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L’Italia dei poveri nella morsa di un governo ideologico di destra

di Alessandro
Scassellati

Guardando ai contenuti della manovra finanziaria presentata dal governo Meloni in Parlamento si può dire che le forze politiche della destra preferiscono chiudere gli occhi sull’evasione fiscale dei benestanti e ricchi, ma diventano spietate con i più fragili e vulnerabili e ci vogliono convincere che i poveri sono colpevoli della loro condizione.

Consistenza e caratteristiche della povertà in Italia

È stata pubblicata (ed è disponibile qui in formato pdf) a cura del Cilap l’edizione 2022 del rapporto Poverty Watch Italia che è frutto di un’attenta analisi dei rapporti sullo stato del paese – Censis, Istat, Caritas, Fiopsd, Cittadinanza Attiva – e si basa sull’ascolto delle persone in povertà e sulle attività che le organizzazioni aderenti alla rete vivono quotidianamente.

In Italia le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta sono almeno sei milioni. C’è poi oltre un milione di lavoratori con un salario orario di 8,41 euro l’ora e quasi quattro milioni che percepiscono 12mila euro l’anno. In sostanza, circa dieci milioni di italiani sono privati della possibilità di un reale consumo. Bisogna poi considerare che ci sono oltre 14 milioni di over 65, nella stragrande maggioranza dei casi in possesso di una pensione attorno ai mille euro mensili. Infine, sette milioni di giovani di età compresa fra 18 e 34 anni vivono in casa con i genitori. Sono quindi almeno circa 18 milioni i cittadini che rischiano l’esclusione sociale, il 28,7% del totale, più di uno su quattro – uno su due nel Mezzogiorno, una parte d’Italia dove vivono 20 milioni di persone (un terzo degli abitanti totali)1 -, perché non in grado di affrontare imprevisti, in ritardo con mutuo e bollette, incapaci di fare un pasto adeguato ogni due giorni o di garantire alla famiglia una settimana di vacanza all’anno.

Quasi una famiglia su 10 non ha accesso ai beni e ai servizi essenziali per vivere, e il rapporto sale a 3 famiglie su dieci se consideriamo soltanto i cittadini di origine straniera residenti da noi. La povertà crea altra povertà, emarginazione e assenza dei diritti più basilari, come in un circolo vizioso, come un effetto domino difficile da arrestare. Ecco quindi che il passaggio dalla povertà economica delle famiglie alla povertà educativa dei minori e alla totale ignoranza dei propri diritti diventa semplice, terribilmente immediato. In Italia un bambino su quattro rischia di essere vittima di povertà economica, educativa e sociale.

Per una rete come il Cilap che si occupa di povertà dal 1990, la povertà è studiata nelle sue cause e insieme a coloro che la vivono perché chi partecipa ai gruppi nazionali delle persone in povertà ne ha fatto o ne fa ancora esperienza diretta, parla di sé, descrive cosa significa essere povere: parla della povertà dei bambini ereditata dagli adulti di riferimento; della mancanza di alloggi protetti per senza dimora; del sovra-indebitamento (lo Stato è il maggior beneficiario di giochi da banco che aumentano il rischio di indebitamento da parte soprattutto delle persone in povertà e dei migranti che spendono i propri soldi alle slot machines); della mancanza di un lavoro decente – non povero, non precario, non punitivo – che consenta di vivere in maniera dignitosa.

Le persone in povertà negli anni hanno offerto alle istituzioni europee e nazionali le loro soluzioni: un lavoro che non renda povero, una maggiore comprensione all’accesso ai servizi pubblici soprattutto sanitari; lavoro e salute, non chiedono molto, diritti costituzionalmente riconosciuti.

A giugno 2022, la Commissione Europea ha pubblicato la “Relazione per paese 2022 – Italia” dove si riporta che l’Italia continua a registrare squilibri macroeconomici eccessivi per i quali non si prevede che si ridurranno nel breve termine. Disoccupazione persistente e occupazione precaria, in particolare per le donne, i giovani e nelle regioni meridionali, alto rischio di povertà ed esclusione e infrastrutture carenti sono alcuni degli aspetti evidenziati.

Le misure messe in atto (ma ancora non sono state studiate le misure del governo Meloni) sono state a sostegno delle famiglie in difficoltà, hanno avuto un impatto non trascurabile sulla condizione di povertà assoluta delle famiglie e delle persone residenti nel nostro Paese; secondo l’Istat, Reddito di cittadinanza (RdC) e Reddito di emergenza hanno permesso a circa 840 mila italiani e 180 mila stranieri di non sperimentare la condizione di povertà assoluta nel 2020. Secondo i dati dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, il RdC riduce l’incidenza della povertà assoluta di 2-3 punti percentuali2.

