Il primo turno delle elezioni presidenziali in Ecuador che si è tenuto il 20 agosto scorso ha dato risultati in parte inaspettati. Al primo posto si è collocata Luisa Gonzales espressione di Revolucion Ciudadana, il partito che si riconosce nelle idee dell’ex Presidente Rafael Correa, oggi in esilio in Belgio, con il 33,5% dei voti. L’esito finale ha confermato una tendenza al ribasso del suo consenso che si è registrata nell’ultima fase della campagna elettorale, soprattutto a seguito dell’assassinio di uno dei candidati alla presidenza Fernando Villavicencio.
Un evento, questo, insolito in un paese come l’Ecuador che è rimasto in generale estraneo dai livelli di violenza che invece hanno coinvolto paesi vicini come il Perù e la Colombia. L’omicidio di un candidato politicamente moderato che si era esposto soprattutto nella campagna contro la corruzione e decisamente anti-correista ha portato alla ribalta il tema della “legge e ordine”, agitato soprattutto da Jan Topic che ha raccolto il 14,7% dei voti, non abbastanza per arrivare al secondo turno. Anche il candidato che in extremis ha sostituito Villavicencio per conto del suo Movimento Construye, Christian Zurita, ha beneficiato di un’ondata di simpatia ma il suo 16,5% non gli ha consentito di conquistare il secondo posto utile ad arrivare al ballottaggio.
È stato invece, inaspettatamente, Daniel Noboa, appartenente all’oligarchia economica del paese e figlio di Alvaro Noboa che ha tentato ripetutamente di diventare presidente dell’Ecuador, a conquistare il 23,5% dei voti e a battere gli altri sette competitori.
Luisa Gonzales, portabandiera del movimento fondato da Rafael Correa, ha puntato soprattutto sui buoni risultati ottenuti durante il decennio della presidenza di uno dei principali esponenti della prima ondata di sinistra che ha coinvolto il subcontinente latinoamericano. Sotto la sua presidenza sono stati notevolmente rafforzate le politiche di integrazione sociale e rafforzato il ruolo dello Stato nella gestione delle politiche economiche anche se non si può parlare di vera e propria trasformazione radicale delle strutture sociali del Paese. Correa ha utilizzato ampiamente le ricchezze derivanti dal petrolio e dalle altre attività estrattive per favorire una migliore ripartizione della ricchezza condivisa a favore degli strati sociali più poveri.
Complicato e spesso conflittuale è stato il rapporto con i movimenti indigenisti, in particolare la CONAIE e il suo braccio politico Pachakutik che dopo un primo momento di convergenza si sono schierati sempre più frequentemente con l’opposizione alla presidenza di Correa. Anche mettendo in campo qualche rapporto più che ambiguo con la destra liberista. La continuità dell’esperienza progressista doveva essere garantita dall’elezione nel 2017 di Lenin Moreno che invece, una volta assunta la carica di Presidente della Repubblica, ha iniziato a smantellare le misure sociali del decennio precedente e a stringere rapporti sempre più stretti con l’oligarchia economica del paese. A causa di questa svolta trasformista è entrato in aperta rottura con i sostenitori di Rafael Correa che vennero espulsi da Alianza Pais e diedero vita ad una nuova formazione politica.
Nella recente prova elettorale il peso dei movimenti indigenisti è risultato nettamente ridimensionato considerato che il candidato più vicino alle loro posizioni, Yaku Perez, anche se non direttamente sostenuto dalla CONAIE, ha ottenuto un modesto 4,0%. Nelle elezioni del 2021 aveva raggiunto il 19,4% e sfiorato per pochi voti l’accesso al ballottaggio.
Possono però rivendicare il successo ottenuto nei due referendum che si sono svolti lo stesso giorno del voto politico. E’ stato approvato a larga maggioranza il blocco delle estrazione petrolifere all’interno del Parco nazionale Yasunì, dove vivono diverse minoranze indigene. Analogamente i residenti del Distretto Metropolitano di Quito hanno sostenuto il divieto all’estrazione di metalli nel Chocò Andino, un vasto territorio vicino alla capitale.
Da parte di Luisa Gonzales non c’è stato un sostegno alla volontà dei promotori dei referendum, ma al contrario una decisa perplessità d fronte alla perdita di risorse economiche utili a realizzare politiche di redistribuzione della ricchezza. Si ripropone un problema non interamente risolto In Ecuador come altri paesi latinoamericani governati dalla sinistra: sicuramente si sono applicate politiche sociali avanzate, ma si è ancora lontani dalla sostanziale definizione di un modello di sviluppo alternativo che possa coniugare dimensione ambientale, equità sociale e una politica estera autonoma.
