editoriali

Piazza chiama ONU

di Roberto
Musacchio

Una giornata per l’umanità. Così definirei la marea umana che ha invaso piazze, strade, porti, stazioni d’Italia il 22 settembre.
Sostenuta da una “coscienza sociale” particolarmente importante su due terreni, quello formativo della scuola (che resta repubblicana e per questo sotto torsione da parte del potere) e quello dello smistamento delle merci che sempre più spesso sono armi. E mossa dalla Flotilla che seguiamo in queste ore con ansia.
Una giornata storica, che Gramsci avrebbe potuto chiamare “amo chi prende parte”. L’indifferenza, che Gramsci odiava, è stata parte dell’autobiografia della nostra Italia. Quella che ci proponeva Piero Gobetti, liberale che conosceva le tare di coloro che si definivano tali e, non a caso, stimava e fu amico di Gramsci.
Tante volte ho pensato, guardando alla storia del passato, che quando ero giovane era recente, a cosa avrei, avremmo fatto, di fronte a eventi estremi quali un genocidio. Oggi ci siamo dentro. E la marea, che sta crescendo, di chi sta prendendo parte rincuora la nostra autobiografia. Francamente discorsi come “ha vinto questo, ha perso quello” che pure leggo dopo la giornata dell’umanità che prende parte lì trovo comprensibili ma un poco stucchevoli. Certo non odiosi come quelli che si turbano più per una vetrina che per un bambino crivellato di colpi.
Ma guardiamo avanti. Stabilire una relazione sentimentale con quelli che prendono parte non è chiedergli una tessera o un voto alle elezioni. Che pure servirà a cacciare questo governo particolarmente nefasto. È soprattutto contribuire a rispondere alla loro angoscia, e cioè fermare il genocidio. Mentre prendiamo parte metà di chi viveva a Gaza City è nell’esodo, che è parte del genocidio. Altri 500 mila sono ancora lì. Io non voglio fare la Storia col martirio. Stalingrado fu Resistenza eroica ma guardando alla vittoria, ad avere la forza, da tutti i punti di vista, per raggiungerla. Lenin scelse la Pace per fare la Rivoluzione. Amo Allende, ma avere la ragione e non la forza, e viceversa come era nella sua frase d’addio, per me è un limite e non solo un esempio umano.
Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, diceva Brecht, e io amo questa frase. E allora eccoci all’ONU. C’è chi critica o irride ai riconoscimenti dello Stato di Palestina che arrivano da tanti già a lungo indifferenti. Ci sono però frasi e insegnamenti di rivoluzionari, sull’essere puri ed astuti, robusti e smaliziati. Sono il mio modo di pensare. La Rivoluzione si fa per essere felici tutti e ciascuno, non solo per piangere morti. Cosa c’è in questi riconoscimenti? Se permettete c’è una spinta umana impensabile l’8 ottobre. Nessun potere statuale si è messo in guerra contro Israele. In milioni di persone invece sono umanamente contro il genocidio e ne riconoscono politicamente l’autore. Poi c’è un Mondo quanto mai incasinato e sull’orlo di una terza guerra mondiale. Il cinismo è la cifra dei dominanti. Ma noi, che cinici non siamo, dobbiamo guardare ed agire nelle loro contraddizioni.
I guerrafondai della UE ormai faticano a reggere Trump, Netanyahu e i doppi standard. Chi è contro la guerra e contro il genocidio può agire diversamente e sentirsi libero di chiedere il riconoscimento anche a chi poi combatti perché riarma. Meloni non può articolare perché è ideologicamente, e politicamente, connessa a Trump. E sta tra i peggiori. Francesi e Inglesi stanno nel gorgo della UE, e la ritrovata amica GB, che si vuole potenza antirussa ma subisce il trumpismo e alla lunga non tiene il doppio standard, almeno in modi così schifosi.
Rivoluzionario è chi sa usare queste contraddizioni per salvare la vita ai suoi e poi, magari, cambiare le cose. Cosa sarà di Gaza City tra 15 giorni? Sventolerà la bandiera di Israele sulle macerie oppure saranno stati fermati? In molti parlano di un solo Stato, ma ad oggi già c’è e si chiama Israele. Servono soluzioni forti. Dalla politica, credo io, perché Gaza non è Stalingrado, piuttosto una grande Guernica.

Roberto Musacchio

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