L’autoimmolazione di un 25enne statunitense in servizio militare attivo, l’aviatore Aaron Bushnell, che si è cosparso di benzina davanti all’ambasciata israeliana a Washington DC e si è dato fuoco domenica pomeriggio 25 febbraio, ha rappresentato un atto estremo di protesta contro l’intervento militare israeliano genocida a Gaza, un appello disperato per la “Palestina libera”, urlato mentre le fiamme avvolgevano il suo corpo.
Nel suo live streaming, trasmesso sulla piattaforma Twitch, poco prima di darsi fuoco Bushnell ha dichiarato “Sono un membro in servizio attivo dell’aeronautica degli Stati Uniti e non sarò più complice del genocidio”. “Sto per intraprendere un atto estremo di protesta. Ma rispetto a ciò che le persone hanno vissuto in Palestina per mano dei loro colonizzatori, non è affatto estremo. Questo è ciò che la nostra classe dirigente ha deciso sarà normale”. Dopo aver posato il telefono, appoggiandolo per continuare a filmare, si è versato sulla testa un liquido infiammabile da una bottiglia, poi ha indossato il cappello mimetico e ha usato un accendino per darsi fuoco, gridando più volte: “Palestina libera”. Bushnell è morto in un vicino ospedale circa nove ore dopo.
Mentre Bushnell bruciava davanti all’ambasciata israeliana, un agente nero dei servizi segreti intervenuto sulla scena ha tentato di spegnere le fiamme con un estintore. Un altro poliziotto bianco gli ha puntato contro una pistola, urlandogli l’ordine di mettersi a terra. È un’immagine difficile da scacciare dalla mente: anche se è una questione di politica dei servizi segreti puntare una pistola contro tutto ciò che potrebbe essere considerato pericoloso, l’agente ha avuto qualche lampo di riconoscimento che la persona di fronte a lui stava vivendo un dolore straordinario? Lo vedeva davvero come una persona o solo come una minaccia? L’agente nero ha urlato a quello bianco con la pistola: “Non abbiamo bisogno di pistole, ma di estintori!”, una frase che può essere considerata anche una metafora dei bisogni dell’attuale situazione geopolitica globale.
Bushnell era rimasto profondamente deluso dal ruolo militare degli Stati Uniti e dal suo ruolo di membro delle forze armate. Tra i suoi messaggi sulla chat di Reddit e su Facebook aveva scritto: “Sono stato complice del violento dominio del mondo e non mi toglierò mai il sangue dalle mani”. Era cresciuto in una comunità cristiana isolata nel Massachusetts e poi si era arruolato nel maggio 2020, iscrivendosi ad un corso di “Formazione tecnica e di base” dell’Aeronautica Militare. Tre anni dopo era ormai convinto di aver commesso un enorme errore, ma aveva deciso di resistere fino alla fine del suo contratto quadriennale (era diventato uno specialista in operazioni di difesa informatica in Texas). I suoi post sono diventati sempre più filo-palestinesi quando è iniziata la guerra di Israele a Gaza. In uno, ha denunciato Israele come uno “stato coloniale di apartheid di coloni” e affermato che non ci sono “civili” israeliani perché l’intero paese è impegnato nell’oppressione. Negli ultimi mesi si era sempre più avvicinato alle comunità anarchiche presenti nelle chat di Reddit e Discord. L’ultimo post su Reddit è stato il 24 febbraio e spiegava che “la bianchezza cancella la cultura”. Il suo messaggio finale su Facebook diceva: “Molti di noi amano chiedersi: ‘Cosa farei se fossi vivo durante la schiavitù? O il Jim Crow del Sud? O l’apartheid? Cosa farei se il mio paese stesse commettendo un genocidio?’ La risposta è: lo stai facendo. Proprio adesso“.
