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Portogallo: si riapre il dialogo a sinistra, ma forse è tardi

di Franco
Ferrari

Domenica 30 gennaio gli elettori portoghesi sono chiamati ad eleggere il nuovo parlamento. Le elezioni legislative sono state convocate anticipatamente dal Presidente della Repubblica (di centro-destra) a seguito della bocciatura del bilancio preventivo 2022, presentato dal governo socialista di minoranza di Antonio Costa. L’anno precedente il governo si era salvato grazie all’astensione del Partito Comunista (PCP) e nonostante il voto contrario del Bloco de Esquerda (BE). Nel voto del 27 ottobre scorso anche i comunisti si sono aggiunti al Bloco e ai partiti di destra nel bocciare la proposta di bilancio.

Le due formazioni politiche della sinistra radicale – scrive Corinne Deloy della Fondazione Robert Schuman – avevano chiesto “un maggior numero di misure a favore dei lavoratori, il rafforzamento del sistema di protezione sociale e maggiori investimenti nell’ambito della sanità, soprattutto una più grande ambizione in materia di rivalutazione dei salari del personale della sanità. La Coalizione democratica unitaria (che comprende i comunisti, ndr) e il Blocco di sinistra hanno rimproverato al Primo ministro uscente di accordare una importanza troppo grande alla riduzione del deficit e l’hanno accusato di non agire sufficientemente in favore dei servizi pubblici, del controllo degli affitti e del potere di acquisto dei portoghesi.”

Nella sinistra esisteva anche la convinzione che l’irrigidimento dei socialisti nelle abituali trattative sul bilancio, che costituisce l’atto politico fondamentale del governo, puntassero proprio ad aprire la crisi, sperando di riuscire a conquistare da soli la maggioranza assoluta in parlamento. Si trattava, da parte del partito di Antonio Costa, di porre la sinistra di fronte all’abituale dilemma tra accettare misure ritenute del tutto insufficienti sul piano delle politiche economiche e sociali o aprire una crisi col rischio di spianare la strada ad un governo di destra.

A pochi giorni dal voto il quadro offerto dai sondaggi è tutt’altro che chiaro. Il più recente (della società demoscopica Pitagorica) colloca i socialisti al 37,0%, un incremento di qualche decimale sul voto del 2019, probabilmente insufficiente a consentire la conquista della maggioranza assoluta dei seggi. Il Partito social-democratico (in realtà di centro-destra), col 31,4% che gli viene attribuito, potrebbe contare su una crescita significativa di quasi 4 punti. Nelle settimane scorse un paio di indagini demoscopiche lo hanno collocato al primo posto imprimendo all’esito elettorale un alone di maggiore incertezza. Il partito, guidato da Rui Rio, ha cercato di distanziarsi dall’estrema destra di Chega e anche dal tradizionale alleato cattolico-populista del Centro Democratico Sociale (CDS/PP). Per cercare di delineare un’immagine più sociale (nonostante le abituali proposte di riduzione delle tasse e di politiche più rigorose in materia di gestione del debito) ha dichiarato di non essere contrario all’aumento del salario minimo proposto dai partiti di sinistra.

Al momento l’unico possibile alleato per un ritorno della destra al governo è rappresentato dal gruppo di Iniziativa Liberale, che i sondaggi danno in crescita al 3,2, mentre nel Parlamento uscente contava su un solo deputato. Il CDS è in forte crisi e con l’1,4% che gli viene attribuito la sua presenza parlamentare potrebbe ridursi al minimo storico.

All’estrema destra è in crescita Chega di André Ventura, partito fratello della Lega di Salvini, che i sondaggi danno al 7,5% contro l’1,3% del 2019. Una crescita preoccupante che farebbe dell’ultradestra il terzo partito del parlamento, ma in parte ridimensionata rispetto all’oltre 10% ottenuto nelle elezioni presidenziali.

Situazione complicata quella che si registra sul lato sinistro dello spettro politico. Lo stesso sondaggio di Pitagorica colloca il Bloco de Esquerda al 5,7% e la CDU (coalizione formata dai comunisti e da un piccolo gruppo ecologista) al 4,3%. Nel 2019, il BE ottenne il 9,5% e la CDU il 6,3%, potendo contare rispettivamente su 19 e 12 seggi.

