Il successo della sinistra cilena nelle recenti elezioni presidenziali ha avuto un forte impatto emotivo anche a livello globale, per quello che ha significato nell’immaginario collettivo il colpo di Stato dell’11 settembre 1973 contro il Presidente socialista Salvador Allende e la successiva brutale repressione inferta dalla dittatura. Non pochi esponenti e militanti dei partiti che sostenevano il governo di Unidad Popular si sono rifugiati in Italia durante il loro lungo esilio (anche se i quartieri generali si trovavano in genere a Mosca o in Germania est), terminato solo nel passaggio di decennio tra gli ’80 e i ’90, nel pieno di un mutamento storico epocale.
L’elezione del trentacinquenne Gabriel Boric è stata significativa non solo per la netta sconfitta del concorrente dell’ultradestra ma anche perché espressione di una coalizione di forze che si è posta in discontinuità con il tradizionale centrosinistra della Concertacion che ha governato il Cile ininterrottamente per un ventennio, per poi perdere due volte le elezioni a favore dell’ultradestra. Certamente la coalizione vincente di “Apruebo Dignidad” ha un programma molto meno radicale dell’Unidad Popular di cinquanta anni fa. Non dispone di una maggioranza assoluta in Parlamento e quindi dovrà cercare delle forme di compromesso con altre forze più moderate e opera in un contesto internazionale che se da un lato vede una crisi del modello neoliberista, registra ancora rapporti di forza che sono decisamente a favore dell’oligarchia economico-finanziaria che grazie a quel modello ha potuto accumulare denaro e potere.
L’elemento più importante a favore della nuova Presidenza cilena è costituito dalla contestuale presenza di un’assemblea costituente, la cui composizione ha un profilo piuttosto radicale, che potrà ridisegnare il quadro istituzionale, introducendo elementi di rottura con il contesto disegnato da Pinochet negli anni ’80 per continuare a tenere sotto tutela la democrazia cilena, ben oltre la fine della dittatura.
Ci sarà modo di seguire le vicende relative alla nuova esperienza di governo che inizierà formalmente a metà, apprezzando intanto il significato di una rottura a livello di sentimento popolare con un modello di liberismo imposto già negli anni ’70 quando ancora non era egemone a livello mondiale. Non sarà facile tradurre quella aspirazione in scelte politiche concrete, ma ogni passo avanti, anche piccolo, dovrà essere visto con favore.
Il presente cileno ci offre anche l’occasione per capire come la sinistra (di cui sono parte importante i comunisti) è riuscita ad arrivare ad un successo così significativo. Mi sembra utile, pur non essendo la sede per una ricostruzione esaustiva, segnalare qualche passaggio significativo, anche nella sua complessità.
La sinistra che sostenne Allende portandolo al successo aveva il suo punto di forza in due partiti marxisti, radicati a livello di massa, quello Socialista e quello Comunista, che contavano da soli circa il 30% dei consensi. A fianco di essi vi erano settori della sinistra del Partito Radicale (tradizionale riferimento della borghesia progressista) e organizzazioni nate dalla rottura a sinistra della Democrazia Cristiana (MAPU, MAPU-OC,eIzquierda Cristiana, ecc.). A fianco di questi si trovava l’estrema sinistra organizzata in buona parte nel MIR, influenzato dal guevarismo.
Tra il ’73 e l’88, l’anno in cui è iniziato il processo di fuoriuscita dalla dittatura, le varie forze di sinistra hanno attraversato percorsi di ripensamento e di cambiamento che le hanno spinte in direzioni contrastanti a quelle seguite durante il governo di Unidad Popular. I socialisti, che spesso nella coalizione avevano tenuto posizioni radicali, si sono divisi in molte fazioni e con due poli principali, quello di Altamirano che si avvicinava alla socialdemocrazia e quello di Almeyda, a lungo alleato ai comunisti, che continuava a richiamarsi al marxismo e al leninismo. I comunisti da parte loro, radicalizzavano la loro posizione a partire dal 1980, aprendo alla strategia della contrapposizione militare alla dittatura. Questa scelta li riavvicinava al MIR, con il quale avevano sempre polemizzato accusandolo di “avventurismo” e “ultrasinistrismo”, e dando vita ad una organizzazione politico-militare, il Fronte Patriottico Manuel Rodriguez. Tra il 1983 e il 1987 l’FPMR cerca di sostenere con azioni armate anche clamorose, la prospettiva della ribellione popolare, considerata una condizione necessaria per una effettiva rottura con l’assetto istituzionale ed economico voluto da Pinochet. Il settore di derivazione cattolica, con una significativa presenza intellettuale ma con un più limitato radicamento di massa, ha avviato un percorso di revisione ideologica che lo ha avvicinato ai settori moderati del socialismo.