Interrogata sulla morte di Bushnell, l’addetta stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha affermato che il presidente Biden ne era “a conoscenza” e che si trattava di una “orribile tragedia”. Ma non c’era alcuna dichiarazione sul motivo per cui il giovane si è tolto la vita, e nulla che rassicurasse un pubblico teso sulle implicazioni di questo atto.
È scoppiato un dibattito su come interpretare al meglio il martirio politico di Bushnell. Cos’è eroico? Inutile? Un’altra opportunità per esprimere la propria opinione sulla necessità di servizi di salute mentale più robusti. Soprattutto, ha aperto una frattura nel discorso politico americano, dividendo anche coloro che sono impegnati nella causa palestinese e si oppongono fortemente agli aiuti statunitensi a Israele. La morte lenta e violenta di Bushnell, il suo spettacolo terrificante e la sua brutale irreversibilità si sono rivelati profondamente inquietanti e destabilizzanti per molti della stessa sinistra statunitense. Ci sono state speculazioni selvagge sulla sua salute mentale (“Chi se non una persona pazza farebbe una cosa del genere?” si sono chiesti alcuni; come se questa domanda non potesse essere posta riguardo alla stessa azione militare di Israele). Si è insinuato che il suo atto finale avesse a che fare con la sua educazione in un complesso religioso, come ha cercato di suggerire il Washington Post, o con il suo recente passato anarchico, come ha suggerito The Guardian. E ci sono stati anche accorati appelli alla cautela, affinché reporter e commentatori scrivessero dell’azione diretta di Bushnell in modi che non incoraggiassero altri a seguire il suo esempio. La copertura da parte dei principali giornali e mezzi di informazione statunitensi e inglesi ha rivelato una tendenza preoccupante a riferire in modo selettivo, omettendo i dettagli chiave sull’incidente e le motivazioni di Bushnell. Ciò era evidente nei titoli che evitavano di menzionare la causa diretta della protesta: il genocidio di Israele contro i residenti di Gaza1.
Allo stesso tempo, ci sono stati alcuni nel campo filo-palestinese che hanno espresso un’umile ammirazione per l’atto di Bushnell, venerando non solo la sua chiarezza di principi e il suo spirito di sacrificio, ma anche la drammaticità e la severità del suo atto, qualcosa che sembra, infine, adeguato alla portata della loro indignazione nei confronti degli oltre 30mila morti di Gaza. Le organizzazioni antimperialiste e di solidarietà con la Palestina negli Stati Uniti hanno rilasciato diverse dichiarazioni in onore di Bushnell. La sua azione è stata interpretata come un segnale e un indicatore del profondo cambiamento della coscienza negli Stati Uniti. La narrativa precedentemente dominante che sosteneva il governo dell’apartheid israeliano sta drammaticamente lasciando il posto a una narrativa basata sulla verità: che il popolo palestinese è stato vittima di esproprio, pulizia etnica, violenza di ogni tipo e ora di un tentativo di genocidio a Gaza.
Sappiamo bene che l’America non è estranea alla violenza politica. Ma di solito questa viene da destra2. In America le sparatorie di massa vengono regolarmente effettuate in pubblico da giovani uomini suprematisti bianchi con programmi politici di estrema destra, che massacrano fedeli di chiese, sinagoghe o moschee, persone afroamericane o appartenenti ad altre minoranze di colore, acquirenti di generi alimentari o studenti delle scuole superiori; il bilancio delle vittime di queste atrocità esplicitamente politiche viene assimilato nel tessuto sociale, difficilmente registrato come aggressioni perpetrate per conto di un movimento politico (il suprematismo o nazionalismo bianco). Nel frattempo, le milizie di estrema destra, dai Proud Boys al Patriot Front, organizzano parate intese a intimidire i loro nemici politici e le popolazioni che considerano indesiderabili. A volte minacciano o picchiano le persone; a volte circondano i Campidogli degli Stati con le armi in mostra. Il 6 gennaio 2021 hanno preso d’assalto Capitol Hill a Washington. È probabile che la violenza politica di destra plasmerà le elezioni del 2024 e, salvo l’emergere di una soluzione politica radicalmente diversa, sarà una caratteristica della vita americana nel prossimo futuro.