Il Reddito di Cittadinanza, avviato nel 2019 dal primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, ha avuto questo andamento:

Anno Nuclei Beneficiari
2019 Aprile – Dicembre 975.133 2.559.361
2020 1.421.082 3.523.433
2021 1.602.390 3.764.838
2022 Gennaio – Settembre 1.489.051 3.403.945

Fonte: Osservatorio Reddito di Cittadinanza INPS

I beneficiari suddivisi per aree geografiche sono:

Aree geografiche Aprile – Dicembre
2019
Gennaio – Dicembre 2020 Gennaio – Dicembre 2021 Gennaio – Settembre 2022
Nord 228.481 nuclei 546.591 persone 337.963 nuclei 761.061 persone 370.943 nuclei 796.434 persone 312.404 nuclei 653.393 persone
Centro 144.391 nuclei 346.622 persone 218.606 nuclei 498.378 persone 258.235 nuclei 554.614 persone 236.976 nuclei 489.633 persone
Sud e Isole 602.261 nuclei 1.666.148 persone 864.513 nuclei 2.263.994 persone 973.212 nuclei 2.413.790 persone 939.671 nuclei 2.260.919 persone

Nel 2022 la rete EAPN UE, di cui Cilap è la sezione italiana, ha identificato alcuni principi chiave del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali come problemi prioritari:

  1. salario minimo, salario equo e lavoro dignitoso. Il Pilastro Europeo dei diritti sociali ha richiamato il diritto a una retribuzione equa e dignitosa e ha fissato i principi per determinare il salario minimo;
  2. protezione sociale, gruppi sociali a rischio e reddito minimo. In Italia non esiste una forma di protezione sociale ben finanziata, universalistica e “non a termine” per le fasce sociali che vivono al di sotto della soglia di povertà. Dopo un certo periodo di copertura tramite gli ammortizzatori sociali, queste persone e famiglie non hanno nessun sostegno, fatta eccezione per il RdC che comunque ha avuto finora una durata massima di 18 mesi (rinnovabile). Il RdC è diventato lo strumento più importante di lotta al disagio sociale che – pur con le sue ombre3 – ha permesso di arginare l’emergenza sociale durante la fase più acuta della pandemia da CoVid-19;
  3. accesso ai servizi essenziali, inclusi servizi sociali, assistenza, alloggio, salute, istruzione, formazione e apprendimento permanente.

Ogni anno l’ISTAT redige una fotografia sulle condizioni di vita e reddito in Italia che restituisce una cartina della crisi socio-economica e geografica del Paese. Il quadro che emerge è quello di un Paese sfibrato e diviso, di un’Italia sempre più povera e disuguale: la crisi della pandemia da CoVid-19 ha mandato in fumo il 9,5% della ricchezza nel 2020 e sono aumentate le disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra giovani e anziani, tra chi ha più figli e chi non ne ha, tra territori.

Il governo Meloni e la povertà

Il governo Meloni si è insediato solo da poche settimane, ma già il suo orientamento in relazione alla lotta alla povertà può essere valutato sulla base dei contenuti della manovra economica per il 2023 (che dovrà superare dibattiti e modifiche in Parlamento) che contiene soprattutto 21 miliardi su un totale di 35 – a debito – da dedicare a calmierare il caro energia (risorse comunque insufficienti e per di più previste per i soli primi tre mesi del 2023), prorogando le misure introdotte dal governo Draghi4.

Il Presidente del Consiglio si è affannato a ripetere più volte che il tempo a disposizione del nuovo esecutivo è stato poco per cui non ci sono le cosiddette riforme, rinviate all’anno prossimo e che la manovra ha soprattutto l’obiettivo di dare ossigeno a varie componenti della classe media in via di sfarinamento, a cominciare dai lavoratori autonomi con redditi fino ad 85 mila euro – il ceto medio su cui puntano Meloni, Salvini e Berlusconi5 – che ottengono la flax tax al 15% con un guadagno di circa 700/800 euro mensili6, senza colpire i ricchi e le imprese7.

