evidenza, interlocuzioni
la Sinistra europea: come Odissea nelle spazio (foto dal film)

2019: Odissea nello spazio…a sinistra

di Marco
Noris

di Marco Noris

“You cannot struggle without a theory.” Vijay Prashad

 Il 26 maggio del prossimo anno si terranno le elezioni europee. Il momento storico nel quale viviamo è tale per cui queste elezioni assumono un’importanza decisamente più significativa e preoccupante rispetto al passato: qualcuno addirittura prefigura che queste potrebbero essere le ultime elezioni continentali. In questo contesto la Sinistra sta vivendo un periodo di fibrillazione, scomposizione e ricomposizione alla ricerca di un’identità propria che la porti a proporre non tanto e non semplicemente un programma elettorale credibile, bensì una progettualità convincente e di prospettiva in termini alternativi e antisistemici.

Questi percorsi, però, hanno in linea generale un difetto alla loro base, comune a molte realtà della Sinistra continentale: l’analisi e la discussione in merito ai processi evolutivi politici è in gran parte interna alla Sinistra stessa, si potrebbe definire una sorta di processo autocentrato nel quale, erroneamente si individuano e valutano sostanzialmente i fattori interni che potremmo definire endogeni al “sistema” della Sinistra, sottovalutando che in questo percorso di ricostruzione identitaria non solo vanno considerati i fattori esogeni bensì, in questa fase di fibrillazione e cesura storica che coinvolge a vari livelli l’intero Sistema-mondo, di fattori puramente esogeni, in realtà, non ce ne sono. Il risultato è che spesso le limitate energie sono spese nella definizione identitaria dei soggetti più che nell’elaborazione di progetti che sappiano leggere il mondo reale e creare alternativa: tale  dispendio e sproporzione di impiego di energie spesso caratterizza, purtroppo, le Sinistre più deboli del continente.

Vale la pena, quindi, di cercare di spostare l’attenzione verso ciò che accade al di fuori di questi processi anche al fine di dare loro un quadro di riferimento senza il quale, con tutta probabilità, si profila una nuova sconfitta che potrebbe essere, questa volta, molto più pesante di una semplice sconfitta elettorale.

10 anni di crisi.

È difficilmente negabile che con la crisi scoppiata nel 2007/2008 la Sinistra alternativa abbia perso un’occasione storica difficilmente ripetibile: un sistema andato in crisi strutturale è riuscito comunque a sopravvivere imponendo l’austerità come modello di ortodossia economica globale. I dati in questo senso sono impietosi:[1]l’ILO afferma che abbiamo avuto tagli alle pensioni in 105 paesi, alla sanità in 56 paesi, ai salari in 130 paesi, con previsioni di impatto negativo sul PIL in 132 paesi. A fronte di questi tagli abbiamo avuto un forte protagonismo delle banche centrali che a livello globale hanno triplicato i loro bilanci, un debito pubblico globale che è passato da una media del 72% al 106% sul PIL dei paesi, la crescita delle diseguaglianze economiche e il sostanziale fallimento delle varie proteste antisistema a livello globale.

In questo contesto devastato nessuna reale prospettiva sistemica e alternativa di Sinistra si è concretizzata e dobbiamo realizzare, in termini geopolitici, anche il fallimento  dell’esperienza dei BRICS e del processo di emancipazione alternativa del continente latino americano.

Non è assolutamente volontà di questo scritto proporre un’analisi di questo generale fallimento ma se non si parte da questi dati e da questa oggettiva situazione globale, qualsiasi discorso “a sinistra” se non rimane sul piano del fallimento si pone comunque in una prospettiva limitata e  incapace di produrre i cambiamenti strutturali auspicati e necessari. Questi sono però solo alcuni desolanti dati aggregati. Nella realtà che cosa si sta muovendo in termini apparentemente antisistemici?

Crescita della Destra o ritorno del Fascismo?

Nel 1956 Daniel Guérin nella prefazione del suo libro “Fascismo e gran capitale”, così scriveva:[2]

Infatti, senza volere per nulla minimizzare la lotta dei valorosi partigiani che hanno contribuito a schiacciarlo, il fascismo è stato piegato essenzialmente non già dalle forze socialiste e dalla insurrezione popolare, ma da una coalizione di grandi potenze il cui vero obbiettivo era assai meno il “trionfo della democrazia” che non la pretesa di egemonia mondiale. La “pace americana” non ha perciò estirpato le radici del fascismo nella misura in cui sarebbe stato necessario.”