Gli atti di autoimmolazione sono rari, ma hanno un intento chiaro: usare una grottesca dimostrazione di abnegazione per attirare l’attenzione del pubblico su un problema, per costringerlo a una testimonianza morale. E l’azione diretta di Bushnell ha evocato ricordi inquietanti della guerra in Vietnam, soprattutto per gli americani che hanno protestato contro di essa3. Il fatto che Bushnell indossasse la sua divisa militare da combattimento e richiamasse l’attenzione sul suo servizio militare indica che credeva che il suo status di soldato avrebbe dato maggiore peso e significato alla sua protesta.
Non possiamo sapere esattamente cosa avesse in mente Bushnell (né quale fosse il suo stato di salute mentale) quando ha deciso di togliersi la vita (questa è una domanda a cui non potremo mai rispondere), ma chiaramente ha sperato che il suo martirio avrebbe scosso gli americani (e gli europei) dal loro compiacimento e li avrebbe costretti ad agire per porre fine allo spargimento di sangue. Noi non possiamo evitare il confronto con il significato dichiarato dell’auto-immolazione di Bushnell: che Israele sta conducendo un genocidio a Gaza, un genocidio che è possibile solo con il denaro e il sostegno degli Stati Uniti e dell’Europa, e che questa catastrofe morale coinvolge tutti gli americani ed europei nella complicità. Il 20 febbraio, l’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield ha posto il (quarto) veto ad una risoluzione per un cessate il fuoco a Gaza presentata dall’Algeria4. Quando l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del 26 gennaio ha suggerito che le azioni di Israele a Gaza costituiscono un genocidio “plausibile”, l’Algeria aveva promesso di agire immediatamente attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Bushnell ha ammesso che la sua protesta è estrema. Eppure impallidisce di fronte all’estremismo contro cui protesta. Un estremismo non solo di morte e distruzione quotidiana, ma che si qualifica come dominazione coloniale. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre tutti noi – americani, europei, arabi, e resto del mondo – abbiamo assistito impotenti all’assalto israeliano a Gaza, ai massicci bombardamenti di quartieri densamente popolati, alla morte di oltre 30mila civili innocenti, tra cui in maggioranza donne e (oltre 13mila) bambini e alla distruzione di biblioteche, moschee, musei, panetterie, scuole, ospedali e intere famiglie. Dall’ordine della Corte Internazionale di Giustizia del 26 gennaio di fermare il genocidio, Israele ha ucciso oltre 3mila palestinesi. Dopo mesi di fuga da una presunta zona sicura a un’altra che Israele ha poi bombardato e oltre 1,5 milioni di palestinesi – più della metà della popolazione di Gaza – sono ora intrappolati a Rafah, il punto più meridionale di Gaza e ora l’area più densamente popolata del mondo.
Israele è il principale colpevole dell’assedio e del massacro di vite umane, ma sappiamo che la condivisione dell’intelligence da parte degli Stati Uniti è significativa per la capacità di Israele di condurre una guerra e, secondo quanto riferito, unità delle forze speciali sono in Israele per fornire supporto tecnico nel targeting. Le truppe israeliane utilizzano armi di fabbricazione americana e il governo statunitense contribuisce a finanziare la guerra. Senza il supporto degli USA, Israele non potrebbe continuare a perpetrare la sua campagna di punizione collettiva contro gli abitanti di Gaza. Gli Stati Uniti stanno consentendo le azioni di Israele e sono quindi in parte responsabili. L’amministrazione Biden può e deve fare di più per fare pressione su Israele affinché metta fine alla carneficina.