L’evoluzione elettorale del Bloco conferma che questo partito raccoglie una forte componente di elettorato d’opinione che oscilla tra la sinistra radicale e i socialisti e si sposta di elezione in elezione. Questo ha prodotto un andamento a fisarmonica del partito e uno scarso radicamento territoriale che si riflette sui risultati ottenuti nelle elezioni amministrative, sempre nettamente inferiori a quelli ricevuti nel voto politico. Nel rush finale della campagna elettorale, Catarina Martins, leader del partito, ha lanciato ad Antonio Costa la proposta di un incontro da tenere già il 31 gennaio per cercare di ricomporre una qualche forma di alleanza per la nuova legislatura. Proposta alla quale il primo ministro uscente, visti anche i dati dei sondaggi, ha lasciato aperta la porta.

Ricordiamo che nella legislatura precedente a quella appena conclusa, socialisti, BE e comunisti siglarono un accordo di governo che consentì una fuoriuscita dalle politiche di austerità volute dai governi di destra. Si trattò della famosa “geringonça” che poi i socialisti non vollero ripetere dopo il voto del 2019. Il risultato di questa scelta è stato di creare una situazione più precaria che, infatti, non ha retto per l’intera legislatura e che ha riportato le politiche socialiste in un quadro più “normale” di neoliberismo soft che caratterizza la gestione dei governi socialdemocratici. Vedremo se l’iniziativa politica assunta dal Bloco nella fase finale della campagna elettorale potrà aprire una dinamica positiva e favorire una maggiore mobilitazione degli elettori di sinistra.

Dal canto loro i comunisti hanno dovuto scontare il temporaneo ritiro del leader Jeronimo de Sousa, a causa di un problema di salute che ne ha richiesto l’ospedalizzazione. La mancanza del voto noto del partito, che può tornare sulla scena politica solo in questi ultimi giorni, potrebbe influire negativamente sull’esito elettorale della CDU. Il Partito Comunista mantiene una solida presenza organizzativa, controlla la direzione di uno dei due maggiori sindacati portoghesi (la CGTP), e ha ancora una rete di presidi di “comunismo municipale” concentrata nelle regioni centrali del Paese e nella storica cintura industriale intorno a Lisbona. Si tratta di un partito politicamente molto prudente, relativamente ortodosso sul piano ideologico ma meno settario e dogmatico del PC greco. Tutto questo però non ha impedito una progressiva erosione della sua forza e una scarsa presa su nuovi settori sociali (precari, occupati nei settori intellettuali e digitali, ecc.). Se fossero confermati i sondaggi si tratterebbe del peggior risultato elettorale dalla rivoluzione dei garofani ad oggi, ma va tenuto conto che spesso le indagini demoscopiche sottostimano il voto comunista.

Resta irrisolto il problema dei rapporti a sinistra, dato che bloquisti e comunisti continuano a muoversi indipendentemente l’uno dall’altro, lasciando ai socialisti la possibilità di giocare separatamente su tavoli diversi.

Il quadro a sinistra vede la presenza di altre piccole formazioni. Il PAN, partito animalista ed ecologista, viene dato all’1,8% in netto calo rispetto al 2019, mentre Livre (nato da una scissione del Bloco) resta ancorato ad un modesto 1%. Il dato di questi due partiti, che potrebbe tradursi complessivamente in 2 o 3 seggi, non sembra in grado di garantire da solo la sopravvivenza di un governo di minoranza dei socialisti.

Lo scenario peggiore, che non sembra al momento previsto dai sondaggi ma che non si può escludere, è quello di una crescita della destra tale da spostare decisamente tutto l’asse parlamentare in quella direzione e da aprire la strada ad una sorta di equivalente, ma di segno politico e sociale opposto, al governo della “geringonça”. Di diverso segno sarebbe un esito che consentisse all’insieme delle forze progressiste, a cui viene attualmente attribuito un complessivo 49,8%, di mantenere la maggioranza in Parlamento. Tanto più se questo permettesse di riaprire il confronto a sinistra, così come si è lasciato intravedere dalle ultime, incerte battute, della campagna elettorale.

Franco Ferrari

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