“Non si deve dimenticare che la crisi permanente del sistema capitalistico persiste allo stato latente, nonostante i palliativi dei dollari americani e delle commesse belliche. Nulla ci garantisce da una nuova depressione, che potrebbe ributtare verso l’estrema destra le classi medie pauperizzate e far emergere di nuovo nella borghesia la tendenza ad instaurare governi autoritari.”

Agli occhi di Guérin, il Fascismo, dunque, non è morto nel 1945, o meglio, la sua sconfitta è avvenuta manu militarima non certamente in termini culturali. A ben vedere, anche la liquidazione del Fascismo storico come ferrovecchio del secolo scorso fa parte, oggi, di tutto quel fraintendimento per il quale si pensa superato il novecento senza rendersi conto che siamo di fronte a tematiche, problemi e contraddizioni simili  a quelle che hanno caratterizzato la storia della prima metà del secolo scorso. In termini analitici, quindi, non siamo di fronte al superamento del novecento, bensì alla sua rimozione, e appunto la rimozione – tanto a livello psicanalitico individuale quanto a livello sociale – è estremamente pericolosa.

C’è però un altro dato che caratterizza il ritorno della Destra estrema e che fa propendere per una lettura del ritorno della progettualità fascista, e non solo nel continente europeo.

La crisi occidentale di quello che, estrapolando una definizione di Domenico Losurdo, potremmo chiamare “monopartitismo competitivo”[3]composto, ad esempio in Europa, dall’accoppiata tra i partiti popolari e socialdemocratici ha rivitalizzato l’immagine dell’estrema Destra come principale componente antisistemica di riferimento. Salvo alcune eccezioni specifiche in alcuni stati, l’ondata della Destra attraversa ben due continenti: quello europeo e quello americano nella sua interezza anche alla luce della reconquista in atto da parte della Destra nell’America Latina.

Il problema in questo senso si aggrava, però, in prospettiva anche al di là dei successi elettorali comunque ancora limitati da parte della Destra in molti paesi europei: la Destra sta prendendo sempre più coscienza dell’immenso spazio vuoto nel quale inserirsi, uno spazio ampio di dimensioni continentali. Nello stesso tempo, a fronte di questo spazio sta recuperando la sua progettualità in una dimensione storica, di lungo periodo in un contesto che, a differenza degli anni ’30 del secolo scorso, non risulta avere dei sostanziali nemici in termini ideologici e sistemici. In questo senso, quella che noi definiamo estrema Destra sta recuperando tutto l’apparato culturale e politico del Fascismo sconfitto militarmente nel 1945 e riproponendo, attualizzato, il suo progetto storico di matrice tanto nazionalista quanto imperialista. È in questo senso che dovremmo rompere il tabù che ancora ci condiziona e parlare chiaramente di ritorno del Fascismo, anzi, di ritorno del Fascismo storico non più intendendo con questo aggettivo un riferimento, una parentesi storica ben definita nel passato, bensì un sistema politico e culturale che intende riproporsi per durare nel tempo.

Per poter pensare ad una lunga durata del proprio progetto, però, si ha bisogno di uno spazio altrettanto ampio ed adeguato alla storia che si intende costruire. In questo senso quello che potremmo definire il Fascismo storico ha un’idea ben precisa di questo spazio e, sotto certi aspetti, per quanto riguarda lo specifico del nostro continente, una consapevolezza maggiore della Sinistra della falsa dicotomia stato-nazione vs. Unione Europea. Obiettivo del Fascismo storico non è tanto lo smantellamento dell’Unione Europea quanto la sua conquista e l’utilizzo degli strumenti già istituzionalmente a disposizione.

Per comprendere questa posizione, estremamente pratica, è necessario, però, proporre un’idea di che cosa sia l’Unione Europea che non è affatto scontata e condivisa all’interno del variegato mondo della Sinistra.

