intersezioni femministe, recensioni

“Questa terra è donna”: recensione di un libro illuminante

di P. Guazzo,
N. Pirotta

“Le donne e le soggettività palestinesi, nel corso della storia, organizzandosi in una molteplicità di forme, in base a strategie e definizioni di sé differenti, all’interno di spazi politici diversi, attraverso pratiche che hanno spaziato dall’associazionismo alla lotta armata, dalla militanza femminista al lavoro politico di cura delle proprie comunità, hanno tracciato un lunghissimo percorso di lotta, soggettivizzazione, attivismo e partecipazione che non può essere in alcun modo ignorato”.

Abbiamo voluto iniziare con questo paragrafo (a pag. 235 del testo) la recensione del bel libro di Cecilia Dalla Negra1 Questa terra è donna. Movimenti femminili e femministi palestinesi perché nell’evidenziare i percorsi dei movimenti di donne dagli inizi del Novecento ad oggi l’autrice, profonda conoscitrice della questione palestinese, dà conto di una storia spesso ignorata, dimenticata, rimossa. Una rimozione fra l’altro duplice perché collocata all’interno di un’altra storia quella della Palestina che, nella narrazione occidentale mainstream, è stata sistematicamente messa a tacere o peggio distorta per compiacere l’egemonia del soggetto coloniale, cioè lo Stato di Israele.

Senza conoscere i percorsi dei movimenti femminili e femministi si rischia di non comprendere fino in fondo la natura, la funzione e le pratiche di tutta la Resistenza palestinese che si sono modificate a seconda del contesto storico, economico, sociale e politico nel quale si trovano inserite.
Il libro di Dalla Negra ripercorre tutti i periodi storici che hanno riguardato la Palestina: dal protettorato britannico ai primi insediamenti israeliani, dalla “catastrofe “ (Nakba) alla “Guerra dei sei giorni”, dalla prima Intifada all’emersione di Hamas, dagli accordi di Oslo alle rivolte Arabe e all’emergere di una nuova generazione palestinese – la “Jil Oslo”- nella quale il pensiero e le pratiche del femminismo decoloniale delle realtà lgbtqia+ e queer, spesso mal sopportante nelle stessa società palestinese, trovano riconoscimento, dagli “accordi di Abramo” al 7 ottobre 2023.
Ciascun periodo storico è analizzato e commentato con uno sguardo femminista e con una postura decoloniale che consente, da una parte, di comprenderne la dimensione sistemica attraverso l’analisi dell’intreccio dei differenti sistemi di potere, classista, patriarcale, coloniale e dall’altra, attraverso una decolonialità, intesa come teoria e insieme “realtà incarnata”, di cogliere quanto la storia palestinese, pur nel suo essere paradigmatica, non può che essere inquadrata nella dinamica asimmetrica fra Nord e Sud del mondo.
Leggere la storia palestinese in questo modo fa cogliere particolari ed aspetti non consueti che rendono il libro prezioso e illuminante, specie per chi come noi abita l’occidente e, pur contestando comportamenti egemonici o peggio suprematisti, non è completamente immune da quella colonialità nella quale siamo cresciute e che , volenti o nolenti, dà forma alle strutture del nostro pensiero.

Utile e illuminante è l’analisi, approfondita, della specificità dei movimenti femminili e femministi palestinesi che non hanno mai smesso di lottare con determinazione e tenacia.

Movimenti che, a proposito della colonialità di cui si parlava poco sopra, nel nostro Paese sono poco conosciuti e/o riconosciuti.

Il libro dà conto, con dovizia di particolari, di quanto in ogni epoca storica questi movimenti abbiamo saputo produrre e ancora producano teorie, pensieri, pratiche mantenendo, nel loro lungo percorso, interconnessioni consapevoli fra privato e politico, laddove la sistematica violenza subita da un popolo colonizzato rende lo spazio domestico un luogo di intimità politica e il lavoro di cura un “gesto sovversivo”; fra nazionalismo e femminismo per ridefinire ogni volta la complessa relazione tra i due ambiti; fra la lotta anticoloniale e quella per la liberazione dall’oppressione patriarcale interna alla stessa società palestinesi, un’oppressione resa ancora più feroce dalla dominazione coloniale.

 

C’è un ulteriore aspetto che ci pare valga la pena sottolineare. I movimenti femminili e femministi hanno da sempre cercato la strada dell’autenticità e dell’autodeterminazione per evitare retoriche e narrazioni mutuate dal femminismo occidentale specie di quello liberale considerato espressione di una cultura coloniale.
Questa scelta è divenuta ancor più decisa dopo il 7 ottobre 2023.
Le donne palestinesi hanno riconosciuto quanto avvenuto come un episodio violento ma hanno fin da subito invitato a considerarlo all’interno della lunga lotta per la liberazione da un’oppressione coloniale, non uno spartiacque fra un prima e un dopo né tanto meno una parziale giustificazione al genocidio messo in atto dallo Stato d’Israele.
Proprio per definire chiaramente il proprio, specifico, posizionamento il 25 novembre 2023 il Palestinian Feminist Collective lanciò un appello, ampiamente sottoscritto da molte altre realtà, nel quale si definì coloniale il femminismo che “mobilita la retorica della liberazione delle donne per giustificare invasioni, genocidi, occupazioni militari, politiche estrattiviste e di sfruttamento” Un femminismo coloniale che “descrive le donne palestinesi come vittime impotenti che hanno bisogno di essere salvate dalla loro stessa cultura, società e religione (…)”. Un femminismo coloniale che rende ardua ogni possibile interlocuzione.

Consigliamo vivamente la lettura di questo libro perché oltre ad offrire uno sguardo femminista decolonizzato sulla storia palestinese invita a riconoscere quanto sia imprescindibile per un femminismo che voglia tornare ad essere trasformativo per tutt3 “prendersi cura della parola dell’Altra” da sé per “ immaginare un futuro libero e radicale, costruendo con le Altre, sovversive complicità”.

Paola Guazzo e Nicoletta Pirotta

  1. Cecilia Dalla Negra è una giornalista indipendente. Ha diretto la testata specialistica Osservatorio Medio Oriente e Nord Africa ed è oggi responsabile italiana della rivista specialistica francese Orient XXI. Si occupa di questione palestinese con un focus privilegiato su pratiche e teorie dei movimenti femminili, femministi e queer da un punto di vista storico e teorico e di analisi dell’attualità.[]
Articolo precedente
Non solo Ungheria. I diritti lgbtia+ tra Istanbul e Amed
Articolo successivo
Alle radici della Shoa a Gaza e del ritorno dell’“imperialismo rapace” del XIX secolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.