Prendo a spunto il titolo dell’intervista concessa da Giovanni Migliarese al Corriere della Sera, “Sempre i social come rumore di fondo. Le azioni non nascono da un pensiero” per esprimere le mie idee dal punto di vista politico.
La tematica affrontata nell’intervista riguarda i nuovi problemi dei padri e dei figli, con riferimenti anche alla pellicola Una figlia.
Mi riferisco volentieri al termine “politica” che è purtroppo diventato sinonimo di “affare brutto e pericoloso”dopo 30-40 anni di bombardamento mediatico, iniziato prima ancora di Mani Pulite, con Craxi presidente del consiglio e Berlusconi dietro le quinte, con la sottrazione dell’azione politica a chi la praticava sui luoghi di studio e lavoro, per trascinarla sempre in una sfera asettica vicina allo spettacolo e alla personalizzazione.
Giorni fa ho partecipato alla presentazione di un libro sulle bande partigiane della Resistenza, Chiedilo alla libertà. “Storia delle bande partigiane nelle Marche” di Roberto Lucioli e Simone Massacesi, Affinità Elettive di Ancona.
L’importanza dell’operazione storica ed editoriale sta nel ridare alla Resistenza il suo volto non agiografico e raccontarne anche gli errori, i fallimenti, per ripartire da questo aspetto umano, di tutti i giorni, dimostrando così la sua ancor maggiore forza, attraverso l’analisi delle bande, 86 solo nelle Marche, che ha permesso anche all’Italia di presentarsi alla fine della seconda guerra mondiale come co-belligerante e non solo sconfitta.
Va da sé che si è passati dalla dimostrazione che il fenomeno non ha riguardato solo il Nord Italia, per quanto al centro vi siano stati numerosi errori causati dalla convinzione che gli alleati avrebbero risalito più rapidamente la penisola.
C’è poi un aspetto che resta a latere, specialmente in questi lunghi anni nei quali la Resistenza è stata messa sotto attacco: la popolazione italiana era impoverita, stanca di dittatura e di guerra, ma nello stesso tempo le nuove generazioni avevano respirato solo quel clima. Tutte le dittature fasciste conducono la popolazione allo stremo, come si può constatare visitando il Museo del Nazismo situato nell’ex Area Congressi Nazisti nella zona sud di Norimberga, con tutti i resti dell’architettura nazionalsocialista in Germania: opere interrotte o terminate con materiale posticcio, scarsità di materie prime. La Germania ha fatto i conti con la sua dittatura molto più dell’Italia, anche se questo non l’ha vaccinata al punto da impedire la rinascita di partiti neonazisti.
Nella situazione italiana seguita all’8 settembre 1943 i partigiani sono stati di conseguenza un fenomeno spontaneo, nel quale si sono mischiate scelte obbligate a sentimenti di scoperta delle varie indoli del popolo italiano. Anche gli slavi, inglesi, tedeschi deportati e internati vennero a conoscenza del fatto che non appartenevamo a un monolite fascista.
Da qui lo slancio dei 20enni che rifiutarono d’un balzo l’oppressione, la continuazione della guerra, e si armarono, vista l’impossibilità di chiamarsi fuori dal conflitto. Numerosi episodi li posero di fronte a un luogo dove fuggire da un vagone col quale sarebbero stati deportati in Germania.
Qui è doveroso il confronto con l’oggi, per togliere le nuove generazioni dall’aura di anestetizzate e perenne oggetto di studio.
I giovanissimi che il 3 maggio sono stati pronti a sfilare per le vie di Ascoli Piceno per protestare contro le provocazioni anti-antifasciste rivolte a Lorenza Roiati che il 25 aprile aveva esposto fuori dal suo forno di nome“Assalto ai forni”di Manzoniana memoria, un lenzuolo con la scritta “Buono come il pane, bello come l’antifascismo”.
L’antifascismo di una donna titolare di un forno va “accertato”, cento teste rasate che inneggiano al Duce a Dongo sono un’esternazione di cordoglio(Ignazio la Russa).
A causa della reazione di solidarietà dei compagni, nei giorni seguenti sono comparse ad Ascoli inequivocabili scritte in bianco e nero inneggianti al fascismo di fatto senza mezzi termini. Il fenomeno di anno in anno assume sempre più pericolose dimensioni che richiedono una vera analisi e una conseguente rivoluzione culturale.
Torniamo all’adolescenza odierna nei suoi aspetti di sofferenza:le nuove generazioni hanno ereditato dalle precedenti le cuffie con cui ascoltare musica o telefonare mentre si passeggia, in modo da essere comunque in un altro luogo, l’ansia da prestazioni, che da anni fa vivere la scuola e l’università in maniera più faticosa del necessario.
Hanno soprattutto ereditato la sensazione di essere protetti da tutti i mali grazie al progresso tecnologico, e da una errata interpretazione del rapporto con le istituzioni, diventato sempre più utilitaristico, privo di senso pubblico.
Fra le conseguenze più dolorose c’è il non essere pronti ad affrontare la vita, averne una visione che ha creato una mentalità comune, senza diritti collettivi, senza una società ma una sommatoria di solitudini.
Quando si è costretti a confrontarsi con le degenerazioni della nostra società delle solitudini, ci si trova privi dei passaggi necessari per prevenirle, dei valori da porre in alternativa( consultori, centri di aggregazione, coscienza di classe economica) ma anche del coraggio di essere padri sempre, non abdicare a un ruolo di critica e conduzione.
Quando si preferisce vivere molto al di sopra del necessario ci si convince che questo sia lo stile di vita giusto, e che esso debba essere mantenuto al costo di combattere contro chi si ribella cercando giustizia. Siamo entrati al servizio nella classe dominante.
E se provassimo a guardare questo mondo alla rovescia dal nostro punto di vista, invece?
Se i partigiani ebbero il compito di politicizzare i giovani educati solo alla dittatura, alla violenza, alla delazione, e nelle bande ci riuscirono pur fra mille errori, vogliamo per forza che anche le nuove generazioni lo debbano imparare in un modo così cruento, visto che il mondo attuale non è certo senza guerre né violenze?
Eppure gli studenti delle superiori e universitari ma anche i disoccupati e i lavoratori, stanno dando dimostrazione di sapere tradurre la loro ribellione alle imposizioni dei modelli patriarcali e ai clichè di apparenza che tutt’ora sono presenti alla TV e al cinema, in un antifascismo più duraturo perché senza delega. Come dicevamo negli anni 70, sono già nati i nuovi partigiani.
Marcello Pesarini