di Marina Boscaino – Dopo una vita trascorsa a scrivere e ad organizzare mobilitazione e alfabetizzazione costituzionale sulla centralità della scuola pubblica in un sistema democratico – sono portavoce nazionale della Lipscuola Per la scuola della Costituzione– ho finalmente deciso, lo scorso inverno, di impegnarmi concretamente (dal momento che mi è stato chiesto di entrare, forse per la mia lunga militanza, nel coordinamento nazionale provvisorio) per la riuscita dell’esperimento Potere al Popolo!: “Un movimento di lavoratrici e lavoratori, di giovani, disoccupati e pensionati, di competenze messe al servizio della comunità, di persone impegnate in associazioni, comitati territoriali, esperienze civiche, di attivisti e militanti, che coinvolga partiti, reti e organizzazioni della sinistra sociale e politica, antiliberista e anticapitalista, comunista, socialista, ambientalista, femminista, laica, pacifista, libertaria, meridionalista che in questi anni sono stati all’opposizione e non si sono arresi”. Sono queste le parole con cui il Manifesto fondativo ne inaugurava la nascita. Il posto per una come me: una senza partito da sempre, che ha fatto della battaglia per una scuola laica, pluralista, inclusiva e democratica un proprio elemento identitario, sia nel senso dell’elaborazione che delle lotte. Voglio dirlo in premessa: in tempi in cui il fatto di non essere stati mai iscritti ad una formazione politica appare una sorta di patente di verginità, anche se il mio percorso è stato differente, rivendico la difesa dei partiti e della loro fondamentale funzione nella vita sociale, politica ed economica del Paese, come previsto dall’art. 49 della Costituzione.
Ma torniamo a un anno fa. Ho aderito con entusiasmo all’invito, credendo in quanto quelle parole affermavano con chiarezza inequivocabile: un soggetto “plurale” (un aggettivo che sin dai primi incontri e comunicati, però, è stato bandito dal lessico di chi gestiva la comunicazione come proprietà privata), che finalmente si ponesse oltre i tantissimi tentativi praticati nell’ultimo decennio; che valorizzasse ciò che si aveva in comune, e su questo facesse perno e leva per costruire – sulla base di principi intransigentemente condivisi quali uniche regole di ingaggio – una sinistra alternativa.
Le cose sono andate in un’altra direzione: una cordata granitica e molto coesa ha tramutato il progetto originario immediatamente dopo che il partito più numericamente consistente in termini di militanti (Il Partito della Rifondazione Comunista) aveva messo a disposizione tutte le proprie forze per raggiungere l’obiettivo del numero di firme che hanno consentito la partecipazione alle elezioni del 4 marzo; costruendo le condizioni che avrebbero costretto formazioni organizzate a dover decidere se stare dentro, rinunciando alla propria identità, o uscire. Un lavoro sapiente, fatto di accelerazioni, conte, aut aut, che ha portato alla situazione attuale. Senza ascoltare ragioni, non comprendendo né rispettando tempi, storie e identità pregresse dei soggetti politici che avevano aderito (che, infatti, uno dopo l’altro, si sono sfilati), dettando un’agenda basata su un decisionismo oltranzista e limitato a pochi, sulla velocità, sulla “governabilità” attraverso le pratiche discutibilmente democratiche di uno statuto che prevede la decisione con il 50+1% con votazione su una piattaforma: fine della partecipazione concreta; fine della condivisione reale; fine di qualsiasi possibile rispetto dei reali equilibri in un soggetto che sancirà il 49% come minoranza. Lo scontro generazionale, infine, una poetica attuale all’inizio del XX secolo, ha spesso caratterizzato le discussioni: merito e metodo evidentemente non condivisibili da tutte/i.
