Domenica 4 dicembre, a Roma, nell’incontro che ha ufficializzato il ritorno di Elly Schlein nel PD e la sua candidatura alla segreteria, si è dato vita, almeno a parole, a un vero e proprio processo di rifondazione di questo partito. Le parole scelte per questa “rivoluzione” sono state più di una: ricostruzione, percorso collettivo, processo costituente. In definitiva, l’idea è quella di provare a dare al partito una identità chiara e ben definita. Le linee guida della proposta politica sono difficilmente fraintendibili: 1) giustizia sociale e climatica; 2) contrasto alle diseguaglianze di ogni forma; 3) necessità di salvare il pianeta.
La visione è nel segno di un progressismo molto radicale: egalitarismo, ecologismo, evoluzionismo cooperativo. Quest’ultimo aspetto, in particolare, emerge con forza nel secondo dei sei interventi che precedono il lungo discorso conclusivo con cui Schlein lancia la sua proposta di leadership partecipata. Elvira Tarsitano, assessora alla bioeconomia nel Comune di Mola di Bari, contro il darwinismo sociale imperante, ci ricorda la lezione di Lynn Margulis (la scoperta dell’evoluzione come cooperazione) e, soprattutto, insiste molto sul fatto che non esiste transizione ecologica senza giustizia sociale. Nel solco dell’ambientalismo radicale – con evidenti richiami alla strategia rifiuti zero del M5S – si colloca anche l’intervento dell’imprenditrice del digitale Noemi De Santis, sull’integrazione virtuosa tra tecnologia e banche dati, per la realizzazione dell’economia circolare, coordinando efficientemente le 24 diverse modalità di raccolta dei rifiuti, presenti sul territorio nazionale, attraverso un’applicazione gratuita, pagata dai 1800 Comuni che hanno già messo in rete le buone pratiche per differenziare.
Gli interventi di Michele Franchi, sindaco di Arquata del Tronto, e Giulia Pelucchi, giovane Presidente del Municipio 8 di Milano, sono complementari e sinergici, sotto diversi punti di vista. Sul piano delle tematiche politiche generali, Franchi rappresenta il piccolo Comune delle aree interne che deve fare i conti col processo di svuotamento (emigrazione verso le aree urbane), e col dissesto idrogeologico che – soprattutto a causa di un persistente deficit strutturale di manutenzione e prevenzione sul territorio – produce, poi, catastrofi e danni enormi, a fronte di eventi sismici, tipici del nostro Paese, per conformazione geologica, ed eventi climatici estremi, ovvero la nuova normalità determinata dal cambiamento climatico tuttora in atto e troppo debolmente arginato. Pelucchi fa i conti, invece, con la sovrappopolazione dei quartieri urbani metropolitani e con la conseguente (e crescente) necessità di nuovi alloggi popolari dignitosi e freni da porre alle speculazioni degli immobiliaristi. Nondimeno, gli elementi di maggiore interesse, negli interventi dei due amministratori locali, sono quelli che mettono a fuoco, con estrema chiarezza, le contraddizioni del PD e le inevitabili difficoltà con cui si dovrà scontrare una proposta di rinnovamento che sia realmente nel segno della radicalità. Franchi, senza tanti giri di parole, evidenzia come le frequenti dinamiche di cooptazione correntizia e i capibastone, di fatto, allontanano le persone più pure dalla politica. Pelucchi, dal suo canto, non solo afferma che il PD non può più continuare a dire tutto e il contrario di tutto, ma – denunciando l’insostenibilità della posizione di chi, alle regionali lombarde, vorrebbe sostenere la candidatura di Letizia Moratti – affonda: è fondamentale avere «coerenza sui temi delle disuguaglianze, dei diritti, del lavoro e dell’ambiente» e se questa radicalità porterà alla fuoriuscita di chi si sente più a suo agio con la destra e nelle larghe intese, meglio così.
