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Stato liberale?

di Giovanni
Russo Spena
di Giovanni Russo Spena – Temo che gran parte dell’intellettualità democratica stia sottovalutando trasformazioni istituzionali ( a partire dal ” contratto di governo” ) e pericoli che emanano da propensioni e pratiche di questo governo. E’ superficiale considerarlo un mero accidente folkloristico, una parentesi all’interno di un lineare percorso di democrazia costituzionale. Ho sempre temuto che stessimo vivendo una mutazione istituzionale antropologica.
Stiamo tentando affannosamente di contrastare la quotidiana disumanizzazione governativa del vivere civile. Soggetti politici democratici, sindacali, soprattutto un diffuso associazionismo cristiano e laico si battono in un ” corpo a corpo” aspro, controcorrente. La riduzione del danno è nobilissima. A patto, però, che comprenda il contesto.
Una domanda inquietante e brutale:  siamo ancora in uno Stato liberale, di diritto ; o la ” postdemocrazia” sta tendenzialmente assumendo le forme di un regime reazionario di massa? Nel quale, cioè, la leva del governo fa da punto di riferimento e acceleratore di un senso comune di massa reazionario? Ne andrebbero indagati ovviamente i prodromi nella crisi devastante della globalizzazione liberista, nelle conseguenze di una composizione di classe sconvolta, di una composizione tecnica e tecnologica del capitale che travolge i tradizionali processi di accumulazione e di valorizzazione , mettendo al lavoro , per il profitto, le vite stesse delle persone; andrebbero rivisitati attentamente i sintomi che già emergevano venti anni fa nella crisi dei partiti di massa, dei sindacati .
Ma il tema specifico che nell’economia di questo breve articolo vorrei segnalare, sul piano strutturale e sociale è il seguente: il populismo di destra di questo governo, che distorce anche una parte del voto politico che voleva indirizzarsi verso un generico cambiamento, non è espressione anche di settori delle oligarchie che avevano bisogno, sotto la spinta internazionale del trumpismo, di cambiare spalla al fucile, dentro una selvaggia competitività internazionale? Il patto salviniano Italia / Polonia / paesi di Visegrad sta all’Europa come Trumo all’intero sistema atlantico e Nato, come Bolsonaro e Macri  al nuovo assetto post/ sinistra dell’America Latina, come Putin alle nuove geografie sovraniste autarchiche. Perciò il salvinismo e il grillismo sono fattori seri e molto preoccupanti.
Già Gramsci scriveva, dal carcere : ” la crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. E, come ci ricordava Pino Ferraris: “Il volto della politica non può essere solo quello della statualità. La trasformazione della società avviene attraverso complessi processi di politicizzazione, di produzione di coscienza e di idealità dall’interno dell’esperienza sociale del lavoro e della vita e nel corso dell’azione diretta delle grandi masse”. Questo soprattutto mi preoccupa: l’incidenza sociale della torsione militarista e securitaria (“la difesa è sempre legittima” ), del nazionalsciovinismo (“prima gli Italiani”), di una concezione patriarcale ed omofobica ; di un rinnovato, forte antisemitismo ed antiziganismo. Fu molto diverso, in un contesto storico differente, il tragitto che partì dal primo mussolinismo per giungere alle leggi razziali?
Il “reato di solidarietà”  ( Mimmo Lucano, le ONG ” taxi del Mediterraneo” secondo Di Maio) non ha precedenti infami nell’attacco al “culturame” cialtrone? La prevenzione e repressione del conflitto sociale in nome del “decoro urbano” e dell’ordine sociale non è una storia italica a cui hanno attinto a piene mani sia Minniti che, soprattutto, Salvini e Di Maio con cosiddette “leggi sicurezza” , peggiorative del codice fascista perché ingenerano, esse stesse, paura nella società, ossessione e rancore contro il “capro espiatorio”? Per non apparire astratto mi limito a tre temi di stretta attualità.
