di Marino Calcinari –
Il Porto di Trieste ha 300 anni di storia, ma nasce come moderno porto dell’ Austria nel 1719 allorquando l’Imperatore Carlo VI, e soprattutto il suo consigliere, il principe Eugenio di Savoia, per favorire l’attività della Compagnia Orientale, dichiararono la città porto franco dell’Impero. A seguire, la figlia Maria Teresa, estese quel privilegio e fondò la Camera di Commercio, la Borsa, il Molo della Lanterna, etc. E’ di questi giorni la notizia che si vuole erigere (300 anni dopo!) una statua in suo onore in un luogo centrale della città.
L’ascesa del Porto di Trieste – all’estremo punto settentrionale dell’Adriatico, lat boreale 45° 38’ 8’’ ed a 11° 17’ ad oriente del meridiano di Parigi – è così veloce da fare da volano per la creazione di una città cosmopolita (300mila abitanti allo scoppio della prima guerra mondiale) che anche Latx , corrispondente del New York tribune ne scrive nel 1857 in due articoli esemplari. Venezia è ormai decaduta, Trieste, nata dal nulla, prevale. Alti fondali, buone capacità d’attracco, solida terraferma adatta per sviluppare l’attività cantieristica di costruzione e riparazione navale, etc. Alla costruzione del porto (moli, banchine, magazzini) fa seguito la realizzazione delle infrastrutture ferroviarie, che collegano la città a a Vienna ed all’hinterland mitteleuropeo, la Meridionale ( 1857 ) e la Transalpina (1910) che oggi- insieme alla Pontebbana, garantiscono una facile via d’accesso all’ est Europa.
Trieste è quindi dal 1719 al 1919 porto commerciale ma anche industriale, la sua funzione originaria (con l’annessione all’Italia) si ridimensiona e la città diventa uno dei tanti porti della penisola, porto di transito e dopo la seconda guerra mondiale porto petroli (oleodotto di Ingolstatd), diminuisce il movimento marittimo, cala il volume dei traffici, l’attività portuale fatica a riconnettersi con l’attività industriale. Il piano CIPE del 1966 ridimensiona ulteriormente occupazione e investimenti nella cantieristica navale. Ed il fatto riguardava allora non solo Trieste ma anche Muggia e Monfalcone.
Sull’Autorità Portuale Triestina, da tempo istituzione controllata dal settore più retrivo della destra triestina, per anni si sono fatte battaglie, che andavano dalla gestione della manodopera al prezzo degli affitti per gli hangar ed i capannoni, accanto a quelle politiche che riguardavano la gestione e la ristrutturazione dei grandi spazi di Porto Vecchio da sempre interessati a politiche di speculazione o interventismo edilizio (la gentrificazione nel frattempo si abbatte sul centro Storico e la cIttà vecchia) .
La nuova gestione dell’ ASP (Zeno d’Agostino) ha però contribuito a cambiare alcuni dati di fondo e a modificare il quadro preesistente, dando prima un giusto riconoscimento al lavoro operaio svolto dalle cooperative (art. 17 Legge 84 sui porti), poi rintuzzando il clientelismo della destra sulle attribuzioni e i compiti degli organismi portuali, con politiche di apertura ed innovazione verso i terminalisti e soggetti fruitori delle strutture portuali, intervenendo sull’ammodernamento di strutture e reti della realtà triestina, ingessata dai tempi della guerra fredda (che qui poi, per certi versi, non è neanche finita)
Quindi le ultime novità sono state riassunte dall’attuale segretario dell’ ASP Mario Sommariva, già segretario FILT Cgil, in una intervista a “Pandora“ del febbraio scorso: “ Qui entrano in gioco le potenzialità dell’Alto Adriatico. A Trieste il 90% del traffico è internazionale, con un range di collegamenti ferroviari che arriva anche a coprire 800-1000 km: alcune linee arrivano al Nord della Germania, a Kiel o a Rostock; è anche presente una rete di collegamento con la Mitteleuropa. Ad esempio dal porto di Trieste partono 14 treni a settimana per Budapest. C’è una forte ripresa dell’area dell’Alto Adriatico che coinvolge – anzi è stato l’apripista – il porto di Koper, a 4 miglia marittime da Trieste; dal punto di vista logistico si tratta di un’unica area. Trieste è arrivata quest’anno a 700.000 TEU, Koper è già a 900.000 quindi siamo complessivamente a 1.600.000. Se poi consideriamo tutti i collegamenti ro-ro, arriviamo a sfiorare complessivamente i due milioni, calcolati in unità di carico: siamo, cioè, di fronte ad una realtà che comincia a sottrarre qualcosa ai porti del Nord Europa, che peraltro devono fare i conti con gli effetti del gigantismo navale – navi sempre più grandi che, in qual-che modo, ribaltano le economie di scala del traffico marittimo sul segmento di trasporto terrestre, creando fenomeni anche di congestione molto importanti. “
In questo quadro, quando Trieste ridiventa primo porto in Italia per tonnellaggio totale movimentato, primo porto italiano per traffico ferroviario e primo porto petrolifero nel Mediterraneo (articolo de “il Piccolo” 24 gennaio 2019) ecco spuntare il “pericolo cinese”, con la via della seta , con la “colonizzazione” del Pireo e un po’ di isterico anticomunismo del senatore Camber, che ha tappezzato di manifesti i muri della città.