È una legge di stabilità che – a parte il caro energia – stanzia ben poche risorse per tutto il resto e tutte indirizzare a mettere delle bandiere su misure ideologicamente molto connotate. Nel complesso c’è una sostanziale continuità con la cosiddetta “agenda Draghi”, mentre l’inflazione viaggia su un più 11,8% e per l’Italia viene pronosticata una recessione economica nei prossimi mesi. Con un tale tasso di inflazione il valore reale di salari e stipendi (potere di acquisto) è in discesa e il rapporto Svimez 2022 prevede che per via dei rincari nel 2022 in tutta Italia ci saranno altri 760 mila poveri (287 mila nuclei familiari), di cui mezzo milione al Sud.  Anche la conferma dei saldi (poco più di 3 miliardi) per sanità, istruzione (ma 70 milioni vengono ripristinati per le scuole private, mentre quelle pubbliche continuano ad essere fatiscenti e non a norma) e trasporto pubblico locale significa operare in concreto un enorme taglio orizzontale alla spesa sociale. Di fatto, l’anticamera di un nuovo corso di politiche di austerità proprio nel momento in cui una nuova crisi economica farà aumentare il numero di disoccupati e poveri nel 2023. Un esito piuttosto paradossale se si pensa che dopo un anno passato all’opposizione del governo Draghi a raccogliere il consenso di chi ne soffriva le politiche antisociali, Meloni è andata al governo solo per virare ancora più radicalmente verso le politiche di austerità (avendo accettato il cosiddetto “realismo fiscale”, ossia la piena compatibilità con i vincoli di bilancio imposti dalle istituzioni europee8).

Meloni, con la sua legge di stabilità (articolo 59), ha annunciato che il RdC verrà abrogato dal primo gennaio 2024, “quando sarà compiuta la organica riforma delle misure di sostegno alla povertà e di inclusione attiva che andranno a sostituire l’attuale RdC e contestualmente a costituire un apposito «Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva»”, nel quale dovrebbero confluire i fondi derivanti dalla soppressione del RdC (stimati in circa 7 miliardi di euro). Per il 2023 viene imposta una riduzione da 18 mesi a 8 mensilità per gli “occupabili”, una categoria che nel concreto rimane assai incerta da definire9, i beneficiari tra i 18 e 59 anni e i nuclei familiari che non includano al loro interno minori10, disabili o soggetti di età almeno pari a 60 anni (secondo l’INPS pari a 404 mila nuclei familiari su 1.039.000, circa 700 mila persone), insieme ad altre misure, che hanno tutte l’obiettivo di “evitare un effetto disincentivante al lavoro”. Questo perché, in una lampante contraddizione, il governo concepisce il RdC come uno strumento propedeutico all’inserimento al lavoro, secondo i principi del workfare, ma al tempo stesso vuole toglierlo il prima possibile proprio a chi viene definito come un lavoratore potenziale.

Siamo di fronte ad un vero attacco alle persone in povertà, alla povertà, alla disoccupazione e alla inoccupazione (che si salda con le misure già prese contro altri soggetti deboli come i migranti, con la legalizzazione dei respingimenti in mare, e i giovani, con il decreto anti-rave, che criminalizza la movida giovanile e tenta di introdurre surrettiziamente norme liberticide e intercettazioni generalizzate, e la “piattaforma educativa dell’umiliazione” degli studenti presentata dal ministro dell’Istruzione e del Merito). La colpa è sempre dei più deboli e vulnerabili, se sei povero è colpa tua. Nell’immaginario di chi ci governa, tra quel un milione circa di cittadini “occupabili”– che percepiscono in media 543 euro mensili – ci sarebbe dunque una significativa quota di colpevoli, perché visti come “fannulloni”, parassiti “seduti sul divano11.

Tra le altre misure previste che si possono considerare “punitive” degli “occupabili”, ci sono:

  • un periodo obbligatorio di sei mesi di partecipazione a un corso di formazione e/o di riqualificazione professionale (di cui alla legge 28 marzo 2003, n. 53) per quei soggetti in età lavorativa che attualmente sono tenuti alla sottoscrizione dei patti per il lavoro; la mancata frequenza comporta la decadenza dal beneficio RdC12;
  • tutti i percettori di RdC residenti nel comune debbono essere impiegati in progetti utili alla collettività e non più soltanto un terzo di essi;
  • la decadenza dal RdC scatterà già al rifiuto della prima offerta congrua di lavoro e non più di una di due. In una fase economica così complicata, davvero ci si illude che ci siano così tante imprese, e così in salute, da poter assorbire tutta questa mole di presunti “occupabili” nel giro di otto mesi? Un’ambizione decisamente velleitaria e demagogica.

Sempre per gli “occupabili” è anche previsto che nel caso di stipula di contratti di lavoro stagionale o intermittente, tipici del settore turistico e dell’agricoltura, il maggior reddito da lavoro percepito non concorra alla determinazione del beneficio economico, entro il limite massimo di 3.000 euro. “Ciò al fine di neutralizzare l’effetto deflattivo del ricorso al lavoro stagionale per i percettori del Rdc, e rispondere alla problematica della carenza di manodopera evidenziata dal settore turistico e agricolo”.