Con il fallimento dell’attentato a Pinochet, la strategia militare perseguita dai comunisti si trova in un’impasse, e ne consegue che la dirigenza del partito torna a porre in primo piano l’azione politica e sociale, producendo così una rottura nell’ala più direttamente impegnata sul piano militare. Rottura dalla quale emerge l’FPMR Autonomo che continuerà a mettere in atto iniziative armate anche dopo il ritorno alla democrazia, ritenendo che non via sia stata una vera rottura con la dittatura, il che era in parte vero, ma si troverà ad essere del tutto marginalizzato dallo scenario politico oltre che vittima di una persistente repressione.
La fine della dittatura avviene con l’accettazione da parte delle forze politiche moderate (democristiani e socialisti) delle condizioni e dei limiti imposti dalla dittatura stessa. I socialisti realizzeranno una decisa conversione alla socialdemocrazia e sceglieranno di dar vita alla Concertacion, una coalizione di centro-sinistra nettamente chiusa a sinistra verso i comunisti. Questi ultimi attraversano una fase di profonda crisi. La scelta armata non è stata gradita da tutti, il sistema elettorale fortemente bipolare voluto da Pinochet è fatto per favorire la loro esclusione dal Parlamento (nonostante possano contare su un 5-6% di consensi elettorali) e l’impatto del crollo dell’URSS, con cui il legame era sempre stato stretto, si fa sentire pesantemente.
All’interno del PCCh si forma una tendenza, influenzata dalla trasformazione del PC italiano in PDS, che spinge per rompere con l’identità comunista. A differenza di quanto accade in Italia, questa componente “post-comunista” resta nettamente minoritaria. Dà vita per un breve periodo a un Partito Democratico della Sinistra che si trova con pochi militanti e con uno scarsissimo seguito elettorale. I suoi dirigenti si disperdono tra l’adesione al Partito Socialista e al Partito per la Democrazia (una formazione nata inizialmente come veicolo elettorale dei socialisti stessi poi trasformatasi in partito autonomo).
Nel Partito Comunista è emersa con forza la figura di Gladis Maryn, che aveva svolto un ruolo di primo piano nella direzione clandestina del partito attivo all’interno nonostante la brutale repressione. Nel corso degli anni ‘90 e della prima parte del nuovo millennio i comunisti hanno cercato di costruire varie coalizioni con socialisti di sinistra, gruppi di sinistra cristiana e anche una delle frazioni emerse dalla crisi del MIR. I vari raggruppamenti non sono però mai riusciti a rompere la barriera costituita dal sistema elettorale voluto dalla dittatura. Hanno però avuto un peso importante nella CUT, l’organizzazione sindacale unitaria, la quale però è stata molto indebolita dalle leggi anti-sindacali introdotte da Pinochet.
La Concertacion, costituita principalmente da democristiani e socialisti, ha governato ininterrottamente per vent’anni. Per la prima metà del periodo con la guida di Presidenti DC, e poi con i socialisti Lagos e Bachelet. L’accusa rivolta dalla sinistra a questi governi è di avere lasciato sostanzialmente integro il modello socio-economico liberista imposto dai Chicago boys negli anni ’70 che ha prodotto uno dei massimi livelli di diseguaglianza a livello mondiale.
Il momento di massima contrapposizione tra comunisti e centro-sinistra si registra nel 1999 quando viene presentata la candidatura di Gladys Marin alla Presidenza della repubblica con un discorso nettamente anticapitalista (che otterrà poco più del 3% dei voti, meno di quanto ottengono nelle altre elezioni candidature unitarie) e non viene data indicazione di voto al secondo turno.
Un mutamento di linea si registra durante la prima presidenza di Michelle Bachelet (2006-2010). Il partito, mentre da un lato sostiene la coalizione Juntos Podemos Mas che ottiene qualche buon risultato a livello locale, dall’altro apre alla possibilità di una nuova alleanza con il centro-sinistra. In questo periodo si riaffacciano i conflitti sociali, in particolare la mobilitazione degli studenti delle secondarie nel 2006 (la cosiddetta “rivoluzione pinguina”). I comunisti propongono una nuova maggioranza e un nuovo governo che rimetta in discussione il modello neoliberista e sia più vicino ai ceti popolari.
La scarsa volontà di rottura che caratterizza anche la presidenza della Bachelet apre alla destra, per la prima volta dalla caduta della dittatura, la strada del ritorno al potere nel 2010. L’anno successivo sono gli Universitari a scendere in campo contro i processi di privatizzazione dell’educazione, i costi crescenti dell’iscrizione all’Università, il progressivo voluto declino degli Atenei pubblici a favore di quelli privati. Per la destra l’istruzione, come la sanità e le pensioni, devono essere innanzitutto fonte di profitto e non di riconoscimento di diritti sociali.