Per quanto concerne le tematiche del lavoro, Pelucchi introduce la delicata e mai risolta questione delle partite Iva che, collaborando con studi professionali che hanno una massa significativa di commesse, si trovano a lavorare, molto spesso, in condizione di subordinazione gerarchica e di dipendenza economica: liberi professionisti che liberi non lo sono affatto, quindi, e che costituiscono una crescente sacca di lavoro povero, nonostante l’alta formazione e la professionalità certificata. Tocca invece a Michela Vailati, architetta impiegata nelle aziende aeroportuali romane, dove svolge anche attività sindacale, porre l’accento sulle questioni del gender gap che penalizza fortemente le donne lavoratrici, sia sul piano della crescita salariale, sia su quello dell’avanzamento di carriera. Nella parte conclusiva del suo intervento, Vailati, poi, evidenzia come l’implementazione del lavoro da remoto, sperimentata nel periodo delle chiusure pandemiche, a regime, potrebbe permettere, in tutti i casi in cui non è necessaria una presenza fisica nella sede centrale dell’azienda, a chi svolge le prestazioni lavorative da PC e via internet un significativo risparmio di tempo, soprattutto nei casi di pendolarismo con notevoli distanze da percorrere tra casa e lavoro. In particolare, bisognerebbe investire risorse pubbliche nella creazione di spazi di coworking di prossimità, che potrebbero permettere di evitare che il risparmio di combustibile, per gli spostamenti dei pendolari in smart working, si trasformi in aumento delle bollette energetiche casalinghe, oltre ad assicurare un ambiente di lavoro confortevole, anche a chi non ha spazi adeguati e sufficientemente isolati nella propria abitazione.
Di operai, seppure brevemente, parla infine Matteo Rossi, ex presidente della provincia di Bergamo, attualmente presidente del Distretto di Economia Sociale e Solidale della bergamasca, associazione che promuove la diffusione di un modello economico sostenibile, equo e inclusivo, per la realizzazione di un benessere più diffuso e partecipato. Ne parla, ricordando l’esperienza degli operai della GKN di Firenze (Campi Bisenzio), come modello di lotta per tutti i casi in cui si vuol provare ad arginare le scelte di delocalizzazione delle multinazionali, riattivando un processo di industrializzazione dei territori, sfruttando il saper fare dei lavoratori e le strutture e i macchinari disponibili. Rossi chiude il suo intervento, evidenziando un punto notevole: la pessima gestione della vittoria referendaria del 2011, quando il lavoro di base fatto dal Forum italiano dei movimenti l’acqua, è andato disperso e quel popolo si è sentito abbandonato dal PD, vedendo il continuo e prolungato boicottaggio delle proposte di ripubblicizzazione della gestione delle risorse idriche nazionali. Molto probabilmente è proprio da lì che comincia il progressivo travaso di voti verso M5S, con la continua ascesa di questo partito, poi, interrotta – come è noto – a causa dei numerosi errori fatti nella scorsa legislatura, in cui sono stati, come primo partito, in tre diversi governi.
Nel suo lungo intervento conclusivo, Schlein riprende infine e sviluppa tutte le tematiche già poste dagli altri relatori e, qui, schematicamente sintetizzate. Non deve sorprendere, pertanto, il focus molto ben centrato sulla necessità di una politica orientata alla gestione dei beni comuni, che non possono essere abbandonati alle dinamiche di mercato: l’esempio citato, nello specifico, è quello della sanità pubblica universalistica, da mettere al riparo, per evitare che ulteriori tagli e privatizzazioni creino nuovamente difficoltà come quelle sperimentate nel corso della pandemia. Ma la sfida è ambiziosa ed è dichiaratamente rivolta al modello di sviluppo neoliberista, «assolutamente insostenibile per le persone e per il pianeta». Non vi è solo la facile opposizione ai primi interventi da macelleria sociale del nuovo governo, guidato da una leadership postfascista di maggioranza relativa. Non c’è solo la giusta critica alla diffusa reintroduzione del lavoro senza contratto (pagato coi voucher), in un contesto di alta disoccupazione e crescente lavoro povero, ulteriormente aggravato dal ridimensionamento della platea che potrà far ricorso al Reddito di cittadinanza. Vi è anche una opportuna autocritica, con specifico riferimento al ruolo che i governi di centrosinistra hanno svolto nel rendere il lavoro sempre più povero e precario. Schlein individua un singolo episodio – l’abolizione delle causali giustificative per l’utilizzo del contratto a termine – ma si tratta senz’altro di una sineddoche, da intendere quindi come indicazione di una parte (del c.d. Jobs Act) per il tutto.
