Per vincere le prossime elezioni – unica possibilità di cambiare lo stato di cose esistente – bisognerà costruire una alternativa di governo credibile per i ceti medi riflessivi e i ceti popolari. Diverse sono le grandi questioni aperte al riguardo, ma ve ne è una che rappresenta la precondizione, il nodo centrale che le riguarda tutte. Ovvero la necessità di reperire una grande quantità di risorse finanziarie aggiuntive, per poter finanziare le politiche pubbliche indispensabili per affrontare tali questioni. Considerando le cospicue dimensioni già raggiunte dal nostro debito pubblico è escluso che si possa reperirle con una sostanziale espansione di questo. L’unica strada, perciò, è il fisco: there is no alternative. Una proposta organica, praticabile e credibile non di riforma ma di rivoluzione fiscale, che sposti dal basso verso l’alto il centro di gravità dell’imposizione. Rovesciando in verticale l’indirizzo seguito dall’attuale governo ma anche dai precedenti, compresi quelli di centrosinistra, con gradualità ma con costanza, di riduzione del peso gravante sui segmenti più ricchi della scala sociale compensandola con l’aumento dell’onere per i segmenti meno fortunati. Tax the rich anche in Italia: grandi patrimoni, grandi eredità, rendite, ultraprofitti, redditi molto elevati, con un piano organico ed articolato che investa tutte le diverse forme di manifestazione della disuguaglianza economica. La riduzione dell’evasione fiscale o la cessazione del susseguirsi dei condoni non basterebbe. Come non basterebbe evitare l’aumento delle spese militari, che pure va fermato e sostituito dal coordinamento delle spese in atto a livello europeo, eliminando duplicazioni e sprechi. La lista delle esigenze cui occorre far fronte nella situazione attuale è lunga e spessa. Adeguare e ristrutturare sanità e scuola pubbliche richiede decine di miliardi aggiuntivi, come per i servizi pubblici locali e l’assistenza agli anziani. Un piano adeguato di riassetto idrogeologico. Piani per la transizione ecologica effettiva dei diversi settori, dall’industria pesante all’agricoltura industriale, che ne compensino i costi senza gravare sui cittadini e sulle aziende. E ancora casa, reddito minimo, assunzioni nelle forze di polizia e nelle Agenzie fiscali.
Infine altre questioni relative alla ricerca, finora poco presenti nel dibattito a sinistra sul che fare. Ovvero la transizione digitale per la cybersicurezza e il controllo dello sviluppo dell’I.A., col suo impatto sui sistemi produttivi, oltre alla presenza nello spazio, con le reti di satelliti e le comunicazioni spaziali. Punti cruciali anche per una politica di pace, che passa per il superamento della NATO e della subalternità agli USA con la conseguente piena autonomia dell’Europa, per spostarla su una linea non di confronto militare ma di cooperazione e collaborazione con i Paesi del non-Occidente. In ogni caso, per realizzare il grande obiettivo dell’autonomia politica dell’Europa ne va affermata non solo l’autonomia finanziaria ma anche quella tecnologica, col presidio di queste nuove frontiere rispetto alle big tech Usa o alla rete Starlink. Intanto bisogna lavorarci a livello italiano. Costa molto meno del Rearm Europe, comunque non è gratis.
Se la lista della spesa è questa, anche limitandosi allo stretto necessario siamo oltre i cento miliardi in più, annui, reperibili solo con una rivoluzione fiscale come quella delineata. Necessaria per la sopravvivenza del Paese, prima ancora che per ragioni di equità.
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Sarà tutt’altro che facile, perché bisogna prendere di petto la convinzione, profondamente radicata anche a sinistra, che proporre più tasse significa perdere voti. Convinzione fondata sulla paura ancestrale del drago fiscale da parte dell’elettorato anche minimamente proprietario. Questa paura ha radici storiche, ma oggi è il prodotto della continua campagna di propaganda dei media e delle forze di destra e centro destra, a copertura dell’indirizzo antipopolare della relativa politica fiscale. Così come l’adesione delle forze di centro sinistra all’indirizzo generale di riduzione delle tasse ai ceti più ricchi, cominciando dalla riforma Visentini degli anni ’70, è dovuta alla pressione costante delle forze economiche dominanti sulla cultura politica ed economica di tutti i soggetti in campo ed infine sulla legislazione, attraverso interventi riservati ed efficaci di lobbying nelle occasioni opportune. Questa è stata la manifestazione forse più significativa del cambiamento del rapporto tra politica ed economia, con l’affermazione dell’egemonia del grande capitale sui partiti e sulle istituzioni per indirizzare il potere regolativo di queste a fini non di interesse generale ma di creazione di valore economico. Perché ridurre il carico fiscale sulle grandi ricchezze ha significato liberare immense quantità di denaro per alimentare i mercati finanziari, banche, assicurazioni, fondi di investimento, capitale azionario. È questa la ragione strutturale, sistemica, della politica fiscale antipopolare, ancora più forte dell’avidità dei ceti privilegiati per i consumi di lusso.