E’ da questo quadro che ha preso le mosse una prima lettera, scritta da Roberto Musacchio e me. Un invito a ragionare e riflettere insieme, fuori da quel luogo (il coordinamento nazionale provvisorio di Pap) dove vanamente avevamo tentato per oltre un mese di evitare lo scontro frontale e l’ennesima, persino patetica, divisione. Nella nostra mente continuava ad essere vivo il senso dell’appello originario e la necessità di pensare un “noi” collettivo, che praticasse in maniera concreta una logica inclusiva che non si inceppasse su un pretestuoso snodo organizzativo, ma provasse ad andare oltre la costruzione di una soggettività le cui regole intrinseche prevedessero la perdita delle singole identità. L’intitolazione nobile di quella prima comunicazione – Compagne e compagni – lungi dal richiamo nostalgico, ma – semmai – affettuoso e solidale, ha il peso di un’evocazione filologica e non liturgica: mangiamolo, finalmente e davvero, questo pane insieme! E rendiamo il fatto che esso sia delle qualità, dei tipi, delle farine e degli impasti più differenti il nostro punto di forza, purché sia pane. Fuor di metafora, ci siamo detti, noi e altre/i compagne/i deluse/i dal fallimento della esperienza in Pap: ribaltiamo il paradigma (evidentemente fallimentare) di costringere lotte e conflitti sotto un’unica bandiera e un soggetto unico. La loro connessione non è rappresentabile in un singolo soggetto, ed è questo l’errore di impostazione che proponiamo di emendare; al contrario, riteniamo che partiti, movimenti, singole istanze e singoli individui debbano essere conosciuti e ri-conosciuti in uno spazio comune, privo di egemonie, in un soggetto plurale costruttore di relazioni e di nessi. Solo mettendo insieme, includendo, assegnando pari dignità alle lotte, alle esperienze e alle elaborazioni – in una pratica di unità di intenti – saremo in grado di chiarire veramente cosa sta facendo il governo gialloverde; cosa significhi una collocazione europea nello schieramento alternativo e antagonista ai vincoli dei trattati – da Maastricht a Lisbona, al Fiscal Compact – e alla dismissione del perseguimento dei diritti fondamentali delle persone.
Ne è nata una seconda lettera, questa volta firmata da tante/i compagne/i, che tante/i hanno sottoscritto. Compagne e Compagni è diventata una realtà: siamo partite/i con la coscienza – forse incomprensibile, a chi abbia esercitato il politicismo ad oltranza, dentro e fuori i partiti – di aver fatto tutto il necessario e il possibile perché il progetto di Potere al Popolo! potesse non naufragare, mantenendosi fedele ai principi enunciati nel manifesto che in tanti avevamo firmato.
Sono tante/i che ci hanno chiesto, in quest’ultimo mese, in che direzione possiamo tentare di muoverci, tutte/i insieme. Anche tra coloro che dentro Pap non sono mai state/i. Le tante Marine Boscaino, prive di appartenenza partitica, che si sono mosse – non rinunciando alla politica dell’impegno e all’impegno della politica – nella direzione che l’appello configurava; ma che – prima ancora – era stata la direzione del No sociale, che tanto peso ha avuto per l’esito positivo del 4 dicembre 2016. E che hanno desiderio di impegno, condivisione, convinzione, organizzazione negoziata e comunemente configurata, senza voler rinunciare al proprio progetto, alla propria identità, ai compagni di strada che magari da anni, – come lei, come loro – stanno portando avanti un’istanza, una lotta, un campo di elaborazione in cui si riconoscono e vogliono continuare ad essere riconosciuti.
Siamo stati confortati, in questa tensione, da quello che è accaduto a Roma il 10 novembre, e che non dobbiamo sprecare; una manifestazione straordinaria, frutto di una confluenza operata nella libertà e nella scelta di stare da una parte e non dall’altra, radicalmente; là dove l’emergenza e la condivisione di alcuni no (no al razzismo, al fascismo, alla discriminazione, alla violenza, allo stato di polizia) e di alcuni sì (sì all’uguaglianza, all’accoglienza, al rispetto dei diritti delle persone, ai diritti imprescindibili garantiti per tutte/i) entrambi fondativi, riescono a rendere saldamente uniti soggetti differenti, ricordando i momenti migliori più lontani e più vicini della capacità di mobilitazione del nostro Paese. Di questo e di altro abbiamo discusso l’11 novembre, nella prima, bella assemblea di Compagne e Compagni.
Nella quale sono emersi chiaramente alcuni indirizzi, che ci impegniamo a tenere a mente, per continuare a mantenere la barra dritta e non incorrere in errori già ripetuti. Non vogliamo partire da un segno meno, ma da un segno più.
– Non stiamo proponendo il soggetto dei delusi, degli scontenti di Pap!; essere insieme oggi non è per noi antitetico a Pap! e al perdurare di quell’esperienza; non stiamo chiedendo di entrare da qualche parte o di uscire da Pap o da altro, ma di mettere insieme tutte/i. Provare a stare insieme è per noi la Cosa giusta, che non pensiamo possa essere pregiudicata dall’essere membro di una assemblea territoriale Pap, né viceversa.
– Non stiamo tantomeno proponendo un soggetto politico che si infili in una logica elettoralistica (elemento peraltro imminente, in molte situazioni italiane e in maggio alle europee)
– Non stiamo proponendo l’ennesimo contenitore, in cui prima o poi chi assumerà l’egemonia possa chiedere o pretendere da tutti gli altri di liquefarsi
– Non stiamo cercando di configurare la lobby sociale per la lista di De Magistris.
– Non stiamo proponendo una stretta organizzativa, ma un ambiente aperto, libero e democratico, che veda nell’essere rete e forum sociale e politico permanente un investimento a lungo termine, anche nella prospettiva di una alfabetizzazione costituzionale e politica che nessun mutualismo può surrogare.
