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Né messaggio né bottiglia

di Marcello
Pesarini

Quanto cerchiamo di descrivere è l’evoluzione della disinformazione. E’ più di un grido d’allarme, non uno studio compiuto, sul degrado avvenuto negli ultimi 20-30 anni nella formazione delle notizie e la loro diffusione: un inganno della comunicazione e dell’azione politica.
Chiamiamoli messaggio e bottiglia.
Si avverte nei convegni, nei dibattiti, alla TV, fra le persone, una forte preoccupazione per l’espansione dell’intelligenza artificiale. Saremo capaci di regolamentarla prima di esserne regolamentati, o imprigionati? Penso di no, anche perché  all’apprendista stregone il filtro per decantare il veleno ormai è sfuggito, è uscito dal pentolone, si è sparso nell’aria e vola libero e impertinente.
C’è di peggio. C’è voluta WhatsApp per avvertire giornalisti e attivisti italiani che i loro cellulari erano spiati da un potente software. La società israeliana che lo produce ha rotto il contratto con l’Italia perché lo ha usato contro le regole. Ma il governo non risponde e nei servizi regna il caos, nei giorni delle difese d’ufficio dei ministri Nordio e Piantedosi al rilascio del terrorista e torturatore libico Almasry.

Un servizio televisivo trasmesso il 7 febbraio a RAI3 durante il programma “Quante storie” mostrava i bambini delle scuole di Imola che descrivevano il futuro fra 50 anni, cioè proprio nel 2025.
Disegnavano elicotteri, treni volanti ma non c’era più posto per pecore e pastori. Tutto elettronico, tutto spaziale, niente di naturale. La paura insita nei disegni probabilmente includeva anche la disumanizzazione delle relazioni.
Disumanizzazione che ha fatto prigionieri, cioè noi che dovremmo essere l’opposizione al capitalismo e alla società basata sullo sviluppo.

Parliamo da una bottiglia con dentro un messaggio, per quanto difficile da veicolare.
Da anni, molti purtroppo, ricevo mail e messaggi WhatsApp da indirizzi che all’inizio portavano nomi verosimili, come Nuovo Fronte Popolare, oppure Liberare e Studiare (si tratta di nomi di fantasia), e in più d’una occasione avevo pensato ad uno scambio di indirizzi fra simili.
Ne ho ricavato la sensazione di tanti cospiratori senza cospirazione, che stufi di fare il tifo durante i political show televisivi descrivono un futuro virtuale di accerchiamento al potere. Ma costoro, un po’ piccoli movimenti reali, un po’ singole persone con un nome collettivo, senza tema comune, senza programma, senza condivisione non faranno che danni.

Negli anni dal 1998 al 2015 numerosi compagni e compagne delle Marche furono attivisti e portavoce della Rete Migranti “Diritti ora!”, movimento nato dall’intreccio fra  Rifondazione Comunista delle Marche, CGIL migranti e le comunità politicizzate del Bangladesh, tutto il Maghreb ma anche Palestina, Europa dell’Est.
Fu giocoforza allargare la nostra alleanza al mondo della giustizia, del volontariato, dell’antirazzismo e della pace.
Di conseguenza i nostri indirizzari si estendevano, su richiesta stessa delle persone raggiunte, e i nostri annunci, o newsletter, si differenziavano di poco fra riunioni operative e condivisione di notizie, avvisi, appelli.
La regola di correttezza che non fu mai violata fu di distinguere questa libera aggregazione, che portò ad alcuni risultati nel campo dei permessi di soggiorno e nel voto amministrativo, nelle Pdl sull’immigrazione regionali, dalle attività di partito o sindacato propriamente dette.
Terminato il periodo di attività comune la sigla per correttezza non venne più usata quando la “ragione sociale e morale” era venuta a disperdersi. L’emergenza Nord Africa, le primavere arabe furono gli ultimi fatti che ci raggiunsero quando ancora faticosamente portavamo avanti un lavoro di tipo capillare.
Purtroppo non riuscimmo quasi per nulla a quagliare con le giunte regionali di centrosinistra e ancor più con gli assessori di Rifondazione, e si crearono frizioni insanabili fra le due rifondazioni, quelle nei movimenti e quelle nelle istituzioni. Questa differenza non ebbe nulla a che fare con l’infausta scissione del 2008, ma come sempre fu trasversale e non produsse le giuste riflessioni.
Il tempo passa veloce, e quella che era stata una stagione di speranza come in tutt’Italia passò il testimone ad altri movimenti con altri tempi e sempre più senza memoria.

I mezzi di comunicazione sempre più capillarmente spersonalizzanti hanno dato l’illusione di poter informare e mettere al lavoro senza fare perdere energie in inutili incontri, scambi di idee, linguaggi, abitudini.

Le intersezioni, per usare una lezione femminista, quando erano naturali e frutto di attività producevano comunque, al di là degli scontri, risultati: acqua pubblica, pace, no ai CPT, all’inquinamento, all’insana contrapposizione fra posti di lavoro e salute, decrescita felice.
Che effetto fa oggi, 2025, ricevere mail da Nuova Egemonia, Liberazione Movimento (di nuovo nomi di fantasia) senza avere una volta interloquito con nessuno?
Non si ricava una spinta alla militanza, ma nasce e cresce il sospetto di un triste, lugubre, commercio non lecito di indirizzi.
Può nascere in chi li riceve l’illusione di essere in tanti, e articolati, o piuttosto aumentano, spesso, le cialtronerie come i più noti rosso-bruni tedeschi?
Nascono così su un terreno minato le aggregazioni fra No Nato e No Green Pass. Ci sono compagni che non hanno lavorato per i referendum contro il decentramento amministrativo o per i quattro della CGIL sul mercato del lavoro accampando scuse settarie.
Sono cosciente di avventurarmi su un terreno minato, ma la scelta sempre più estesa delle metodologie del capitale informatizzato, è uno dei segnali di impotenza, e anche chi lo denuncia non sa più che pesci pigliare.

I prossimi appuntamenti referendari, novecenteschi nella loro lettura di classe e diritti collettivi, e la lotta mai rinviabile per la pace, devono essere l’antidoto al trasformismo, altro veleno che porta alla negazione dei conflitti di classe e all’assuefazione a quelli armati.

Marcello Pesarini

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