Altre misure che, secondo il governo, dovrebbero dare respiro ai lavoratori e alle famiglie in sofferenza (fino a 15 mila euro di reddito) sono il taglio del cuneo fiscale di 2 punti (ma si tratta di briciole, già assegnate dal governo Draghi), pari a 4,2 miliardi di euro. Si aggiunge un altro punto per i lavoratori fino a 20 mila euro di reddito (pari ad un aumento al massimo di 11 euro al mese). Misure che non avranno praticamente alcun impatto sui salari netti dei lavoratori, e che probabilmente saranno fagocitati alla prossima tornata di rinnovi contrattuali, quando diventeranno il pretesto per concedere minori aumenti.

Anche le pensioni minime aumenteranno, ma di molto poco, arrivando a 555 euro mensili (secondo il metodo della “perequazione maggiorata”, pari a 8 euro in più al mese13). Si stabilisce quota 103, ovvero in pensione a 62 anni con 41 di contributi, per una platea di 48 mila lavoratori con un tetto dell’assegno pari a cinque volte la minima. Le donne potranno andare in pensione prima: a 58 anni se hanno due figli, a 59 con un figlio, a 60 anni senza figli, quindi una misura peggiorativa visto che oggi possono uscire dal lavoro a 58 anni e 35 di contributi (un anno in più per le autonome) a prescindere dai figli.

Poi, c’è la riduzione dell’IVA per i prodotti sull’infanzia e l’igiene intima femminile che è certamente una buona cosa, mentre il testo della legge di stabilità ha ridimensionato la portata del contributo per i nuclei numerosi (l’assegno unico per i figli)14: l’aumento per coloro che hanno tre o più figli sarà del 50% fino ai tre anni di ciascun figlio, ma solo sotto i 40mila euro Isee15. Inoltre, il governo Meloni, mentre non prevede nulla sul salario minimo, la cui assenza è funzionale a lasciare milioni di lavoratori con paghe indegne e in balia delle offerte di lavoro precarie, ha deciso di fare l’elemosina ai 5,6 milioni di poveri assoluti e, attraverso i Comuni, coloro che hanno un reddito lordo inferiore a 15.000 euro l’anno (circa 800 euro netti al mese) riceveranno una “social card” (la “Carta Risparmio Spesa”, su cui viene messo mezzo miliardo di euro) spendibile in alcuni supermercati per comprare latte, pane e pasta (80 euro ogni 2 mesi).

Infine, il governo propone di detassare le mance che vengono erogate dai clienti ai camerieri, un modo per confermare i loro bassi salari, e di reintrodurre dei famigerati voucher (aboliti nel 2017 perché la Cgil aveva già raccolto 1 milione di firme per un referendum) per favorire ancora di più la trasformazione del mercato del lavoro in una realtà frammentata, precaria e iperflessibile, in cui chi cerca lavoro è costretto a sottostare allo sfruttamento fino al limite del lavoro schiavistico ormai sempre più diffuso in agricoltura, nel turismo e nei servizi poveri e nel lavoro domestico16.

In conclusione, possiamo dire che nella visione del governo e delle forze politiche di destra che lo sostengono manca qualsiasi analisi, politica e misura che intervenga sulle cause strutturali della disuguaglianza17 e della povertà (come anche dell’immigrazione forzata). Prevale la rimozione della questione relativa a quali risposte deve dare uno Stato all’emarginazione sociale ed economica di milioni di famiglie. Tutte le forze politiche al governo attaccano il RdC per ragioni ideologiche ed elettoralistiche, ma nessuna di loro propone ricette/interventi/politiche per superare lo scandalo vero di un paese europeo con quasi 6 milioni di persone in povertà assoluta (che tra l’altro non sono neanche tutte beneficiare dell’attuale RdC) . Soprattutto, rimane del tutto inevasa la questione gigantesca di come si creano posti di lavoro stabili con salari/stipendi dignitosi18 e che cosa è oggi il lavoro e il suo mercato dopo decenni di progressiva deregolamentazione.

Paradossalmente, decenni di flessibilità del lavoro hanno prodotto una società rigida, immobile: l’”ascensore sociale” non funziona più. È sempre meno vero che se studi trovi un lavoro adeguato e dignitoso e se lavori duro, fai dei sacrifici e lotti, puoi farcela. Le disuguaglianze accelerano e le barriere a opportunità e successo sono più alte che mai. La povertà e la ricchezza si tramandano sempre di più di generazione in generazione. L’1% più ricco in Italia possiede un quarto della ricchezza nazionale netta, pari a 39 volte la ricchezza del 20% più povero della popolazione, certifica l’OCSE. Fra il 2007 e il 2021 il numero di persone in povertà assoluta è passato da 1,8 a 5,6 milioni.