Dal movimento escono nuovi leader carismatici che garantiscono una nuova impronta alla sinistra cilena in un processo alla fine del quale emerge la vittoria di Gabriel Boric. Alcune leader del movimento, in particolare Camila Vallejo e Carol Kairola sono militanti comuniste, e la loro presenza darà un’immagine nuova al Partito che in quel periodo festeggia i 100 anni dalla propria fondazione raccogliendo 70.000 persone in uno stadio di Santiago. Una parte del movimento è però critica verso i partiti tradizionali, sia quelli della Concertacion che dei comunisti.
Si forma così quella che viene definita una “nuova sinistra”, influenzata da alcune correnti ideologiche in auge in quel momento in America Latina, variamente definite come “post-marxiste”, “autonome” ecc. Tendenze che tendono a rifiutare i partiti (uno slogan era “el pueblo unido avanza sin partido”) se non la stessa idea della necessità di “conquistare il potere”, secondo la formulazione indicata da John Holloway e ispirata all’elaborazione zapatista.
Questa “nuova sinistra”, da cui provengono Gabriel Boric e Giorgio Jackson, dà vita ad un ampio spettro di organizzazioni politiche. Il rapporto con la coalizione di centro-sinistra non è sempre omogeneo. Nel 2013, Jackson viene eletto in parlamento con il sostegno della Concertacion, mentre Boric si presenta in totale indipendenza.
Nel frattempo, nel 2009, i comunisti giungono ad un accordo con il centro-sinistra e questo consente loro di tornare in Parlamento con una piccola pattuglia di tre eletti. Nel movimento degli studenti universitari vi è chi critica i comunisti accusandoli di guardare troppo alla dimensione istituzionale. Questi rispondono, con la voce efficace e credibile di Camila Vallejo di voler operare contemporaneamente sui due livelli, rifiutando una sterile contrapposizione.
Nel 2013, il PCCh giunge all’accordo con i partiti della Concertacion dando vita ad una “Nueva Mayoria”. Grazie al successo della candidatura della Bachelet che così torna alla Moneda, i comunisti potranno contare su due ministri e con un più consistente gruppo elettorale. La nuova coalizione non riesce però a soddisfare le richieste di cambiamento. Nelle successive elezioni, perse dal centro-sinistra, i comunisti si presentano ancora in alleanza con socialisti e democristiani, mentre si forma il Frente Amplio che presenta una propria candidatura alternativa.
Questo Fronte, il cui nome si richiama esplicitamente al modello uruguayano, si propone in alternativa al centro-sinistra e alla destra, ma evitando di trovarsi ghettizzato all’estrema sinistra. Al contrario si cerca di includere un ampio spettro di forze che vanno dai trotskisti ai liberali (che poi ne usciranno per allearsi nuovamente con lo schieramento di centro-sinistra).
L’esperienza del Fronte, data anche la sua eterogeneità, presenta un bilancio piuttosto contrastato, resta però una forza significativa sulla scena politica. In vista delle recenti elezioni viene ridisegnato lo schema delle coalizioni. Da un lato si avvicinano comunisti e Fronte Ampio dall’altro si riforma una nuova Concertacion, con un nome diverso, ma con i partiti che ne fanno parti molto indeboliti.
Fondamentale per comprendere il cambiamento di scenario è l’emersione di forti movimenti di contestazione sociale che portano alla nascita della assemblea che deve redigere una nuova Costituzione. Nelle elezioni per la Costituente la sinistra prevale ma spiccano soprattutto le figure espressione di movimenti mentre restano più defilati i tradizionali partiti (anche se i comunisti beneficiano del loro insediamento sociale e territoriale). Dalla spinta al rinnovamento e alla rottura con il modello neo-liberista emerge la coalizione tra Partito Comunista e Frente Amplio. La scelta del candidato comune per le elezioni presidenziali avviene attraverso le primarie, nelle quali prevale l’esponente del Frente, Gabriel Boric, nei confronti del pur popolare candidato comunista, Daniel Jadue, sindaco di un comune della Grande Santiago.
Il successo di Boric, come si vede, è il frutto di un lungo processo nel quale spiccano la crisi del modello liberista, la delusione per l’incapacità del centro-sinistra di metterlo in discussione, la forza dei movimenti dal basso, l’emergere di una nuova sinistra, la scelta dei comunisti di restare una forza che aspira al mutamento sociale. Ora si apriranno nuove contraddizioni e difficoltà ma ad un livello sicuramente più avanzato.
Franco Ferrari