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Ancora sul Buttafuori e il fascismo

di Luciano
Beolchi

In merito all’articolo Il buttafuori, recentemente pubblicato su questa stessa rivista1, abbiamo ricevuto qualche commento di lettori che chiedevano di chiarire il rapporto tra la politica del buttafuori e la definizione storica di fascismo cui abbiamo fatto riferimento: “il fascismo è la dittatura terroristica aperta dei settori più reazionari sciovinisti e imperialisti del capitale finanziario”. Nonché di quello che riteniamo indispensabile complemento della definizione di cui sopra: gli strumenti fondamentali di cui si avvale sono il partito unico e il fuehrer-prinzip.
Il fascismo è quanto di più illiberale e antidemocratico (e materialmente e primariamente antisocialista) il pensiero borghese abbia prodotto nella sua storia, rompendo con le stesse tradizioni di pensiero razionale, da Cartesio, Spinoza e Kant. I suoi fermenti costitutivi erano peraltro già presenti in Locke, con il suo Leviathan.
Il fascismo si è formato e ha esordito come fatto storico, non è perciò ascrivibile/riconducibile alla categoria del male assoluto particolarmente cara ai neofascisti o ex fascisti quando gli si chiede di esprimersi su un fenomeno storico cui sono, per tanti aspetti, molto vicini. Con la categoria, anch’essa irrazionale, di male assoluto, si liberano del fastidio dell’analisi storica soprattutto per quegli aspetti di palese continuità e contiguità che legano i fascismi di ieri e di oggi.
Non tutti i regimi totalitari, dispotici o tirannici sono, solo per il fatto di essere tali, regimi fascisti, non lo è il Marocco, non lo è il Rwanda, mentre in Europa lo è, sempre per fare degli esempi, il governo ungherese, mentre il Parlamento Europeo + sulla buona strada, specie dopo le sue Risoluzioni (del 19 settembre 2019 e 23 gennaio 2025) sulla memoria storica: anche se, per la sua stessa impotenza istituzionale, ha difficoltà a spingere l’Europa tutta nel baratro del fascismo. Se usiamo il termine “fascismo” per il governo trumpiano, ad oggi il più scoperto rappresentante di quella forma politica, non è perché Trump è cattivo; e neanche perché lui stesso personalmente non esiterebbe a riconoscersi nella categoria di antiliberale, antidemocratico e antisocialista: soprattutto e più decisamente antisocialista.
Questo forse aiuta a chiarire le cose, ma non è sufficiente. Ricordiamo dunque la definizione di fascismo cui ci siamo rifatti: il fascismo è la dittatura terroristica aperta dei settori più reazionari sciovinisti e imperialisti del capitale finanziario, cui va aggiunto, secondo noi, l’indispensabile postilla che indica nel Fuhrer Prinzip e nel Partito Unico i suoi strumenti più emblematici e decisivi. È persino troppo evidente che Trump e Musk, con i loro comportamenti, con lo stesso uso del proprio corpo, addirittura con le loro smargiassate, nonché con la loro storia personale ed economica, rappresentano persino fisicamente quei settori reazionari, sciovinisti (Make America Great Again!!) e imperialisti del capitale finanziario.
È indubbio che la caccia ai tredici milioni di cosiddetti immigrati irregolari, condotta con mezzi spietati e violenti, le minacce di tipo gangsteristico a questo e a quello che non restano solo minacce, l’esplicita autorizzazione a Israele a fare quel che vuole in Cisgiordania e a Gaza, usando il terrore per raggiungere i suoi scopi di sterminio e pulizia etnica, ci dicono che la dittatura si esercita nella realtà concreta, con metodi terroristici non certo occulti ma palesi, aperti. Da qui la corrispondenza con definizione di cui sopra che parla di dittatura terroristica aperta – e si potrebbe aggiungere – persino sfacciata esercitata da questo fascismo del XXI secolo, trumpiano e sionista.
Certo, non tutti i regimi fascisti del XX secolo corrispondevano in tutti i loro aspetti alla definizione di dittatura terroristica aperta dei settori più reazionari, sciovinisti e imperialisti del capitale finanziario: se non altro perché in alcuni di essi non si può dire che il capitalismo finanziario fosse sviluppato al livello della Germania di allora e degli Stati Uniti di oggi. Al punto che un importante e stimato storico di grande competenza come Pierre Broué mise in dubbio nella sua Histoire de la Révolution et la guerre d’Espagne che il regime franchista potesse essere definito un regime fascista.
Il regime fascista spagnolo di Franco, viceversa, era tale perché, in un contesto storico globalmente dominato dal capitale finanziario, ne difendeva gli interessi, anche se non erano esattamente i propri, in nome di un comune obiettivo che erano la lotta per lo sradicamento del liberalismo, della democrazia e del socialismo.
E lo faceva partendo da un proprio sciovinismo – elemento di una contraddizione immanente e gigantesca con gli altri fascismi –, di un progetto repressivo della società e della speranza peraltro molto aleatoria, specie dopo il Desastre del ’98, di poter riaffermare nel mondo la funzione universale dell’Ispanidad di Josè Antonio Primo de Rivera.
Persino il Portogallo, ancora più piccolo ed economicamente arretrato della Spagna, estraneo e lontano dalle leve di comando del capitale finanziario, intendeva affermare – e affermò nelle colonie che fu l’ultimo ad abbandonare negli anni settanta del secolo scorso – il valore universale dell’impero portoghese che affascinava anche il maggiore scrittore portoghese moderno, Fernando Pessoa.
Dunque, se cercassimo in ogni singolo paese fascista l’esatta corrispondenza in tutti i suoi aspetti alla definizione di cui sopra finiremmo per dire – nel contesto del XX secolo – che solo la Germania di Hitler aveva tutti i titoli per essere definita fascista, perché anche l’Italia e il Giappone si reggevano su un capitalismo debole che – nel caso del Giappone – poteva sfidare gli USA solo con un’azione di sorpresa che produsse esiti insperati. Assorbiti quelli, in una guerra di attrito e di impiego di risorse finanziarie, il Giappone non poteva che arretrare fino alla sconfitta finale.