Per questo la reazione a un programma tax the rich sarà feroce. Si scateneranno partiti e media di destra sull’elettorato di riferimento per coprire la coda di paglia e lucrare sulla paura del drago, ed è prevedibile una controffensiva dei molti e ben piazzati economisti ed intellettuali di regime per spiegare tutte le buone ragioni delle linee seguite finora. È la previsione di questa reazione che spiega le resistenze e i timori dei maggiori partiti di centro sinistra, oltre alla cattiva coscienza per gli interventi operati, o rifiutati, in passato.
Ma la risposta della rivoluzione fiscale può essere efficace, se fondata su numeri credibili che dimostrino innanzitutto tre cose, sul versante del prelievo. Il vantaggio per i redditi più bassi di una rimodulazione dell’IRPEF che riallarghi la forbice tra le aliquote, diminuendole in basso e aumentandole in alto, oltre all’introduzione del salario minimo e di un reddito minimo garantito. Una sostanziale invarianza del carico sui redditi intermedi. L’incisione del maggior prelievo sulle ricchezze di una ristretta fascia al vertice della piramide sociale. In termini di possibile consenso, a spanne, da questa operazione il 60 % ci guadagnerebbe, il 30% andrebbe pari, il 10 % ci rimetterebbe, anche parecchio, ma restando comunque al vertice. Si dimostra usando l’aritmetica, senza scomodare altre scienze.
Sul versante delle esigenze da finanziare con la maggiore spesa i vantaggi sono potenzialmente per tutti, se la lista è quella di cui si è detto, dal miglioramento del welfare al respiro offerto al mercato interno. La questione è la ripartizione tra le varie voci, difficile da operare perché richiede un confronto politico sulle diverse esigenze, coi relativi portatori. Difficile ma non impossibile.
Un gruppo di lavoro composto da esperti appartenenti alle forze già orientate o facilmente orientabili sulla sostanza della proposta (si può anche evitare di chiamarla rivoluzione fiscale, se l’espressione appare troppo forte per alcuni), potrebbe predisporre un progetto con le coordinate fondamentali sui cambiamenti del prelievo, con conti il più possibile precisi. Le forze sono note, sarebbe bene ci fosse anche la CGIL. Bisognerebbe poi definire le modalità di una campagna di informazione e di mobilitazione dei militanti. L’obiettivo finale, ineludibile, è quello di coinvolgere Pd, M5S, Verdi perché la proposta diventi un asse del futuro programma elettorale. Al quale spetterà anche la definizione, sia pure a grandi linee, della ripartizione dei maggiori introiti sulle diverse voci di spesa.
Nino Zucaro
1 Commento. Nuovo commento
La questione fiscale è da sempre, una questione centrale, di sostanza.
Una patrimoniale in Italia, rappresenta il grande tabù.
È incredibile, che anche a sx, si trovino i motivi più incredibili per non proporla.
Magari esiste in qualche programma elettorale, ma poi…
Detto ciò ed io sono favorevolissimo alle proposte accennate nell’articolo, esiste anche un’altra questione tabù.
UNA NUOVA SCALA MOBILE.
Proposta che troverebbe un consenso trasversale e che risolverebbe in gran parte, la questione dell’incremento del costo della vita, che continua a non trovare risposte adeguate.
Migliaia di banchetti, per una proposta di legge che dovrebbe mobilitare milioni di lavoratori dipendenti e pensionati.
PERCHÉ NON INIZIARE DA SUBITO UNA GRANDE CAMPAGNA DI INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE?
Sfido la Meloni a giustificare la sua contrarietà… senza perdere molti consensi popolari.
PATRIMONIALE E NUOVA SCALA MOBILE. PERCHÉ NO?