Alessandro Scassellati

 

  1. Al Sud la povertà investe il 9,4% delle famiglie, mentre il PIL pro capite è più basso quasi del 45% rispetto a quello del Centro-Nord e la differenza sul reddito disponibile per abitante è di circa il 35%. Motivo in più per emigrare: oltre 2,5 milioni se ne sono andati dal Sud tra il 2002 e il 2020 (il 16% all’estero), a fronte di circa 1 milione di rientri, con una perdita netta di oltre 1 milione di persone: nel 73% dei casi giovani entro i 34 anni, circa un 25% laureati. Tra il 2007 e il 2020 il Sud ha perso oltre 210 mila laureati, di cui circa 180 mila verso il Centro Nord.[]
  2. Il RdC è uno strumento “lavoristico” (condizionato all’accettazione di proposte di lavoro pena la sospensione dell’erogazione) pensato per le famiglie e gli individui che si trovano in difficoltà economica, ma non è mai stato equiparato ad un sussidio di disoccupazione. Si tratta piuttosto di una misura di sostegno al reddito che rimane disponibile una volta terminati gli strumenti ordinari, come la cassa integrazione e il sussidio di disoccupazione. Alcuni dei beneficiari hanno anche un lavoro, che però non consente loro di raggiungere una soglia di reddito tale da uscire dalla povertà. Il fenomeno del lavoro povero è sempre più esteso e radicato nel sistema attuale del mercato del lavoro. Per quanto riguarda il RdC c’è da dire infine che l’assegno è mensile, ma ha un importo fisso: dipende dal numero di componenti della famiglia, dall’Isee, dalle eventuali integrazioni per pagare l’affitto. L’erogazione dell’assegno è legata a un percorso di inserimento lavorativo, obbligatorio per i percettori tra i 18 e i 65 anni. Non è invece obbligatorio per i disabili o per chi ha a carico disabili o minori di tre anni.[]
  3. Nel 2019, il Cilap ha criticato il RdC nelle sedi che poi lo hanno approvato: Camera e Senato durante le consultazioni, ma anche nel Comitato di Sorveglianza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il Cilap si è opposto all’affidamento all’INPS e ai Centri per l’impiego della presa in carico, togliendo a Comuni e servizi sociali la possibilità della regia per la presa in carico (accettazione delle domande) e quindi di fare i classici colloqui di verifica dei requisiti. Lasciando quindi ai Comuni il Patto per l’inclusione (per coloro che non sono occupabili). Certo rispetto al Rei, il beneficio economico è più alto, ma la seconda gamba del RdC non è mai decollata. I Centri per l’impiego non sono gli uffici di collocamento di una volta, dove chi vi si iscriveva aveva qualche possibilità di essere assunto dalle aziende. I Centri per l’impiego oggi dovrebbero fare matching, sono dei facilitatori, dove il beneficiario deve però attivarsi. Cosa molto complicata da far capire ai richiedenti un lavoro: “cosa significa attivarsi?“, “io mi iscrivo al Centro per l’impiego ma nessuno mi chiama“, queste sono le questioni che spesso vengono espresse dagli utenti. Il percettore di RdC dovrebbe guardarsi intorno, cercare le opportunità che il mercato del lavoro, pubblico o privato, (non) offre. Cosa non semplice dato che la maggioranza dei beneficiari di RdC hanno basse o nulle competenze.[]
  4. Questo sostegno è fortemente sbilanciato verso le imprese e copre solo in minima parte le famiglie. Dei 21 miliardi stanziati circa 4 servono per prorogare l’azzeramento degli oneri di sistema e la riduzione al 5% dell’IVA sul gas metano, misure che vengono presentate come rivolte alle famiglie ma, in realtà, ne beneficerà tanto una famiglia in difficoltà quanto una grande impresa, ed in proporzione ai consumi, dunque con enorme vantaggio della seconda: l’azzeramento degli oneri di sistema si applica infatti a tutte le utenze, domestiche e non, mentre la riduzione dell’IVA sul gas si applica sia agli usi civili che industriali. Poi, la parte del leone la fa la proroga e l’estensione dei crediti d’imposta per le imprese, che assorbiranno fino al 45% della spesa per le imprese energivore e, per le altre, non saranno comunque inferiori al 35% delle bollette: questo sì un argine significativo al rialzo dei prezzi energetici, ma riservato alle imprese. Per il caro bollette restano, per le famiglie, le briciole stanziate per prorogare il bonus sociale, destinato al pagamento delle bollette di luce e gas alle sole famiglie più povere, con ISEE inferiore ai 15 mila euro. Poco più di 1 miliardo su 21. C’è anche da considerare che è prevista una proroga solo parziale dello sconto sulle accise: le imposte sulla benzina, calmierate per far fronte all’impennata nei prezzi nel 2022, tornano a salire dal primo gennaio prossimo con un impatto immediato sulle tasche di chi è costretto ogni giorno a spostarsi con mezzi propri per andare al lavoro. In sostanza, alle bollette delle persone comuni, come ai prezzi di genere alimentari, non verrà posto nessun tetto, lasciando continuare la speculazione in atto, che crea anche inflazione al 12% mangiando i miseri salari e le pensioni.[]