Luisa Gonzales si presenta al voto decisivo del 15 ottobre prossimo con un patrimonio elettorale di oltre tre milioni di voti, circa 200.000 in più di quelli ottenuti due anni fa da Andres Arauz, che oggi è il suo vice e che venne poi sconfitto dal candidato della destra Guillermo Lasso. Il rappresentante della Revolucion Ciudadana venne allora superato dal presidente della destra per 400.000 voti. In vista del ballottaggio Luisa Gonzales dovrà ampliare il proprio consenso ben oltre il bacino consolidato di voto per il “correismo” e parlare a settori di elettorato che sono stati attratti da altri discorsi contro la corruzione o contro il degrado della sicurezza e l’aumento della criminalità che si è registrato negli ultimi anni in Ecuador (soprattutto dopo la fine delle politiche sociali sostenute dallo schieramento progressista al governo). Alcuni osservatori hanno ritenuto che la sua impostazione della campagna elettorale fosse troppo rivolta al passato e quindi facesse poca presa soprattutto tra gli elettori più giovani.
Il candidato della destra Daniel Noboa, con il suo partito di recente costituzione, l’Alleanza Democratica Nazionale, dovrà unire il probabile sostegno dell’oligarchia economica di cui è espressione, con i vari settori di elettorato che si sono rivolti ad altre candidature ma non è detto che siano favorevoli ad una proposta economica decisamente neoliberista. La sua vice, Veronica Abad, è un’accesa sostenitrice di Trump e Bolsonaro. Molte delle politiche economiche che Noboa vuole portare avanti sono le stesse che hanno impedito al Presidente uscente Lasso di ricandidarsi data la sua crescente impopolarità.
La crescita di organizzazioni criminali in Ecuador è stato imputato a vari fattori. Oltre che alla cancellazione progressiva delle misure sociali che avevano consentito una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza sembrano pesare l’evoluzione della situazione colombiana e il cambiamento intervenuto nel mercato globale della cocaina.
In Colombia una delle conseguenze indirette della fine della guerriglia delle Farc (anche se restano attivi gruppi militari dissidenti che si richiamano a quell’esperienza storica) e di consentire una maggiore attività a gruppi di narcotrafficanti al confine con l’Ecuador. Ma decisivo sarebbe il cambiamento del mercato degli stupefacenti negli Stati Uniti, con il declino del consumo di cocaina e l’ascesa del ricorso al fentanyl, un oppioide sintetico che ha fatto registrare un vero boom di consumo negli ultimi anni. Il traffico di cocaina si starebbe spostando dal nord America all’Asia e l’Ecuador sarebbe diventato il canale di passaggio preferenziale. E’ questa la ragione che è stata suggerita soprattutto dal Presidente colombiano Gustavo Petro, per la crescita della criminalità nel Paese confinante con la Colombia.
Il voto del prossimo 15 ottobre avrà una certa influenza nel definire la mappa della politica latinoamericana alla luce di quella che è stata definita come la seconda “onda rosa” di governi progressisti. A sorpresa in Guatemala, in coincidenza con il primo turno in Ecuador, è stato eletto con una maggioranza travolgente Bernardo Arevalo, espressione del movimento Semilla. In direzione contraria sono andate invece le primarie in Argentina col primo posto ottenuto inaspettatamente dal candidato della destra ultra-reazionaria Javier Milei. La presidenza peronista ha pagato la difficile situazione economica e la necessità di ricorrere al Fondo Monetario Internazionale. Ma il voto vero si terrà il prossimo 22 ottobre, una settimana dopo il ballottaggio in Ecuador, e li si vedrà se l’Argentina tornerà a destra.
Oltre alla dimensione nazionale e continentale l’orientamento dei governi latinoamericani nella prossima fase avrà anche un impatto sulla crisi degli assetti globali. Si è visto che il Brasile di Lula sta svolgendo un ruolo importante per promuovere una visione multipolare dell’assetto mondiale, oltre che a cercare di influire su un’uscita contrattata dalla guerra in Ucraina. E svolge un ruolo di guida dei governi progressisti del subcontinente latinoamericano. Mentre l’Unione Europea ha scelto di puntare sulla guerra e sul riarmo.
Franco Ferrari