Nella realtà, a ben vedere, non esiste un soggetto portatore di interessi a sé stante che si chiami Unione Europea. L’Unione Europea è stata ed è tuttora lo strumento  – e non il soggetto – che per lungo tempo ha garantito un equilibrio tra gli interessi del grande capitale internazionale e quello di alcuni stati-nazione egemoni nel panorama continentale. La tutela degli interessi di singole realtà nazionali e degli interessi del grande capitale globale a partire, ad esempio, dal rafforzamento o mantenimento dei differenziali di trattamento fiscale tra i singoli stati sono, per assurdo, proprio le principali cause del fallimento del progetto di integrazione europea. Fino  alla crisi del 2008, però, quel corpus di trattati concepiti sin dalla seconda metà degli anni ’80 del secolo scorso e attuati da Maastricht in poi, ha in qualche modo assicurato un equilibrio tra gli interessi del grande capitale internazionale e quello dei singoli stati. Dopo il 2008, l’Unione Europea non ha fatto altro che remare contro sé stessa non garantendo più tale equilibrio.  La crescita della destra e il suo obiettivo politico è quello di poter guadagnare credibilità e divenire garante per un nuovo equilibrio nella lotta in corso tra capitali nazionali e globali accreditandosi come miglior gestore del sistema, in grado anche, e soprattutto, di garantire la repressione necessaria nei confronti di tutti coloro che saranno colpiti da un sistema di disuguaglianze sempre più crescente e polarizzato. È appena il caso di accennare che in uno scenario di questo tipo l’attuale dibattito sulle forme della democrazia dovrebbe lasciare la centralità alla questione della sostanza della democrazia e al pericolo della sua fine tout court.

In questo senso il Fascismo storico non ha e non ha mai visto una contrapposizione tra stato-nazione e sistema sovranazionale di stampo imperiale. Lo stato è e rimane un contenitore e connettore di potere, per dirla con Bob Jessop,[4]ma è anche un’unità operativa di un sistema più ampio sovranazionale e come tale viene considerato.

Una nuova crisi all’orizzonte?

Lo scenario di un reale Fascismo all’orizzonte potrebbe apparire fantapolitico e, con tutta probabilità, sembra difficile che, ad esempio, le prossime elezioni europee possano costituire uno spartiacque in tal senso. D’altronde, nonostante i timori, varie recenti elezioni in Europa sembrano dimostrare che la Destra estrema non sia in grado di “sfondare” in quasi nessuna parte del continente ma questo non significa che le cose non possano cambiare anche repentinamente.

Viene sempre più sottolineato l’allarme in merito ad una nuova bolla speculativa pronta a scoppiare da un momento all’altro a livello globale. I dati, in questo senso, sembrano mostrare che la cosa sia tutt’altro che improbabile. Il problema del debito, come sottolineato, è globale, il rischio di default legato soprattutto ai paesi emergenti è concreto, esistono varie bolle speculative che sembrano pronte ad esplodere a Wall Street, che vanno dai titoli tecnologici al solito settore immobiliare, e l’indebitamento delle famiglie è sempre crescente; si stanno riproponendo tutti gli ingredienti della crisi di 10 anni fa così come lo stesso FMI prevede già da alcuni mesi. È l’esempio di un sistema in crisi che non è capace di pensarsi come “altro”, ma è anche il terreno ideale per il ritorno eventuale del Fascismo storico. Una nuova crisi di portata globale, anche se di minor impatto rispetto a quella del 2007/2008, potrebbe avere effetti devastanti su quegli stati che già dieci anni fa hanno salvato il sistema facendo pagare il conto in termini di austerità ai propri popoli. Una nuova crisi troverebbe quegli stessi stati con le casse pressoché vuote e, quindi, con effetti devastanti in termini sociali. Se questo scenario si realizzasse prima del maggio del 2019, allora davvero le prossime elezioni europee potrebbero realizzare la vittoria delle Destre in Europa molto prima del previsto e con un’ampiezza ad oggi inimmaginabile.

Anche questo scenario, nella costruzione di un’alternativa a Sinistra va considerato con attenzione.

Cosa si sta facendo a Sinistra?

