Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?
Significa chiedere scusa,
chiedere continuamente scusa, agli alberi bruciati,
agli uccelli senza nidi, alle case schiacciate,
alle lunghe crepe sul fianco delle strade,
ai bambini pallidi, prima e dopo la morte
e al volto di ogni madre triste,
o uccisa!
Cosa significa essere al sicuro in tempo di guerra?
Significa vergognarsi,
del tuo sorriso,
del tuo calore,
dei tuoi vestiti puliti,
delle tue ore di noia,
del tuo sbadiglio
della tua tazza di caffè,
del tuo sonno tranquillo,
dei tuoi cari ancora vivi,
della tua sazietà,
dell’acqua disponibile,
dell’acqua pulita,
della possibilità di fare una doccia,
e del caso che ti ha lasciato ancora in vita!
Mio Dio,
non voglio essere poeta in tempo di guerra.
(Hend Jouda, poeta palestinese)
Hend Jouda è nata a Gaza nel 1983, nel campo profughi di Al-Bureij, ha scritto di identità, di amore ma soprattutto di politica. La sua poesia è capace di dare parola a ciò che sentiamo quando pensiamo all’orrore della vita delle persone che vivono a Gaza, mentre noi possiamo ancora permetterci pace e benessere, benché il frangente storico che stiamo vivendo rende il futuro di tutt3 gravido di incognite.
Di fronte alle immagini che arrivano da Gaza, anche ora dentro una tregua che si rivela sempre più fragile e menzognera, avvertiamo fortemente un senso di impotenza. Continuiamo comunque a manifestare, a denunciare, a organizzare iniziative convinte che sia importante far arrivare le nostre voci di protesta e la nostra solidale vicinanza al popolo palestinese, in modo che si senta meno solo. Almeno questo.
Ecco perché abbiamo pensato di pubblicare, in intersezioni femministe, la poesia di una poeta palestinese.
In un’intervista a Vanity Fair di qualche tempo fa, Hend Jouda ebbe a dire che per lei lo “scrivere in tempo di guerra è un tentativo di sfuggire alle profonde fratture dell’anima, ed è forse un’ancora di salvezza per non soffocare in mezzo alla crudeltà che ferisce tutto ciò che è umano e fragile, a partire dalla perdita di vite e dalla perdita dei diritti”.
La sua poesia è un atto di resistenza in un mondo che diventa sempre più feroce ,un atto coraggioso mentre sembra che si stia perdendo ogni possibilità di bellezza e di umanità.
La poesia che pubblichiamo è stata inclusa nel libro “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza”.
Abbiamo pensato che potessero essere queste le parole migliori per augurare a tutt3 giornate di fine anno ricche di relazioni umane. Relazioni che sappiano indicare un altro modo di stare al mondo.
Ad meiora.
Paola Guazzo e Nicoletta Pirotta