Riprendiamo da Umbria Left l’articolo di Francesco Tanzarella sulla marcia per la pace Perugia-Assisi –
“Ci vorrebbe un movimento della pace come quello del 2003 contro la guerra in Iraq”. Da quel 24 febbraio in cui iniziò l’invasione dell’Ucraina, questo è uno degli auspici più diffusi in quel mondo pacifista che marcerà il prossimo 24 aprile dai giardini del frontone di Perugia sino alla rocca d’Assisi. In effetti quella giornata di lotta contro la guerra indetta in tutto il mondo il 15 febbraio 2003 fu talmente partecipata da milioni di persone, da spingere il New York Times a scrivere che era nata la seconda superpotenza mondiale. Invece quel movimento andò declinandosi sino a spegnersi, nonostante altri terribili scenari bellici si siano aperti, dalla Libia, alla Siria ,all’Afghanistan, allo Yemen, tanto che il Papa coniò l’espressione “guerra mondiale a pezzetti”.
È bene dunque ricordare come quella giornata di lotta pacifista si sviluppò a seguito dell’onda lunga di quel “movimento dei movimenti” iniziato a Seattle nel 1999 contro gli effetti più deleteri della globalizzazione capitalistica, tra cui le nuove norme a tutela dei brevetti dei vaccini che furono introdotte proprio da quella conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e che ebbe i suoi sviluppi più clamorosi nelle giornate del luglio 2001 a Genova, in cui trovò la morte il giovane Carlo Giuliani. Pochi mesi dopo Genova ci fu in Brasile, a Porto Alegre, il primo social forum mondiale, concluso con l’annuncio della candidatura alla presidenza della Repubblica brasiliana di Ignazio da Silva detto Lula. A quell’epoca Lula era già conosciuto in Italia soprattutto grazie alle relazioni stabilite da un parlamentare europeo ed ex dirigente sindacale, Alberto Tridente. Tra i due infatti era nata una grande sintonia, perché ambedue erano stati dirigenti sindacali della medesima categoria, quella metalmeccanica, provenendo entrambi dalla produzione e persino dallo stesso tipo di mansione lavorativa, quella della saldatura. Questo tratto comune di esperienza lavorativa costituiva per entrambi un grande legame identitario. Ricordo, a questo proposito, che quando Tridente a metà degli anni ’70 fu chiamato a Roma da Torino per lavorare alla FLM, si portò appresso anche i suoi attrezzi da saldatore, con cui si dilettava a fare qualche piccolo lavoro. All’inizio del nuovo millennio era però proprio quel mondo del lavoro che aveva costituito il legame tra lavoratori e sindacati di tante diverse parti del mondo, a concludere la sua storia con lo scomparire della fabbrica fordista e delle sue molteplici fasi di organizzazione del lavoro. Col venir meno di quel legame, venivano meno anche quelle radici su cui si era poggiato e sviluppato con alterne vicende un secolo e mezzo di internazionalismo e di pacifismo. Il social forum coi suoi incontri internazionali non solo costituì dunque l’ultimo movimento pacifista, ma anche l’ultimo tentativo di creare legami tra i vari movimenti nazionali, mentre le tradizionali forme di organizzazione internazionale dei partiti di sinistra e anche dei sindacati, si facevano sempre più rarefatte, sino a scomparire o a perdere di importanza.
Il movimento dei movimenti fu dunque una sorta di canto del cigno del vecchio movimento operaio, e al tempo stesso espresse la necessità di passare il testimone a un nuovo tipo di internazionalismo. Necessità che sino ad oggi rimane senza risposta. Tuttavia quel movimento aprì un processo di transizione che tuttora è in corso, come dimostra la dimensione globale di quei grandi movimenti di opinione che si sono sviluppati negli anni recenti come Non una di meno e Friday for future, senza dimenticare quella Via Campesina che prese proprio allora le sue mosse per avere poi notevolissimi sviluppi sia in Asia che in America Latina sia per la difesa dei diritti dei lavoratori agricoli sia per la difesa dell’ambiente. Un processo di transizione che ha come suo campo di ricerca soprattutto l’emersione dei nuovi soggetti sociali definiti dallo sviluppo delle grandi multinazionali che hanno dato vita al cosiddetto capitalismo delle piattaforme. In quest’ambito molti segnali incoraggianti provengono certamente dal settore della logistica dove si sono recentemente registrate molteplici esperienze di lotte e di organizzazione sindacale anche di tipo sovranazionale come lo sciopero dei lavoratori di Amazon di un anno fa. Ma dove certamente rimane ancora priva di strumenti di rivendicazione la maggior parte dei lavoratori intellettuali e manuali che in un’organizzazione del lavoro molto frammentata e precaria partecipano al processo produttivo.
Al conflitto distruttivo tra stati nazionali per l’egemonia geopolitica, si può opporre solo la solidarietà tra popoli, principio tutt’altro che istintivo come anche quello della solidarietà di specie, e che passa necessariamente per la difficile promozione culturale delle uguaglianze tra diversi a partire dai loro bisogni sociali. La storica invocazione “Pace pane e libertà” lanciata dal movimento operaio internazionale durante le guerre mondiali del secolo scorso, può tornare dunque oggi attuale in un’Europa che dall’Atlantico agli Urali vede cadere sotto le bombe non solo migliaia di vittime, ma i diritti e le rivendicazioni delle masse popolari. Anche per questo se si vuole oggi sperare in una ripresa effettiva del movimento per la pace, la si deve sostenere con una ripresa di relazioni internazionali tra forze sociali e progressiste finalizzata all’emancipazione dalle moderne forme di sottomissione e di sfruttamento del lavoro.