  5. Secondo i dati di un recente studio sulle ultime elezioni la percentuale di partecipazione al voto cambia moltissimo a seconda della fascia di reddito. Ha votato infatti l’80% degli aventi diritto nelle fasce più alte di reddito, il 63% nelle fasce medie e solo il 30% nelle fasce più basse. L’astensionismo ha dunque una chiara matrice popolare. Esiste, nel nostro Paese, il 70% degli elettori più poveri che non trova una rappresentanza.[]
  6. L’innalzamento del tetto della flat tax sul reddito aumentato rispetto al migliore degli ultimi tre anni per i liberi professionisti benestanti, che possono arrivare a guadagnare quattro volte il reddito di un contribuente medio, contraddice il principio costituzionale della progressività, poiché chi guadagna di più pagherà di meno e contemporaneamente si sottopongono a trattamenti fiscali differenti cittadini che hanno lo stesso reddito (gli autonomi pagheranno il 15% contro il 23% minimo dei dipendenti, che arrivano al 43% a 50 mila euro di stipendio). Poi, c’è il capitolo “pace fiscale”, ovvero la rottamazione delle cartelle fino a mille euro, quindi un condono, mentre quelle fino a 3mila verranno pagate solo al 50%, senza sanzioni e interessi. Chi ha pagato le tasse fino all’ultimo euro, verrà ancora una volta gabbato. Misure che si saldano con l’innalzamento dell’uso del contante, da mille a 5 mila euro, e al via libera al fatto che fino a 60 euro di spesa i negozianti potranno rifiutarsi di accettare i pagamenti col Pos, che sono favori agli evasori e a chi vuole fare affari poco puliti (riciclo di denaro, usura, pagare beni e lavoro nero, etc.[]
  7. Manca del tutto un intervento per irrobustire il settore industriale, di per sé molto fragile, soprattutto al Sud, e anche provato dalla crisi sanitaria. Si continuano a finanziare le imprese, concedendo ulteriori agevolazioni fiscali che si sommano ai 20 miliardi annui che lo Stato italiano dà al settore privato: molto spesso senza risultati produttivi e senza alcun controllo sulla loro destinazione e sul loro utilizzo, ossia senza provare ad orientare gli investimenti dal punto di vista della creazione di occupazione, della parità di genere e della destinazione territoriale. In particolare, per le imprese sono previste numerose misure: la proroga della sovvenzione pubblica per il pagamento delle tasse “ambientali”, sugar e plastic tax; la decontribuzione (1 miliardo) per le imprese che assumono a tempo indeterminato donne, giovani under 36 e percettori di RdC; il rifinanziamento (1 miliardo) del Fondo di garanzia PMI, utile a favorire il credito bancario verso le imprese, nuove risorse per finanziare l’acquisto di beni digitali (Piano Transizione 4.0); il credito d’imposta per finanziare le attività di formazione 4.0; un fondo per la tutela del Made in Italy ed agevolazioni per l’acquisto di beni strumentali (Nuova Sabatini).[]
  8. La Commissione Europea ha già indicato l’Italia tra i paesi a rischio di significativi squilibri macroeconomici, segnalando l’elevato debito pubblico come il principale elemento di vulnerabilità. Un monito al governo Meloni, che potrebbe vedersi chiudere quei margini di flessibilità concessi dalla stessa Commissione a Draghi per una serie di scostamenti di bilancio extra che, nel corso del 2022, hanno consentito al precedente governo di tamponare i primi effetti sociali dello scoppio della guerra. La destra ha passato anni a contestare l’Europa della finanza e dei tecnocrati e ora ha confezionato una legge di bilancio “prudente, responsabile e sostenibile per la finanza pubblica”, nelle parole del ministro Giorgetti.[]
