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A proposito di PIL mondiale e capitale finanziario (di Ludmilla Prandi)

Ludmilla Prandi ci invia questo contributo che interloquisce con il testo inoltratoci da Dante Goffetti

È raro leggere articoli brevi ma ricchi di spunti e basato su dati inconfutabili come il contributo di Dante Goffetti PIL mondiale e capitale finanziario che avete pubblicato il 18 giugno 2018.

Ma secondo me l’autore non tira le conclusioni pratiche, in particolare politiche, di quello che egli descrive e non mette in luce le implicazioni del fenomeno che pur rileva con precisione. In sostanza Goffetti dice che già nel 2013 i capitalisti vantavano un capitale di circa un milione di miliardi di dollari USA. Nelle mani dei capitalisti, il denaro non è mezzo di scambio o riserva di potere d’acquisto, ma capitale e quindi ognuno dei capitalisti vuole che il suo capitale renda, anche se lui “non si sporca le mani” nella produzione di merci. E infatti di anno in anno la massa del capitale vantato dai capitalisti aumenta. Oramai (da quando nel 1971 Nixon abolì la convertibilità del dollaro in oro) il denaro mondiale è tutto fiduciario, i banchieri centrali creano denaro e il denaro è capitale da valorizzare.

Di fronte a questo sta una produzione annua di merci (beni e servizi) che, nonostante tutte le misure messe in atto per aumentarla moltiplicando i bisogni e riducendo la vita dei beni messi in circolazione, nel 2013 ammontava solo a 75 mila mld di $. Per quanto ogni capitalista produttore di merci sprema i suoi lavoratori (che però sono anche clienti), i capitalisti da qui ricavano una massa di profitti che è solo una frazione dei 75 mila. Infatti in questi sono compresi anche i salari e il capitale costante (mezzi di produzione consumati e materie prime). È quindi evidente che col passare degli anni i capitalisti hanno sempre più difficoltà a valorizzare il loro capitale con i profitti che ricavano dall’economia reale (la produzione di merci). Ma, a parte i “risparmiatori” che ci rimettono le penne (le crisi bancarie e di borsa sono ricorrenti), i capitalisti veri, l’oligarchia finanziaria, ha i mezzi (il denaro, la posizione politica e sociale e l’intraprendenza) per muovere mari e monti perché il suo capitale renda.

Quando nella sezione terza (capitoli 13, 14 e 15) del libro terzo di Il capitale Marx illustrò la crisi per sovrapproduzione assoluta (cioè riguardante tutti i settori dell’economia) in cui il capitale sarebbe incappato, egli indicò anche alcune controtendenze che avrebbero frenato il cammino. Ne enumera ben nove. Tra esse indicò anche l’aumento del capitale azionario (grosso modo una parte di quello che Goffetti chiama “finanza primaria”) ma non mise però lo sviluppo illimitato del capitale finanziario (una buona parte della finanza primaria) e speculativo (principalmente derivati finanziari). Cosa del tutto comprensibile, dato che Marx illustrava un futuro a cui la società borghese sarebbe approdata se la rivoluzione socialista non avesse posto fine ad essa (cosa che Marx era fermamente convinto sarebbe avvenuta a breve). Engels nelle Considerazioni supplementari scritte nel 1895, quindi trent’anni dopo che Marx aveva scritto la sezione sulla sovrapproduzione assoluta di capitale, accenna allo sviluppo del capitale speculativo che già a fine dell’Ottocento aveva assunto un ruolo rilevante, ma di denaro mondiale fiduciario ancora neanche si parlava. Noi però oggi ci troviamo in una situazione in cui il corso delle cose è determinato proprio dalla eccedenza di capitale: una massa enorme e crescente di capitale che deve valorizzarsi senza direttamente “sporcarsi le mani” nella produzione di merci. Per quanto grande sia la massa dei profitti che i capitalisti estorcono nell’economia reale, essa non basta a soddisfare la fame di profitto di tutto il capitale: mentre la grandezza del capitale complessivo non fa che crescere, l’economia reale diventa una proporzione sempre minore di esso. D’altra parte la valorizzazione del proprio capitale è per ogni capitalista la legge suprema, quella che determina il comportamento di tutti i capitalisti e delle loro autorità (chi non sta al gioco, viene scartato: “siamo in guerra!” disse Sergio Marchionne già alcuni anni fa).

Questo processo è alla base di tutto il corso presente delle cose, anche in campo politico, sociale, ambientale, intellettuale e morale. È a fronte di questo processo quindi che vanno valutate tutte e ognuna delle misure correttive che vengono proposte a fronte dei “mali della società”, i programmi dei partiti che di questi correttivi sono composti e i partiti che si fanno promotori di questi programmi. Non è un caso che è diventato prassi corrente presentare un programma di buone e popolari misure prima delle elezioni e poi adeguarsi alle necessità dell’oligarchia finanziaria una volta vinte le elezioni e formato il governo.

Io credo che una redazione autorevole come voi siete, dovrebbe promuovere l’esame di questi problemi.