di Loredana Fraleone –
Il caso della professoressa Rosa Maria Dell’Aria sta suscitando molte reazioni rispetto al provvedimento disciplinare emesso nei suoi confronti dal responsabile dell’Ufficio scolastico regionale di Palermo. La sospensione di quindici giorni dall’insegnamento per aver “promosso” una ricerca dei suoi alunni su temi riguardanti la discriminazione razziale, non ha scosso soltanto il mondo della scuola chiamato in causa direttamente, con l’evidente logica di “colpirne uno per educarne cento”, ma anche un’opinione pubblica moderata che comincia a percepire come pericoloso il clima repressivo, messo in atto dal ministro degli interni del governo giallo-verde, nei confronti di chiunque osi criticare le politiche discriminatorie praticate e propagandate.
La scuola è sempre stato il terreno di conquista privilegiato per le classi dominanti, consapevoli della sua funzione educatrice, che ne fa oggi uno dei pochi baluardi a tutela di un sapere funzionale alla formazione del cittadino critico, come indicato dalla Costituzione nata dalla Resistenza.
L’attacco a questa funzione, alla libertà d’insegnamento sancita nell’articolo 33, non è di oggi, basti pensare all’espropriazione di una funzione centrale come quella della valutazione messa in atto dalle prove INVALSI, che vedono gli insegnanti come meri esecutori di criteri e contenuti predisposti da un’agenzia esterna all’istituzione scolastica. Un attacco subdolo perché mascherato da ragioni che rispondono ad esigenze di efficienza ed efficacia richieste da Europa e dall’OCSE.
Nel caso della prof di Palermo ci troviamo invece di fronte a un’azione brutale, che interviene a gamba tesa direttamente sull’operato dell’insegnante ed è percepito giustamente come un attacco alla libertà d’insegnamento e di espressione, per quanto riguarda gli studenti.
La mobilitazione contro questa pesante invasione di campo sembra allargarsi ed è bene che duri, riproponendo il dettato costituzionale come punto invalicabile per qualsiasi governo.