  9. Tra gli “occupabili” chi potrà essere realmente inserito nel mondo del lavoro non sono molti; le invalidità civili incidono, così come i riconoscimenti per il lavoro protetto (invalidità superiore al 46%). Inoltre, tra di loro ci sono anche tanti lavoratori poveri (working poor). Chi conosce almeno alcune delle famiglie percettrici di RdC, sa benissimo che se queste persone non lavorano è quasi sempre per qualche ragione seria, ragioni complesse. Chi è “povero” lo è per una mancanza cronica di capitali educativi, sociali, professionali, famigliari, sanitari, emotivi, relazionali, e questa mancanza di capitali si manifesta in una mancanza di flussi (reddito, denaro). Secondo i monitoraggi di Anpal, i beneficiari del RdC indirizzati ai servizi per il lavoro sono stati circa un milione. Di questi, solo 90 mila hanno instaurato un contratto di lavoro a tempo indeterminato e, tra questi, solo il 3% svolge professioni di livello medio-alto, mentre il resto è finito nelle professioni prevalentemente non qualificate. Tantissimi percettori che hanno trovato lavoro, dopo poco tempo, si sono ritrovati nuovamente a richiedere il sostegno. A ciò aggiungiamo che quasi la metà di quel milione non ha mai lavorato, che il titolo di studio prevalente (oltre il 70%) tra i non occupati è al massimo la scuola media e che il 60% dei soggetti presi in considerazione corrisponde a una persona adulta (l’età media è tra i 35-37anni) e quindi non si tratta di giovani “seduti sul divano”. A settembre, molto probabilmente questi “occupabili” andranno ad incrementare la povertà assoluta che vede già la presenza di oltre 6 milioni di persone.[]
  10. I minori che vivono nelle famiglie che percepiscono il RdC sono deprivati sin dalla nascita. L’ascensore sociale per loro è un miraggio. In Italia, l’incidenza della povertà tra le famiglie con minori varia molto a seconda della condizione lavorativa e della posizione nella professione della persona di riferimento: 9,4% se occupata (15,8% nel caso di operaio) e 22,3% se non occupata (29,1% se è in cerca di occupazione). Molti sono i giovani (il 23,1% dei 15-29enni) che quando finiscono gli studi, defluiscono nel mondo dei NEET, quelli che non studiano, non lavorano e non formano un proprio nucleo familiare (un fenomeno di isolamento sociale simile a quello degli hikikomori giapponesi), perché non trovano un’occupazione oppure finiscono nella trappola dei lavori intermittenti e precari della gig economy, per cui riescono a sopravvivere solo grazie all’appoggio familiare (i redditi e le pensioni di nonni e genitori). Allo stesso tempo, il 12,7% degli studenti non arriva al diploma, perché abbandona precocemente gli studi. C’è una forte disparità geografica nella “dispersione implicita”, che risulta più alta in Campania, al 19,8%. L’abbandono scolastico nella maggior parte delle regioni del sud va ben oltre la media nazionale (del 12,7%), con punte in Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%) e valori decisamente più alti rispetto a Centro e Nord anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%).[]
  11. Di per sé la revisione del RdC nel 2023 comporta un risparmio irrisorio: solo circa 740 milioni su un totale di oltre mille miliardi di spesa pubblica nel bilancio dello Stato italiano. Non è quindi una questione economica, ma ideologica: il vero intento della scelta è impedire che un reddito di base faccia concorrenza ai salari, spingendo per un aumento di questi ultimi.[]
  12. Quello della formazione e/o riqualificazione dei percettori del RdC è stato l’obiettivo di tutti i governi precedenti negli ultimi 4 anni. Da un punto di vista normativo è già tutto scritto (Lep H – Decreto Ministeriale 4/2018) e si tratta esattamente del Target 3 del Programma Gol finanziato dal PNRR. Il problema è sempre stata l’attuazione: è piuttosto arduo che in otto mesi si riesca ad andare a regime, quando all’attuazione del Programma Gol mancano ancora decreti attuativi, effettivo potenziamento del personale nei Centri per l’impiego, piattaforme e una nuova governance di Anpal. In particolare, nel Mezzogiorno, ad eccezione di ingenti risorse in job creation (per esempio i cosiddetti lavori socialmente utili) o in programmi di mobilità occupazionale, la maggior parte degli strumenti di politica attiva del lavoro difficilmente garantirebbe un rapido collocamento nel mercato del lavoro, soprattutto la formazione professionale. Inoltre, riqualificare queste persone rappresenta per l’attore pubblico una “sfida” enorme: si tratta infatti di adulti a cui spesso mancano le basi di matematica, che non sono in grado di esprimersi in modo appropriato e che hanno una soglia di attenzione bassissima. I tempi sono dunque necessariamente molto lunghi (diversi anni). Riuscire a trasmettere al percettore di RdC delle competenze “appetibili” per il datore di lavoro è certamente la soluzione e la strada da percorrere, ma il processo richiede molto tempo. Il rischio della proposta prevista dal governo è che a settembre del 2023 oltre mezzo milione di percettori del RdC più che “occupabili” diventino in realtà disperati senza lavoro e facili prede per il sommerso o la criminalità organizzata.[]