Il primo ruota attorno alla vergognosa gestione dell’arresto di Battisti. Utilizzando una indignazione di massa comprensibile viene attuata una revisione e una cancellazione della storia. Una vera “damnatio memoriae” simile a quelle attuate, in questo periodo, dai governi polacchi ed ungheresi. La sinistra storica viene cancellata tentando di cancellarne la dignità, assimilando l’orizzonte comunista ad un cumulo di macerie terroriste. Viene abbattuta la concezione stessa del garantismo, che pone di per sé l’esigenza della complessità, che si nutre dell’ “habeas corpus”, del principio costituzionale della pena. La logica dell’amico/nemico nega lo Stato di diritto. Un ministro dell’interno che, truce, annunzia al popolo “marcirà in galera”, annulla, con quel “marcirà”, tre secoli di diritto. E, quindi, di Stato liberale, ritornando alla “legge del taglione”, al carcere come vendetta. Quale è il punto? Il populismo penale di Salvini ed il giustizialismo ideologico di Di Maio rovesciano i fondamenti dello Stato costituzionale.   Secondo decisivo tema: il governo tenta di abbattere l’architettura istituzionale dello Stato nazionale. Nel silenzio più assoluto e con un’opposizione meramente emendativa (e, di fatto, concertativa) del PD. Torna il secessionismo, che si contrappone alla giusta concezione federale dell’autonomia solidale ( su cui, invece, dovremmo anche noi elaborare e agire di più). A metà febbraio il Consiglio dei Ministri approverà quella che Viesti ha chiamato efficacemente la “secessione dei ricchi”: le regioni che hanno di più, in termini di gettito fiscale e servizi, si autonomizzano dal circuito solidale messo a base , dalla Costituzione, del sistema delle autonomie. Penso a quello che può accadere con l’istruzione e la formazione regionalizzata in forma escludente. Verrebbe abbattuta l’unità del sapere della scuola repubblicana, fondamento dell’unità nazionale. E penso alla sanità, già disastrata e sconvolta dalle più recenti controriforme: l’attacco non è diretto al servizio sanitario nazionale, accentuando i processi mercantili di privatizzazione? E il rapporto Nord/Sud? Saremo in grado di aprire, da subito, una “nuova questione meridionale”, anzi “euromediterranea”?  In terzo luogo ricordo che il Parlamento sta discutendo le proposte di referendum propositivo , fortemente volute dal M5S. Non sono contrario a priori. Ma nelle forme e modalità proposte (e nell’ideologia del guru Casaleggio sulla fine della democrazia rappresentativa) non si annida il rischio dell’indebolimento ulteriore e della cancellazione del ruolo del Parlamento?
Stiamo ricordando, in questi giorni, la figura straordinaria di Rosa Luxemburg. Più che mai attuale contro militarismo e nazional sciovinismo crescenti. Il suo pensiero e la sua azione ci aiutano ad affrontare la crisi della democrazia rappresentativa e la domanda di forme di democrazia diretta che noi costituzionalisti democratici abbiamo sempre concepite dentro una dinamica unitaria, dialettica ma non oppositiva. Senza cadere nella retorica della democrazia puramente referendaria  o della democrazia digitale. Per noi questa dialettica deve anche significare, come Rosa ci insegna, costante ricerca per impedire le involuzioni gravi dei partiti e dei movimenti e dare concretezza all’idea della rivoluzione come un processo che muove dalla società. Il “corpo a corpo” in difesa della Costituzione ha avuto, di recente, un inedito impulso per la coraggiosa iniziativa di  “disobbedienza alle leggi ingiuste” (parliamo delle cosiddette leggi Salvini per la sicurezza) in nome della  “obbedienza costituzionale”. Orlando, De Magistris, Mimmo Lucano, tanti sindaci, nelle loro azione istituzionale, devono essere accompagnati da una intelligente, unitaria iniziativa di massa, estesa territorio per territorio in maniera molecolare. Non stiamo più, infatti, difendendo le regole formali del funzionamento degli organi di governo o le strutture di intermediazione tra statualità e formazione sociale. Oggi sono in gioco i valori fondamentali della nostra democrazia, i principii fondanti della convivenza. Non sottovalutiamo. Qui siamo, mi pare.