Come ogni Stato, Israele ha il diritto di difendersi. Ma l’uccisione di civili non è mai consentita, indipendentemente dalla causa, e questo vale per Israele come per Hamas o qualsiasi altro gruppo. E intraprendere una guerra per contrastare il terrorismo – atrocità commesse contro i civili – è un’impresa folle, una trappola che intrappola lo stato belligerante in guerre prolungate, costose e debilitanti di contro-insurrezione e occupazione militare, mentre semina semi di odio e violenza che metteranno a repentaglio la sua sicurezza.
Milioni di persone negli Stati Uniti e in tutto il mondo sono attive nel movimento contro la guerra a Gaza, chiedendo un cessate il fuoco e negoziati per una soluzione politica. Nonostante le numerose proteste e la massiccia pressione contro la guerra, tuttavia, le uccisioni continuano, e gli aiuti degli Stati Uniti continuano ad arrivare all’esercito israeliano. Molti giovani attivisti oggi sono frustrati e arrabbiati per la loro incapacità di fermare la guerra.
Simili sentimenti di frustrazione e rabbia emersero durante la guerra del Vietnam, che continuò nonostante le massicce proteste contro di essa. Il movimento contro l’aggressione in Indocina degli Stati Uniti è stata la campagna contro la guerra più grande, sostenuta e intensa della storia americana. Per un decennio, si intensificò, raggiunse il suo apice furioso e poi gradualmente diminuì, milioni di cittadini negli Stati Uniti e in tutto il mondo continuarono una campagna per porre fine alla guerra. Durante quell’epoca, come scrive Tom Hayden in Hell No: The Forgotten Power of the Vietnam Peace Movement (2017), “gli americani scesero in piazza in numero superiore a centomila in almeno una dozzina di occasioni, raggiungendo talvolta mezzo milione”. Dalle prime grandi proteste e manifestazioni nel 1965 alla Campagna per la Pace in Indocina contro i finanziamenti alla guerra negli anni ’70, gli oppositori della guerra si impegnarono in campagne di educazione pubblica, marce di massa, picchetti, veglie di preghiera, boicottaggi, scioperi studenteschi, resistenza alla leva, lobbying legislativo, media e pubblicità, campagne elettorali e altro ancora. La protesta contro la guerra è emersa da ogni settore della società e in ogni parte del paese, anche tra molti appartenenti all’esercito5.
La storia della guerra del Vietnam dimostra che il dissenso pacifista limitò la portata delle opzioni militari degli Stati Uniti e contribuì a porre fine alla guerra. L’opinione pubblica contraria alla guerra fu una variabile chiave nei calcoli strategici delle amministrazioni Johnson e Nixon, come ha sostenuto lo storico Melvin Small. I leader politici prendevano decisioni sulla condotta della guerra sulla base della loro valutazione dell’impatto politico in patria e degli effetti sul dissenso pacifista. Questa era una “prova inconfutabile” dell’influenza del movimento, ha scritto Small.
Non è appurato che Bushnell fosse a conoscenza della storia del movimento contro la guerra in Vietnam, perché poche persone ormai la conoscono negli Stati Uniti. Nell’attuale cultura individualista, si apprendono le conquiste storiche dei leader e degli individui, non dei movimenti sociali che li sostengono. Si apprende del movimento per i diritti civili, anche se spesso inquadrato solo nel ruolo di Martin Luther King jr., con limitato riferimento ai tanti che collaborarono con lui nella lotta per la libertà. Si sa poco dei movimenti sociali in generale e ancor meno dei loro punti di forza e di debolezza e di come i movimenti influenzano la politica.
Una delle grandi sfide dell’organizzazione dei movimenti sociali è superare il senso di impotenza che molti attivisti provano quando i loro sforzi di mobilitazione non raggiungono i risultati richiesti. Quando il cambiamento non arriva rapidamente o in modo così completo come desiderato, gli attivisti possono demoralizzarsi. Potrebbero cadere preda della convinzione debilitante che non si possa fare nulla, che la protesta e l’organizzazione siano inutili.