– Non consentiremo, se la nostra iniziativa avrà respiro, che il tema organizzativo prevalga sull’identità come progetto. L’organizzazione non può che essere funzionale al progetto.
Nel corso dell’assemblea si è quindi configurata la necessità:
1) di inaugurare uno spazio che si allarghi per la costruzione di un blocco sociale che vada oltre il passaggio elettorale e che addirittura prescinda da esso;
2) di partire da una piattaforma di principi ineludibili e fondativi del nostro stare insieme. In maniera semplificata, poiché la nostra Costituzione è fondata sull’antifascismo, da una maniera nuova di declinare il concetto di antifascismo stesso, che coincida con la lotta a tutti gli attacchi ai principi costituzionali e escluda qualsiasi compromesso politicista per configurare un luogo di antiliberismo egualitario. E’ un metodo praticabile. Io stessa ne ho avuto esperienza: lo chiamiamo “metodo Lip” proprio per questa peculiarità; ci ha consentito – nonostante le differenze di appartenenza sindacale e politica dei membri della Lip scuola – di fare un passo indietro, facendone tutte/i insieme uno in avanti, riuscendo a costruire un dispositivo di legge – Legge di iniziativa popolare per La Scuola della Costituzione – che è la nostra legge, la nostra proposta di una scuola costituzionalmente determinata.
3) Di contrastare il contesto di mantra linguistici, che perseguitano il passato e ritagliano un nuovo immaginario: velocità e modernità hanno polverizzato lo spazio della riflessione lenta e verticale, analitica e critica, alla quale crediamo si debba ridedicare il nostro tempo e la nostra energia, a meno che non si decida di soccombere acriticamente a diktat dettati da una cultura che non ci appartiene e da una rivalutazione di quelle che debbano essere le condizioni di praticabilità democratica degli spazi di tutte/i. Pensiamo che la costruzione di una sinistra alternativa debba passare necessariamente per la costruzione di un immaginario alternativo, che punti il dito nella piaga del cambiamento antropologico che ha favorito l’abbandono della politica e la celebrazione di un individualismo silente e remissivo. Abbiamo vissuto la tentazione della mimetizzazione, dell’oscuramento di un’identità chiara e esplicita, per tentare di inseguire una medietà che abbiamo in alcuni momenti considerato ipoteticamente premiante. Non è e non può essere così. Nella mimetizzazione non ci si fa riconoscere e non ci si ri-conosce. Dobbiamo dire esplicitamente la nostra identità come appartenenza inequivocabile ad una storia e a dei principi.
L’assemblea dell’11 ha concordato nell’escludere di determinarsi come soggetto politico strutturato o nella prospettiva della presentazione elettorale. Le precipitazioni organizzative ed elettoralistiche costituiscono una forzatura che distrugge il processo di confronto e di aggregazione, invece di alimentarlo.
Ci siamo impegnate/i tutte/i insieme, pertanto, ad operare per uno spazio politico aperto e plurale, senza primogeniture, fondato sul consenso, con l’obiettivo dell’unità dei conflitti, delle pratiche sociali, delle elaborazioni culturali alternative.
Non un soggetto politico, ma un progetto politico, al fine di costruire contaminazioni e percorsi di unità concreta, puntando ad unire ciò che il neoliberismo divide: l’alfabeto di una società inesorabilmente e orgogliodsamente meticcia .
A tal fine le/i partecipanti all’assemblea hanno deciso di
– assumere come prospettiva il tema della costruzione del blocco sociale e non della sua rappresentanza
– Innescare nei territori un processo di riflessione sui progetti e percorsi futuri, dando vita nelle prossime settimane ad assemblee con le/i compagne/i interessate/i a far vivere sul loro territorio questo progetto politico
– Assumere la modalità del Forum sociale come la più efficace e coerente: un forum sociale antiliberista, antifascista, antisessista, antirazzista. Un forum per l’attuazione intransigente dei principi costituzionali o,ggi più che mai largamente inapplicati.
– Dar vita ad un portale come terminale delle pratiche e delle elaborazioni che federino i conflitti, socializzino lotte e riflessioni.
– Coinvolgere le/i compagne/i portatori di saperi sociali, mettere in rete le esperienze di conflitto e solidarietà, costruendo canali di comunicazione, a partire dall’esempio di autorganizzazione migrante di Lodi, dall’intersezionalità del movimento femminista di NUDM, dalle lotte per il lavoro, i diritti sociali e la salvaguardia del territorio.
– Di convocare al più presto una nuova assemblea nazionale per fare il punto sul lavoro svolto e impostare il lavoro da fare.
Care/i compagne/i, abbiamo una strada da fare insieme e una responsabilità importante da assumerci.