Ed è dunque solo alla luce di questa autocritica (e nella misura in cui essa sarà in grado di prendere sostanza) che ha senso il rinnovato richiamo ad assumere una identità chiara, ancorché plurale, che possa farsi realmente carico delle tre sfide cruciali che le destre non nominano mai: 1) diseguaglianze; 2) clima; 3) precarietà.
La lotta alle diseguaglianze, naturalmente, non può prescindere da una politica di redistribuzione delle ricchezze, con forte progressività fiscale e rilancio di un programma incentrato sul diritto alla casa, con più scuola pubblica, più nidi, più welfare universalistico. La necessità di fissare per legge un salario minimo è ormai ineludibile: sotto una certa soglia di guadagno e senza adeguate tutele non è lavoro, è sfruttamento. Idem per la spesa di investimento in prevenzione e risanamento ambientale: giustizia climatica e giustizia sociale assieme, esattamente come devono andare assieme, e di pari passo, la tutela dei diritti civili e di quelli sociali. Sono sfide queste di respiro internazionale, che portano anche alla necessità di puntare ad un ampio rilancio del federalismo europeo, dimensione nella quale potrebbe anche prendere più facilmente forma una iniziativa, sempre più urgente, per una conferenza di pace che ponga fine, con una soluzione diplomatica e negoziale, al conflitto tra Russia e Ucraina.
E, dopo aver così squadernato tutta la ricca parte contenutistica della proposta politica di questo nuovo PD, l’attacco conclusivo a Renzi e ai suoi, ormai fuori dal partito e dediti a consolidare, assieme a Calenda, il loro progetto di autonomia liberale, rende esplicita la strategia complessiva di questa fase congressuale costituente.
Quando Elly Schlein pronuncia la frase che più ha colpito i media: «siamo un’onda, non una corrente nuova», se si tiene bene a mente tutto quello che ha proposto, assieme al gruppo che già la sostiene (in estrema sintesi: migliori condizioni di vita e di lavoro, in una società più libera, più salubre e più giusta), lei non ci sta dicendo affatto che sarà sufficiente la sua elezione alla segreteria del PD perché il partito cambi. Lei sta dicendo, al contrario, che se tutte le persone che condividono la sua proposta politica decidessero di entrare nel PD, e di sostenere questi contenuti e la sua candidatura, solo allora – con una vittoria, cioè, che consentisse di ribaltare del tutto i rapporti di forza sin qui consolidati – si potrebbe davvero vedere un nuovo e diverso partito.
Ovviamente, è più che comprensibile il disinteresse e/o lo scetticismo di chi ritiene di poter realizzare la giustizia sociale con l’Alleanza di Verdi e Sinistra, o con l’Unione Popolare, o col M5S, o con un partito sovranista, o facendo risorgere il PCI degli anni Settanta, o una qualunque nuova formazione dichiaratamente anticapitalista.
Quello che invece è meno comprensibile è il rifiuto di una riflessione attuale sulla questione dell’egemonia.
Nel corso degli ultimi decenni è un fatto che il pensiero e la cultura aziendalista sono stati letteralmente egemoni nel nostro Paese. Ora abbiamo già visto come, in campagna elettorale, il M5S di Conte si sia posizionato sulle tematiche dei diritti sociali e come stia proseguendo in questa direzione. Adesso persino nel PD si ricomincia a parlare delle questioni fondamentali dell’esistenza umana: buone condizioni di vita e di lavoro; un ambiente salubre; diritto alla casa; beni comuni; welfare universalistico. Tutto questo, quand’anche fosse solo “di facciata”, è il segno evidente di una prima significativa inversione di tendenza che potrebbe iniziare, finalmente, a intaccare l’egemonia della cultura aziendalista. Per cui, ogni volta che – come in questo caso – si aprono finestre mediatiche sulle tematiche sociali, non ha molto senso perdere tempo a cercare di squalificare le persone che pongono i temi che consideriamo rilevanti. Ha molto più senso, invece, incalzare puntualmente queste persone sui temi sociali e ambientali, proponendo soluzioni migliori e tematiche e vertenze alternative e/o complementari.
Ed è solo così che si potrà fare nuovamente egemonia. Anzi la vera egemonia ci sarà solamente quando (e se) tutti gli attori politici, di ogni schieramento, saranno costretti a dare risposte credibili alle questioni sociali e ambientali.
Giuseppe D’Elia