Parte del problema è che il cambiamento politico spesso avviene in modi inaspettati e talvolta non riconosciuti. Il processo è spesso lento e graduale, con cambiamenti modesti che non soddisfano le richieste degli attivisti. “È sempre troppo presto per calcolarne l’effetto”, ha osservato Rebecca Solnit. Non possiamo mai sapere come le nostre azioni di oggi potrebbero influenzare gli eventi di domani. Quando esercitiamo pressioni, non possiamo prevedere come risponderanno le istituzioni politiche, ma i passi parziali possono essere significativi e portare a cambiamenti più sostanziali.
La storia mostra chiaramente che i movimenti contano e che le pressioni degli attivisti possono esercitare un’influenza politica. L’analisi accademica mostra che i movimenti sociali sono in grado di ottenere il cambiamento se riescono a costruire grandi coalizioni, impiegare strategie sagge, avere narrazioni convincenti e unificanti e se sono persistenti nell’esercitare pressioni per il cambiamento.
Bushnell non si è arreso disperato. Ha fatto una scelta deliberata, calcolata per massimizzare l’impatto della sua protesta, per dare il peso adeguato alle atrocità perpetrate in suo nome come americano e come militare. Ha spiegato il suo pensiero, ha scelto le sue ultime parole, ha creato un legame digitale con la sua morte per garantire che il suo sacrificio non venisse censurato o perso. Negare questo significa negargli il suo libero arbitrio e la sua umanità nel suo ultimo atto. Questa è la scelta che Bushnell ci ha chiesto di fare. Riconosciamo finalmente che questo sistema di potere è insostenibile? Oppure chiudiamo gli occhi di fronte all’agonia che crea?
Le persone che credono in un’ideologia suprematista – come i politici sionisti israeliani che descrivono i palestinesi come “animali umani”, o le persone in tutto il mondo che sostengono le loro azioni genocide – sono dei codardi nel profondo. Giustificano la propria esistenza attraverso l’esclusione, capaci di immaginare la propria umanità solo quando questa viene negata agli altri. Non riescono a immaginare che una persona con convinzione, forza, coraggio sacrificherebbe tutto, rinuncerebbe alla propria vita per fermare la sofferenza di altri che non ha mai incontrato. Non capiscono cosa ha fatto Bushnell. E non sarebbero mai in grado di farlo da soli.
È comunque tragico che Bushnell abbia ritenuto necessario togliersi la vita in modo estremo per essere ascoltato6. La sua morte ci invia un messaggio affinché continuiamo ad agire contro la guerra e a sostegno dei diritti dei palestinesi, per fare pressione sui governi europei e statunitense perché insistano affinché Israele metta fine allo spargimento di sangue. Il nostro successo nel raggiungimento di questi obiettivi dipenderà dalla costruzione di un movimento sempre più ampio e persistente di milioni di persone determinate a lavorare e battersi per la pace.