Nella situazione odierna, i due paesi che si vanno costituendo in regimi fascisti con tutti i crismi sono gli Stati Uniti e Israele che non è affatto il piccolo paese isolato che si difende dai vicini cattivi, ma è per quei vicini piuttosto un branco di lupi che terrorizza le grandi greggi che gli stanno intorno e i pochi male attrezzati pastori loro.
Questo perché entrambi i paesi perseguono i due concetti di Fuhrer Prinzip e di Partito Unico in modo nuovo seppur diverso tra loro.
Negli Stati Uniti il Partito Unico di Trump e di Musk non ha bisogno di veder sfilare legioni di camicie – nere, brune o azzurre che siano –: è sufficiente l’immenso potere organizzativo e di controllo esercitato dalle piattaforme digitali, con i loro miliardi di iscritti, senza peraltro sottovalutare la funzione organizzativa e pedagogica delle chiese evangeliche che dilagano e prosperano negli Stati Uniti e non solo.
Confrontiamo la marcia su Roma e l’assalto al Campidoglio di Washington. A parte la comune sgangherata combinazione della folla in marcia, a Washington l’organizzazione dell’assalto non fu fatta attraverso un partito classico, ma attraverso le piattaforme digitali; ed è sempre attraverso le piattaforme digitali che si afferma il Fuhrer Prinzip, il comando di uno solo che Trump ha preso in mano ridicolizzando la sopravvalutata democrazia americana. Trump però, a differenza di Hitler e Mussolini ai tempi loro, non parla in proprio, in base alla personale idea di fondare un Reich millenario o di dare il via a un’era fascista, ma parla in nome del Manifest Destiny del popolo americano che sopravviverà a lui, ai figli e figlie e ai figli dei figli: tutti, c’è da aspettarsi, politicanti d’assalto.
Negli USA il Manifest Destiny è l’entità ideologica astratta in base alla quale si dettano le regole e le leggi per i suoi abitanti e per il mondo intero.
Qualcosa del genere succede in Israele dove al posto del Manifest Destiny troviamo il sionismo che è insieme Partito Unico e Progetto della nazione, senza trascurare, anche lì, l’importanza della piattaforme digitali, del controllo e dell’organizzazione che esse garantiscono, senza dire delle immense possibilità di ulteriore controllo e organizzazione offerte dall’I.A.  Anche lì potenti e intoccabili organizzazioni religiose svolgono un ruolo decisivo.
Provate a inserire nel motore di ricerca di Google la parola UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’aiuto ai rifugiati palestinesi. Il sistema di ricerca vi rimanda automaticamente a un articolo – e solo a quello – che vi spiega perché l’UNRWA è un’organizzazione politica antisemita collusa col terrorismo.
E provate a chiedere a Wikipedia cos’è Israele. Vi risponderà che è un paese vivace e multietnico, perché formato da ebrei provenienti da tutti i paesi europei, con la loro cultura e tradizione. Che nel territorio israeliano – volenti o nolenti – ci siano ad oggi sette milioni di palestinesi, a fronte dei sette milioni di ebrei, è una notizia evidentemente irrilevante. Che siano lì da migliaia di anni, espressione di una delle più antiche e sviluppate civiltà mondiali, è anch’esso senza importanza: per non dire dei 650.000 ebrei di provenienza dai Paesi Arabi che formarono metà della popolazione ebraica originaria.
Quanto ai legami del fascismo col socialismo cui qualche lettore ha accennato, bisogna intendersi. Per Hitler aggiungere la parola socialismo e lavoratori al nome del suo partito era solo un escamotage verbale perché quando lui scese in campo col suo NSAPD ottenne poche migliaia di voti mentre i due partiti socialisti, quello di sinistra e quello di estrema sinistra di voti ne avevano undici milioni: senza contare quelli del neonato partito comunista. Dunque, solo propaganda: non c’era assolutamente nulla di marxista, né di socialista nel programma nazista del Main Kampf.
Per Mussolini, la questione è diversa. Era stato socialista fino al 1914: un socialista radicale, fragoroso ed estremista. Con la guerra svoltò, si mise con i nazionalisti e soprattutto con i padroni che lo finanziavano. Se chiamò fasci di combattimento la sua organizzazione con riferimento alla formazione socialista dei fasci siciliani di fine ottocento lo fece con la stessa spudoratezza con cui si proclamava repubblicano, anticapitalista, futuro espropriatore di latifondisti e impiccatore di preti: tutte frottole messe in giro per raccogliere voti, che furono pochini perché, anche lui quando si presentò alle elezioni del ’19 a Milano, la sua piazza, prese 4.657 voti.

Luciano Beolchi

  1. https://transform-italia.it/il-buttafuori/.[]
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