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L’unico voto utile è quello contro la guerra

di Camilla
De Simone

Avete mai sentito un cittadino italiano, che mastichi poco il linguaggio politico, definirsi “occidentale”? Probabilmente no, perché quella di “Occidente” è una delle categorie dello spirito a uso esclusivo di politici e giornalisti. Del resto, una cittadina del Sud Europa sa bene che l’unica cosa che ha in comune con una coetanea del Nord Europa è il colore del passaporto. E se essere occidentale significa pagare il prezzo morale e sociale delle guerre decise da una minoranza che ha interessi economici nel soffiare sui conflitti, allora si spegne qualsiasi entusiasmo. La guerra mondiale a pezzi, così come il genocidio in mondovisione a cui stiamo assistendo, non sono che l’esito naturale di un sistema diseguale che impoverisce una maggioranza e arricchisce un’oligarchia. La malapolitica, che da anni amministra il nostro Paese e l’Europa, nel tentativo ormai palese di rappresentare gli interessi di quella oligarchia, ha iniziato ad assumere posizioni al limite del grottesco: chiama terroristi quelli che vengono bombardati, e vittime gli autori postmoderni di colonizzazioni e infanticidi. La stessa malapolitica è sempre più esplicitamente vassalla dei latifondisti dell’Ovest che ci vendono il gas al prezzo raddoppiato rispetto a quello russo, e che sono gli stessi che ci costringono da decenni a ospitare nel nostro territorio testate atomiche di loro proprietà (secondo alcune stime, un centinaio), la cui manutenzione costa agli Italiani circa 500 milioni di euro ogni anno.

Ciascuno di noi si trova ad affrontare questa disgregazione globale nel perimetro di un’intima ma comune sensazione di impotenza. Spaesamento e insensatezza sono i sentimenti principali delle nostre vite, emotive e politiche. Sentimenti non necessariamente negativi, che potrebbero persino configurarsi come l’attesa fruttuosa di un ricollocamento nuovo, se noi, cittadine e cittadini, ci sentissimo quantomeno chiamati a dare un senso al presente. Ma nessuno ci chiama, né ci invita a partecipare.

I corpi intermedi, sindacati, partiti, e persino comunità religiose, si sono esauriti lasciandoci soli e sole di fronte al potere pervasivo del mercato nelle nostre vite, la cui adesione spontanea si determina in usi, costumi e consumi. La solitudine emotiva e politica si riflette nell’etica liberal-individualista (o capitalista, o neoliberista che dir si voglia) che convive bene sia con la destra che con la sedicente sinistra. Anzi in quest’ultima ha trovato persino una giustificazione morale, poiché i suoi referenti politici non solo non hanno compreso le conseguenze spaventose della dissoluzione dei corpi intermedi, ma hanno addirittura promosso l’ethos dell’individuo-libero-sopra-ogni-cosa, elevandolo a nómos, nella combinazione funesta di galateo per coscienze infelici. Insomma, il centro-sinistra è convinto che ci possa essere davvero una libertà individuale senza partecipazione alla vita politica, e dunque collettiva. Salvo poi tornare a parlare di vita politica il giorno prima delle elezioni. Il risultato è che oggi, all’ennesima vigilia elettorale, la partecipazione alle urne rischia di essere persino peggiore del previsto.

In linea con quanto seminato finora, nel tentativo penoso di racimolare qualche voto per superare la soglia di sbarramento, alcuni hanno deciso di intraprendere la via del ricatto morale del voto utile: “se non voti chi è parte del sistema, allora è colpa tua se vincono i fascisti”. Mentre le comunità si disgregano e le persone perdono lavoro e speranze, una certa sedicente sinistra ha rinunciato con nonchalance alla sua vocazione universale, e ha deciso che l’unica lotta degna è quella al fascismo (senza preoccuparsi di chiedere il parere di chi dovrebbe rappresentare). Lotta che andrebbe combattuta promuovendo la cultura dell’individuo che simbolicamente redimerebbe la collettività. Ma di quali simboli parlano? I simboli hanno senso se e solo se richiamano emotivamente le persone a un orizzonte storico, reale o immaginario che sia. Cosa hanno di simbolico delle singole candidature promozionali, che somigliano piuttosto a santini distribuiti al termine di una messa che ha rinunciato da tempo a parlare al cuore del paese reale? Le tracce dei molteplici lavaggi delle entità senza identità del centro-sinistra permangono nei colori sbiaditi dei loro loghi, allegorie senza storia che a malapena muovono le matite copiative degli elettori più affezionati. Nel frattempo, la destra sopravvive (meglio) grazie a un legame (mitico o reale poco importa) con la propria storia, facilmente riscontrabile nell’estetica dei simboli dei suoi partiti: dalla fiamma tricolore, al condottiero della battaglia di Legnano.

Se da cittadina potessi rivolgere un appello a coloro che, come me, custodiscono ancora il desiderio di un nuovo sole che guidi l’umanità fuori da una notte sempre più buia, innanzitutto incoraggerei ad abbandonare i residui del realismo capitalista, cioè di quella convinzione infondata che paralizza l’azione e impedisce di pensare che un’altra via è pensabile, necessaria e praticabile. Incoraggerei a ribadire con convinzione che l’unica via impraticabile è quella che le élite occidentali hanno deciso per noi: la via dell’unipolarismo statunitense, del riarmo, dell’impoverimento ulteriore delle classi medie e popolari, dell’insicurezza, della flessibilità che significa solo precarietà, dei diritti fondamentali, dalla salute all’istruzione, ridotti a privilegi. Incoraggerei a dire convintamente che i vaneggiatori non siamo noi, ma sono coloro che spacciano questo disastro come “il migliore dei mondi possibili”. Incoraggerei, infine, a rinunciare a imporre a ogni costo le proprie ragioni, e a porsi pazientemente in ascolto, nell’attesa di qualcosa che evidentemente ancora ci sfugge.

In un presente asfittico votato all’utilità come sinonimo del calcolo utilitaristico, che è la vittoria della morale capitalistica e la morte del pensiero, avverto in questi ultimi giorni prima del voto la necessità di esprimere un parere personale, certamente in-utile, ma libero da ricatti e condizionamenti. Questo parere si determina più concretamente nella decisione personale di dare il voto alla lista Pace, Terra, Dignità, che in pochi mesi e con esigui strumenti ha dimostrato di saper fare politica virtuosa, anzitutto intuendo quale è il vero nemico del popolo oggi, cioè la cultura della guerra, e poi decidendo di marcarlo come un giocatore di calcio coraggioso che si mette alle calcagna dell’avversario più temibile, con l’obiettivo di strappargli il pallone. Al contrario di altri partiti che, pur dotati di maggiori risorse, hanno deciso di fare campagna elettorale in panchina. Inoltre, mi sembra che PTD porti avanti non solo proposte programmatiche, ma anche una visione del mondo alternativa al presente. Una visione del mondo che si compone dei desideri di verità, giustizia, pace e uguaglianza, di un popolo abbandonato a se stesso, che in molti casi ha smesso di votare perché “sono tutti uguali”, ma che continua intimamente a sperare che la politica faccia il suo dovere: mettere in pratica la Costituzione.

La costante crescita nei sondaggi suggerisce che questa lista abbia imboccato la via giusta, sebbene il tempo non sia dalla sua parte. Il raggiungimento di un quorum antidemocratico, come quello del 4%, è relativamente importante: se si conseguirà un buon risultato sarà e dovrà essere l’inizio di un percorso dal basso, al di là di chi siederà all’Europarlamento. C’è bisogno di coraggio, visione e soprattutto coesione.

Camilla De Simone

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