Alessandro Scassellati
- Un tipico titolo del Wall Street Journal recitava semplicemente “Un membro dell’aeronautica degli Stati Uniti muore dopo essersi dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana”, senza menzionare la Palestina. Il quotidiano britannico The Guardian, nel suo primo articolo del 26 febbraio sull’incidente, non ha menzionato nel titolo il motivo dell’auto-immolazione del soldato americano davanti all’ambasciata israeliana. Allo stesso modo, nel contenuto dell’articolo, il giornale non ha affrontato direttamente il motivo dietro le azioni di Bushnell, limitandosi ad affermare che egli ha gridato “Palestina libera” prima di darsi fuoco. Pertanto, l’articolo del Guardian, attraverso il titolo e la narrazione, implicava che l’azione di Bushnell fosse esclusivamente a sostegno della Palestina piuttosto che una protesta diretta contro il genocidio subito dai palestinesi a Gaza per mano dell’esercito di occupazione israeliano, omettendo i dettagli chiave sull’incidente e le motivazioni di Bushnell[↩]
- La sinistra, al contrario, è molto meno violenta. Ci sono state violenze occasionali contro la proprietà a Occupy Wall Street e durante le proteste Black Lives Matter del 2020; di tanto in tanto, durante l’amministrazione Trump, alcuni anarchici vestiti di nero si sono presentati a una manifestazione nazista per tirare qualche pugno. Ma questa violenza è sporadica, non programmatica; non è né una caratteristica primaria né un fine della sinistra americana.[↩]
- Bushnell potrebbe essere stato a conoscenza di atti di autoimmolazione avvenuti durante la guerra del Vietnam. La più famosa fu l’immolazione del monaco buddista vietnamita Thich Quang Duc nel giugno 1963 nel centro di Saigon, vicino al Palazzo Presidenziale per protestare contro il trattamento riservato ai buddisti da parte del governo cattolico. Quang Duc si sedette nella posizione del loto e si diede fuoco dopo essere stato cosparso di benzina. Morì bruciato senza batter ciglio. Lui e altri stavano protestando contro la persecuzione della comunità buddista da parte del governo Diem, sostenuto dagli Stati Uniti. Altri cinque monaci buddisti si autoimmolarono nelle settimane successive, provocando il rovesciamento del regime di Diem. La scena scioccante dell’immolazione di Quang Duc è stata immortalata nella pluripremiata fotografia iconica di Malcolm Brown. Nel marzo del 1965 l’attivista ottantaduenne Alice Jeanette Herz si diede fuoco in una strada di Detroit, richiamando l’attenzione sul suo messaggio contro la guerra ed esortando gli altri a lavorare per la pace. Pochi mesi dopo, il trentunenne pacifista quacchero Norman Morrison si autoimmolò al Pentagono, vicino all’ufficio del Segretario alla Difesa Robert McNamara, che in seguito ammise che l’atto era “una protesta contro l’omicidio che stava distruggendo vite umane di tanti giovani vietnamiti e americani”. Una settimana dopo la morte di Morrison, Roger Allen LaPorte commise un atto simile di auto-immolazione davanti al palazzo delle Nazioni Unite a New York. Nel maggio 1970 lo studente laureato ed ex cadetto della ROTC George Winne morì di autoimmolazione nel campus dell’Università della California a San Diego. Erano atti di sacrificio supremo, come quello di Bushnell, e queste persone sono diventate simboli vividi delle loro lotte per richiamare l’attenzione sulla brutalità della guerra. La loro morte ha rappresentato un atto d’accusa nei confronti dei sistemi politici che li hanno oppressi e delusi. Il loro martirio aveva lo scopo di motivare gli altri a parlare a favore della pace. Nel 1968, quando la Primavera di Praga è stata schiacciata dai carri armati sovietici, Ryszard Siwiec, un veterano di guerra polacco di 59 anni, si è dato fuoco durante una festa del raccolto, assicurandosi che la sua protesta contro la complicità del suo paese nell’invasione fosse testimoniata da migliaia di persone. Un atto di autoimmolazione più ampiamente ricordato fu commesso diversi mesi dopo da uno studente ceco ventenne di nome Jan Palach, che corse lungo una strada a Praga dopo essersi dato fuoco. Al suicidio di Palach ne seguirono molti altri in Cecoslovacchia, poi in Lituania e Ucraina. Negli ultimi anni, nella Russia di Putin, l’autoimmolazione è riemersa come forma di protesta. Negli Stati Uniti si sono verificate anche altre autoimmolazioni oltre a quella di Bushnell. A