  13. Berlusconi in campagna elettorale diceva: “votate a destra e raddoppieremo le pensioni minime portandole a 1000 euro al mese” ma in realtà dal 1° gennaio 2023 passeranno da 528 euro mensili a 555 euro mensili (nemmeno un caffè al giorno.[]
  14. Se 20 anni fa la povertà riguardava soprattutto gli anziani, oggi tocca per lo più i giovani: se il capofamiglia ha meno di 44 anni, tra il 2007 e il 2020, è salita dal 3,2 ad oltre l’8%, se ha meno di 34 anni si è impennata dall’1,9 ad oltre il 10%, famiglie in cui vivono oltre un milione di minorenni. A parte i bonus per i nuovi nati e l’assegno unico per i figli, non c’è alcuna strategia per sostenere effettivamente il reddito delle famiglie con figli, specie se numerose, che hanno visto aumentare l’incidenza della povertà assoluta e della deprivazione grave. I minori e i giovani fino a 34 anni costituiscono più della metà dei circa 5,6 milioni di poveri assoluti (gli anziani circa un ottavo), ma continuano a rimanere ai margini sia delle politiche redistributive sia di quelle di investimento sociale.[]
  15. Il premio per i piccoli fino a 12 mesi – che riguarderà in parte, anche chi è nato nel 2022 – sarà di 87,5 euro in più per le dichiarazioni Isee sotto i 15.000 euro e calerà fino al minimo di 25 euro in più dai 40.000 Isee in poi. Dunque, per gli Isee più bassi l’assegno sarà di 262,5 euro al mese, per un totale di 3.150 euro l’anno (l’aumento è di 1.050 euro), mentre per gli Isee più alti la quota universale passerà da 50 a 75 euro, per 900 euro a figlio l’anno (e 300 euro in più). Tra l’assegno massimo di 262,5 euro e quello minimo di 75 euro l’importo decresce progressivamente. Le cifre sono le stesse per i figli tra uno e tre anni che hanno almeno due altri fratelli o sorelle, l’unica differenza è che in questo caso l’aumento del 50% non sarà riconosciuto per gli Isee superiori a 40.000 euro. La manovra prevede anche che il mese in più di congedo pagato all’80% nei primi sei anni di vita del figlio viene destinato solo alle mamme e non a uno dei due genitori a scelta.[]
  16. Il governo Meloni dice di volere reintrodurre i voucher con una ben più ampia gamma di applicazione: aziende fino a 10 dipendenti regolari, ad esempio. E un massimo di utilizzo che passa da 5 mila a 10 mila euro. La neo ministra del Lavoro, l’ex consulente del Lavoro Marina Calderone, sostiene che il ritorno dei voucher servirà non ad aumentare la precarietà ma “la flessibilità”, oltre che ad aumentare “l’emersione dal lavoro nero”. Il sindacato Filcams Cgil nazionale spiega che “i voucher incentivano il lavoro irregolare, nascondono il nero e non riducono la precarietà, così come dimostrato in tanti anni di utilizzo e sfruttamento, ma soprattutto non è la loro assenza che ha determinato una diminuzione di personale, quanto condizioni di lavoro e di salario che continuano a peggiorare e non sono più accettabili”. Il sindacato che rappresenta i lavoratori del turismo e dei servizi ricorda che in questa fase difficile, in cui il settore del turismo, così come molti altri, cerca di uscire dalla crisi prodotta da tanti mesi di emergenza sanitaria casomai ci sarebbe bisogno di politiche e piani di sviluppo più lungimiranti, non di un ritorno al passato che alimenta l’illegalità e abusa di una flessibilità negativa. E propone: formazione professionale, assunzioni stabili e buona occupazione per un lavoro regolare, dignitoso e sicuro.[]
  17. In Italia, la forbice di ricchezza è sempre più divaricata, oltre la media dell’Unione Europea. Laddove il reddito delle famiglie più ricche è pari a sei volte quello delle più povere e il 20% della popolazione possiede solo l’8% del reddito totale.[]
  18. In Italia c’è una evidente “questione salariale”. Negli ultimi 30 anni, i salari medi annuali sono diminuiti in valore reale, mentre sono aumentati nel resto dei paesi della UE. Su questo tema si veda Scassellati A., I salari in Italia e in Europa negli ultimi 30 anni, Transform! Italia, 20 ottobre 2021, https://transform-italia.it/i-salari-in-italia-e-in-europa-negli-ultimi-30-anni/#footnote_2_20342.[]
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