla caccia al bisonte, ma perché quella era la loro identità e la loro storia: il maggior valore e la maggior forza da impegnare per un nuovo futuro. I comunisti odierni e la Linke praticano anche loro il rifiuto, il disprezzo e l’irrisione per i tempi migliori in cui erano rispettati protagonisti. Secondo la sinistra à la page ciò cui dovrebbe aspirare il comunista moderno è l’omologazione ai partiti borghesi nei ragionamenti, nei giudizi persino nei principi, il che lo rende vieppiù ridicolo e insignificante agli occhi di quegli stessi borghesi dai quali vorrebbe farsi omologare. Sicché lo vediamo astenersi se non proprio votare a favore della guerra imperialista, del sionismo, persino del sistema politico e sociale capitalista che non sarebbe poi così male.
Si consideri la questione dell’emancipazione femminile. Per quanto il percorso sia stato interrotto a metà e forse anche prima della metà è un fatto che ancor oggi nella Germania Orientale nonostante i più bassi salari e la disoccupazione che ha colpito in primo luogo le donne il gap differenziale tra salario maschile e femminile è del 6% a paragone di un differenziale del 20% che perdura nella Germania ovest. Questo è ancora un residuo- a 35 anni di distanza – dello sforzo che si era fatto in Germania est per equiparare salari maschili e femminili.
E quanti riducono la Germania est allo stereotipo Trabant Stasi Muro, cancellano i grandi sforzi che fece il movimento delle donne in Germania est sul piano dei diritti civili, della scuola, della difesa del proprio corpo, della famiglia, del lavoro del lavoro e del diritto di proprietà tradizionalmente negato o contestato alle donne e per il riconoscimento delle comunità LGBT.
La piccola Germania dell’est non solo scalò i primi posti nel mondo industriale, ma costruì anche una società avanzata sul piano dei diritti sociali e civili impegnandosi nella loro concreta attuazione, Il divorzio, l’aborto, i congedi di maternità e per l’accudimento dei figli, la disponibilità di giardini d’infanzia, asili e scuole, tutto questo e altro ancora vide all’opera le grandi femministe che sono state cancellate dalla memoria  storica come se gli unici intellettuali della Germania est fossero stati i contestatori e i dissidenti11, mentre erano all’opera grandi combattenti femministe, anche critiche, alla ricerca di soluzioni non perfette, ma molto più avanzate di quelle ancora faticosamente in discussione nei paesi occidentali, dove peraltro si afferma un processo diffuso di arretramento concreto.
La giornata dedicata al lavoro domestico – e perciò libera dal lavoro ma pagata dal datore di lavoro  – fu oggetto di un grande dibattito prima di entrare in vigore per tutte le donne. Si discusse a lungo nella RDT se un siffatto provvedimento non finisse in qualche modo per confermare una sosta di schiavitù domestica delle donne, trasformando loro soltanto in serve ufficiali della famiglia. Era evidentemente una soluzione di compromesso che imponeva passi ulteriori, ma le incombenze domestiche e famigliari sarebbero comunque ricadute sulle spalle delle donne e quelle soluzioni concrete fornivano quanto meno un riconoscimento materiale ed economico, se non una soluzione equa.

Luciano Beolchi

  1. Enzo Collotti, Storia delle due Germanie. 1945-1968, Einaudi, pag. 1029.[]
  2. Partito Socialista Unificato di Germania, SED.[]
  3. Demokratischer Frauenbund Deutschlands, Lega democratica delle donne tedesche.[]
  4. Zetkin Forum for Social Research, Interrupted Emancipation: Women and Work in East Germany, Tricontinental del 19 marzo 2024.[]
  5. Peter Linden et al., Les Allemands de l’EST saisies par l’Ostalgie, Le Monde diplomatique , agosto 2004.[]
  6. Luciano Beolchi. Quando la rivoluzione parlava tedesco. Alternative per il Socialismo n°47-48, febbraio 2018.[]
  7. V. I. Lenin. Rapporto politico del CC del PCR (b). 22 settembre 1920. Pubblicato su Alternative per il socialismo, n° 57, aprile 2020, pp. 167-195 (trad. dal russo di L Beolchi).[]
  8. Le Centurie Centonere, o semplicemente Centoneri, furono un’organizzazione reazionaria, ortodossa e ultranazionalista che agì dal 1905 a sostegno del sistema zarista e contro il movimento operaio.[]
  9. Kappisti furono detti i partecipanti al putsch di Kapp in Germania (10-17 marzo 1920), un tentativo fallito che prese il nome da uno dei leader del putsch, appunto Kapp, che intendeva proclamarsi capo del governo.[]
  10. Christian Merkl  e Dennis Snowen, Escaping the unemployment trap: The case of East Germany. Journal of Comparative Economics, 2008, 36 (4), 542-556.[]
  11. Figure notevoli di intellettuali e militanti furono Hilde Benjamin, Lykke Aresin, Helga E. Hörz, Grete Grow-Kummerlöw e Herta Kührig: operaie, filosofe, avvocatesse, neuropsichiatre.[]
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