Se lasciamo da parte il mondo anglosassone che meriterebbe un’analisi a sé stante e ci limitiamo all’Occidente europeo, la fine del “monopartitismo competitivo” segnerà, con tutta probabilità, la fine del progetto storico delle Socialdemocrazie occidentali così come si sono concepite dal dopo ’89 (per la verità con molte avvisaglie già a partire da alcuni anni prima) e cresciute nel fallimentare progetto della Terza Via a partire dagli anni ’90.

Quello che a noi, però, interessa è capire se e come una Sinistra di alternativa possa riempire un enorme vuoto che la fine della progettualità storica delle socialdemocrazie lascerà.

Anche a costo di generalizzare si possono individuare almeno quattro distinte traiettorie lungo le quali si stanno muovendo le Sinistre in Europa.

Una prima traiettoria è individuabile in quelle Sinistre che ancora cercano una alleanza politica e, al limite, elettorale con le forze socialdemocratiche. In questa fase storica quest’approccio e fallimentare anche perché le Socialdemocrazie europee sono coautrici dell’attuale sistema economico e di potere in Europa, garanti, quindi, di precisi interessi tanto politici quanto economici  – e finanziari in particolare – per cui non è loro data la reale possibilità di operare nella direzione di una vera e propria mutazione genetica della loro politica. Non devono, in questo senso, confondere le alleanze in corso in Spagna e Portogallo, possibili in quanto soddisfano sostanzialmente tre condizioni: la prima è quella che sorgono in paesi dove l’esperienza e la memoria del Fascismo è ancora recente e, di conseguenza, non si sono (ancora) indeboliti gli anticorpi; secondo, la situazione di rapporti di forza interni alle alleanze è molto più equilibrata con una Sinistra che sembra aver fatto proprio la frase di Marx per cui “in politica, per raggiungere un determinato obiettivo, ci si può alleare con il diavolo in persona ma occorre es­sere sicuri di imbrogliare il diavolo e non di lasciarsi im­brogliare da lui”;[5]terzo, il progetto di questi governi è principalmente concentrato sul fronte interno nazionale e molto meno sulla costruzione di un’alternativa sistemica e strutturale generalizzabile al proprio esterno.

Un percorso di recupero delle socialdemocrazie occidentali in senso generalizzato, quindi, avrebbe come probabile sbocco, quello di trascinare nella loro tomba la Sinistra europea.

Una seconda traiettoria è quella della presa in carico delle istanze sovraniste da parte della Sinistra, con particolare attenzione alle istanze nazionali e con più di un’ambiguità nei confronti del fenomeno migratorio. È una Sinistra che spera, in questo modo di recuperare in termini populisti una parte dell’elettorato che attualmente rivolge lo sguardo a Destra. Questa Sinistra non solo non sembra aver capito la falsità della dicotomia Unione Europea – stato-nazione; ma non è in grado di capire lo sviluppo delle dinamiche identitarie che hanno cambiato la fisionomia antropologica del continente europeo negli ultimi tre decenni: è stata proprio la destrutturazione dell’identità di classe che ha consentito la ristrutturazione e l’egemonia delle identità di status basate sull’etnia, sulla nazione e, nel caso servisse, anche sulla religione. Questa traiettoria non solo è perdente ma, in questo contesto, rischia di distruggere definitivamente, se ancora fosse possibile, i legami di classe necessari in termini transnazionali e interetnici per avere una qualche speranza di alternativa.

Questa Sinistra è il miglior favore che si possa fare per l’avanzata della Destra in Europa. È appena il caso di sottolineare che molti, anche se non tutti, dei politici di Sinistra che hanno operato questa scelta hanno una matrice d’origine socialdemocratica e non comunista, provengono da quelle stesse forze politiche che hanno dato il la al disastro neoliberista in Europa e che non hanno ancora capito che le forme “codiste” storicamente sono un favore nei confronti dell’avversario.