dicembre, un’altra manifestante contro la guerra a Gaza, della quale si hanno poche informazioni, si è autoimmolata davanti al consolato israeliano ad Atlanta. David Buckel, un attivista ambientale, si è autoimmolato nel Prospect Park di Brooklyn per protestare contro la crisi climatica nel 2018. Un altro attivista climatico, Wynn Bruce, si è tolto la vita nello stesso modo sui gradini della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 2022. L’auto-immolazione del venditore ambulante tunisino Mohamed Bouazizi nel dicembre 2010 ha dato il via alla Primavera Araba e ha aperto un decennio di rinascente attivismo politico di sinistra, che ha incluso movimenti sociali americani come Occupy Wall Street, #MeToo, Black Lives Matter e una nuova infusione di energia nel movimento sindacale.[↩]
- Nonostante la triste realtà a Gaza, l’ambasciatrice Thomas-Greenfield ha affermato che gli Stati Uniti non potevano sostenere la risoluzione del cessate il fuoco perché non condannava Hamas e perché presumibilmente avrebbe messo a repentaglio i negoziati in corso per il rilascio degli ostaggi. L’ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite, Zhang Jun, non era d’accordo, sottolineando che il veto “non è niente di diverso dal dare il via libera al continuo massacro”. Solo “spegnendo il fuoco della guerra a Gaza”, ha affermato, “potremo evitare che le fiamme dell’inferno travolgano l’intera regione”. In effetti, la dichiarazione di Thomas-Greenfield al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è andata di pari passo con il tentativo del suo governo di fornire 14 miliardi di dollari in aiuti militari a Israele. Dal 1948, quando è stato creato Israele, gli Stati Uniti gli hanno fornito oltre 300 miliardi di dollari in aiuti, compreso un esborso annuale di 4 miliardi di dollari in aiuti militari (e le decine di miliardi in programma dal 7 ottobre 2023). Quando il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha parlato con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’11 febbraio, invece di criticare il genocidio, ha riaffermato il loro “obiettivo condiviso di vedere Hamas sconfitto e di garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e del suo popolo”. Il veto di Thomas-Greenfield non è venuto dal nulla.[↩]
- Anni dopo, quando Nixon, Henry Kissinger e il suo assistente senior, H. R. Halderman, pubblicarono le loro memorie, si apprese che gli eventi delle mobilitazioni ebbero l’effetto di prevenire una minacciata escalation della guerra. La storia di questo episodio poco conosciuto è presentata magistralmente nel documentario televisivo di Stephen Talbot del 2023, The Movement and the “Madman”. La Casa Bianca aveva lanciato un ultimatum ai vietnamiti, minacciando il possibile uso di armi nucleari (la cosiddetta “teoria del pazzo”) se il Vietnam del Nord non avesse posto fine alla guerra alle condizioni americane. Quando Hanoi si oppose, Nixon annullò gli attacchi pianificati, temendo che un’ulteriore escalation potesse portare a uno sconvolgimento pacifista e a un disordine sociale ancora maggiori.[↩]
- Bushnell ha condotto la sua protesta durante l’amministrazione di un presidente che ha assistito in prima persona allo svolgersi della guerra del Vietnam. Si stava rivolgendo direttamente a un comandante in capo che ha assistito alle conseguenze di tre guerre alimentate da bugie, e ora ha iniziato la propria. Negli anni ’70, il presidente Biden definì “stronzi” i manifestanti contro la guerra del Vietnam. Oggi, apparentemente incapace di imparare dalla storia, mostra la stessa insensibile arroganza. È improbabile che l’auto-immolazione di Bushnell cambi la situazione. Può cambiare la coscienza degli americani, però, se lo permettono.[↩]
1 Commento. Nuovo commento
Grazie per questo articolo. Avevo sentito la notizia che mi aveva colpito e commosso e poi più niente. E non mi sembrava giusto che questo atto caraggioso e disperato cadesse nel silenzio-
Ho letto con molto interesse e partecipazione il tuo articolo che denuncia l’egoismo l’ottusità di Netanyahu e di chi lo appoggia e dove la paura e la prepotenza alimentano la guerra. Sono molto preoccupata per la complessità della situazione qui e in Ucraina e per l’incapacità internazionale di trattare senza capire abbastanza che le armi non risoplvono, ma allargano i conflitto-
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