Nella “Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune – relazione annuale 2024 (2024/2082(INI)” c’è un paragrafo dedicato al genere e al ruolo delle donne nella concreta attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) in Europa.
Poche righe (rispetto al testo completo) e non particolarmente originali.
Il testo completo è allegato al presente articolo e pure il paragrafo su “Dimensione di genere e ruolo delle donne nella pace e nella sicurezza” (a pagina 41 del documento originale).
Mi sono chiesta a cosa servisse inserire un testo simile all’interno del lunghissimo documento della risoluzione europea in materia di sicurezza e difesa.
Un testo dalle pesanti ricadute sulla materialità delle nostre vite, colmo di paradossi e condito da molte ambiguità.
Si vuole la pace, ma si potenzia la difesa, attraverso il riarmo, in preparazione di una possibile guerra (davvero siamo ancora fermi al “si vis pacem para bellum”? La storia non ha insegnato nulla?), ergendo l’Unione Europea (UE) a campione di democrazia contro Russia, Cina, financo Stati Uniti (ora che c’è Trump).
Si parla di difesa ed esercito comune europeo, ma non si può fare a meno, vista l’intrinseca debolezza strutturale della UE dovuta principalmente alla mancanza di una Costituzione che ne definisca natura e funzioni, di riferirsi continuamente ai singoli Stati che la compongono, riconoscendo loro la più ampia autonomia.
Si auspica la pace in Medio Oriente e tuttavia come prima cosa e a prescindere si invoca la sicurezza di Israele, mentre il governo israeliano continua a bombardare la striscia di Gaza.
E via di questo passo.
Ma c’è un aspetto che inquieta al di là dell’immaginazione, dei paradossi e delle ambiguità: è il fatto che tutto il testo è costruito intorno ad una terribile idea di fondo: la guerra può di nuovo tornare anche nel continente europeo. Lo ha chiaramente detto la Presidente della Commissione quando ha affermato, alcune settimane fa, che la guerra non era imminente ma non era impossibile.
Non sarebbe certo la prima volta, dopo gli orrori della prima e della seconda guerra mondiale, in cui la guerra torna ad essere strumento di risoluzione dei conflitti. Ci sono stati i Balcani com’è bene ricordare.
Scrive Maria Luisa Boccia nel suo saggio “Tempi di guerra. Riflessioni di una femminista” (Manifestolibri, Roma, 2023): “Con il Kosovo la guerra torna a essere una scelta necessaria, feconda di esiti positivi come la libertà e la democrazia. Di più, torna ad ammantarsi di fini e valori etici. Ingerirsi in casa altrui per fini umanitari è ‘guerra giusta’”. La guerra diventa, appunto, addirittura “umanitaria, giusta, etica”. È dunque con il Kosovo che si è varcata la soglia ed è avvenuto il rovesciamento che ci attanaglia oggi, di fronte ad un’Europa che, dimentica del proprio passato e insensibile al futuro delle giovani generazioni, rivendica la necessità di armarsi”1.
Ai paradossi crudeli della guerra “giusta” e “umanitaria” ora si aggiunge quello della guerra “necessaria alla difesa” come sostenuto da tutto il mainstream comunicativo, rigorosamente embedded. Ma si va addirittura oltre, tragicamente. Nella democratica piazza dello scorso 15 marzo fra lo sventolio delle bandiere blu della UE, qualcuno è addirittura tornato a esaltare la grandezza della cultura e quindi della civiltà occidentale. Una civiltà da difendere a prescindere. Affermazioni che, consapevolmente o meno, rischiano di portare acqua al mulino della narrazione colonialista, razzista e rigorosamente bianca delle destre attualmente in ascesa.
Il paragrafo della Risoluzione europea sulla dimensione di genere e sul ruolo delle donne presenta anch’esso paradossi e ambiguità.
Da un lato si stigmatizzano le violenze, anche di natura sessuale, cui, nelle guerre, soprattutto le donne sono fatte oggetto ma contemporaneamente si auspica un loro maggior coinvolgimento nelle missioni militari.
“Perchè?” mi sono chiesta.
Nell’iconografia di guerra, specie nella prima guerra mondiale non solo in Italia, l’immagine di donna più quotata fu quella che la voleva soprattutto infermiera e madrina di guerra. Nonostante, per inciso, l’impiego degli uomini al fronte obbligò ad una vasta immissione di manodopera femminile nelle industrie e nell’agricoltura. Immissione che passò sotto silenzio e non determinò quasi nessun cambiamento nella condizione subalterna del genere femminile sebbene, voglio ricordarlo, produsse una maggior consapevolezza delle donne sul proprio ruolo e sulle proprie capacità e,nel dopoguerra, diede un importante impulso alle lotte per l’emancipazione.
Vuoi vedere che l’auspicio ad un maggior coinvolgimento delle donne nelle missioni di guerra venga considerato, ahimè, un ulteriore passo avanti emancipativo?
Sarà mica che il paragrafo sul genere sia stato partorito dall’attuale leadership femminile europea, anch’essa del resto e suo malgrado frutto dell’onda lunga dell’emancipazione delle donne?
Il problema è che questa leadership esprime un modello di donna che consapevolmente consolida e perpetua dinamiche di potere patriarcali e di classe insieme a politiche di guerra.
Emancipate forse, liberate per nulla.
Mi sembra invece positivo il passaggio del testo che auspica un maggior coinvolgimento delle donne nella“prevenzione e risoluzione dei conflitti, ai negoziati di pace, al consolidamento e mantenimento della pace, all’azione umanitaria e alla ricostruzione postbellica”.
In questo caso si faccia riferimento all’esperienza, cioè alla capacità relazionali delle donne, più che alla loro natura.
Va detto però che non c’è nulla di nuovo in tutto ciò. Esiste da tempo una risoluzione ONU, la 1325 dell’ottobre del 2000 che, per la prima volta nella storia, riconobbe ufficialmente la specificità dell’esperienza delle donne in una situazione di conflitto sia durante la guerra che negli auspicati processi di pace.
Una risoluzione poco applicata e spesso dimenticata o rimossa. Temo che anche l’auspicio della UE finirà per essere disatteso.
Infine, ma non da ultimo: se davvero, come è scritto nel paragrafo, si volesse rafforzare “la credibilità dell’UE quale sostenitrice della parità di genere in tutto il mondo” si sarebbero dovuti stanziare 800 miliardi non per il riarmo e le politiche di guerra, ma per sostenere processi di ricostruzione di un welfare pubblico capace di leggere e rispondere ai reali bisogni delle persone che nulla hanno a che vedere con il prepararsi a fare una guerra.
Nicoletta Pirotta
Risoluzione-UE-difesa-sicurezza2025
Estratto-PE-su-genere-e-difesa-e-sicurezza
- Per approfondire: https://effimera.org/kosovo-una-guerra-costituente-di-maria-luisa-boccia/.[↩]
2 Commenti. Nuovo commento
Come al solito diretta e nel giusto, nel distinguere emancipazione da liberazione. Mia moglie, comunista e femminista, mi esorta di non proporre piu’ queste distinzioni alle nuove generazioni le quali, esclusi rari casi e momenti di mobilitazione, mi prenderebbero per passatista e fuori di testa. Io insisto perche’ c’e’ qualcosa dentro di me e fuori di me che spinge, nella speranza che noi che abbiamo gridato” Tremate le streghe son tornate”, torniamo a crederci
Interessante il punto di vista di tua moglie (come si chiama?) con la quale mi piacerebb parlarne.
Grazie per il commento.