Esiste poi una terza traiettoria che riguarda quella Sinistra sociale diffusa sul territorio, attiva, realmente vicino alle esigenze delle persone che spesso recupera quelle pratiche mutualistiche che storicamente sono state anche messe da parte nel corso del secolo scorso ma che, sotto divere forme e con intervalli abbastanza regolari a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, hanno ripreso forza e significato. Si tratta di una Sinistra profondamente immersa nella prassi più che nella teoria ma che gioca un ruolo importante in termini di ricostruzione di legami sociali e di ricostruzione di identità di classe. Sotto certi aspetti si tratta di una Sinistra culturalmente opposta a quella precedentemente citata, forse quella che più di altre ha saputo leggere l’importanza della ricostruzione identitaria  a partire dal basso. In questo contesto generale, però, questa Sinistra rischia di essere tanto indispensabile quanto totalmente insufficiente ai fini della realizzazione di un cambiamento sistemico. La polarizzazione non solo economica ma anche delle forme del potere e del controllo sociale è oggi tale per cui le esperienze che nascono dal basso si sviluppano, ormai da decenni, a macchia di leopardo senza essere in grado di portare un reale cambiamento generalizzato. Nella stragrande maggioranza dei casi si potrebbe affermare che nascono dal basso ma, purtroppo, nel basso rimangono.

Infine vi è una quarta traiettoria da segnalare. È quella di una Sinistra che è maggiormente consapevole della dimensione della partita che si sta giocando, che intuisce che la dimensione del conflitto è almeno continentale, che non disdegna la battaglia sul terreno dello stato-nazione ma che capisce che se si rimane solo su quel campo si possono vincere alcune battaglie ma si può stare sicuri di perdere la guerra. Una sinistra che non punta, come l’attuale Destra fascista, alla conquista delle istituzioni continentali ma, si potrebbe dire, alla liberazione del continente stesso.

Questa Sinistra è l’unica che possiamo porre, in un piano teorico, come il potenziale avversario alla deriva fascista e come potenziale progetto di cambiamento sistemico. È una Sinistra che non si contraddistingue solo in termini di maggiore o minore radicalità rispetto alle altre ma, soprattutto in termini approccio dimensionale del problema. In questa impostazione teorica, possiamo riconoscere tanti soggetti e sensibilità che attraversano molti partiti nazionali, il gruppo europarlamentare del GUE/NGL, il Partito della Sinistra Europea fino a Sinistra Anticapitalista. Il problema di base, però, è che a questa sensibilità teorica non corrisponde una prassi di ricerca di quel denominatore comune  che consentirebbe l’elaborazione progettuale globale e condivisa dalla quale declinare poi i programmi e le azioni tanto a livello nazionale quanto, in termini capillari, locale. Persino un soggetto come il Partito della Sinistra Europea non è stato in grado in 14 anni di vita di realizzare qualcosa che sostanzialmente lo differenziasse da una sommatoria di soggetti diversi.

In linea generale, quindi, di fronte ad una Destra che affonda pienamente le sue radici nel Fascismo storico e che alla colonizzazione dell’immaginario nazionalista sta sommando un immaginario di alternativa continentale, che potrebbe avere successo già nei prossimi mesi, la Sinistra si presenta all’appuntamento con la Storia abbondantemente impreparata e inadeguata.

Forse non è troppo tardi per abbandonare o, perlomeno mettere in secondo piano, i processi a Sinistra di “sviluppo autocentrato” delle proprie singole realtà, ben consapevoli che in un futuro nessuna nicchia felice potrebbe proteggerci dal disastro; forse varrebbe la pena di pensare che il rischio che corriamo non sia semplicemente quello della sconfitta elettorale e neppure quello della sconfitta in termini di egemonia culturale, bensì quello dell’estinzione storica di un’intera cultura politica per generazioni e la conseguente eliminazione della democrazia sostanziale dalle forme di gestione del potere anche in Occidente. Forse varrebbe la pena di pensare a tutto questo e convogliare le nostre energie verso la soluzione di questi problemi, anziché dissiparle in questioni che importano a pochi e che riguardano poche “conventicole”. Insomma, varrebbe la pena di capire come trovare un futuro per tutti noi.

 

[1]Matteo Bortolon – Accordi free market: omologazione antidemocratica – Attac Italia – Il Granello di sabbia 11 ottobre 2018

[2]Daniel Guérin  – Fascismo e gran capitale – Massari editore, Viterbo 1994

[3]Domenico Losurdo – La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci editore, Roma 2014

[4]Bob Jessop, Globalizzazione. Dinamiche spazio temporali del capitale in M. Tomba e G. Vertova (a cura di), Spazi e tempi del capitale  

[5]Karl Marx, Kossuth, Mazzini und Luigi Napoleone, New York Daily Tri­bune, 1852