Il 24 ottobre l’elettorato irlandese è stato chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, dato che quello in carica, il laburista Michael D. Higgins non poteva ripresentarsi avendo già svolto due mandati. Il numero dei candidati è risultato decisamente ridotto rispetto a quelli del 2018 quando furono in cinque a competere per scalzare Higgins che aspirava ad un secondo mandato. Senza successo per altro, data la popolarità di cui godeva il Presidente uscente.
In questa occasione i candidati erano tre. Heather Humphreys, ex ministra dello sviluppo rurale e della protezione sociale per conto del Fine Gael, uno dei due partiti di centro-destra che compongono l’attuale coalizione di governo. Il Fianna Fail, partito che dirige la coalizione con il primo ministro Michael Martin, ha presentato Jim Gavin, il quale ha rinunciato alla campagna elettorale a causa delle rivelazioni sul suo conto pubblicate dall’Irish Independent.
Il quotidiano riferiva il 4 ottobre che Gavin aveva omesso di registrare l’affitto di un suo immobile presso la Commissione delle locazioni e di non aver mai rimborsato 3.300 euro di troppo ricevute da uno dei suoi locatari. Colpe che possono sembrare minori ma in un paese in cui il problema delle case e degli affitti è diventato drammatico non potevano essere facilmente perdonate dagli elettori. Essendo la candidatura già registrata il suo nome è rimasto sulla scheda elettorale e una parte dei sostenitori del Fianna Fail ha mantenuto la sua preferenza per un candidato rimasto solo come bandiera.
La terza candidatura è nata dalla decisione di presentarsi da parte di Catherine Connolly, parlamentare in carica, eletta come indipendente che aveva militato nel Partito laburista fino a una ventina di anni fa. Con il ritiro di Jim Gavin la partita diventava bipolare e si aveva quanto meno la certezza che alla carica di Presidente sarebbe arrivata una donna.
Il ruolo di Presidente della Repubblica è largamente cerimoniale, un Re (o Regina) senza scettro come lo ha definito il commentatore politico Fintan O’Toole. Può inviare un progetto di legge alla Corte suprema qualora lo ritenga in contrasto con la Costituzione e rifiutarsi di sciogliere anticipatamente il Parlamento. Se un primo ministro perde la maggioranza parlamentare è obbligato a dimettersi ma può chiedere al Presidente della Repubblica di rimettersi alla decisione degli elettori e quest’ultimo più rifiutarsi.
La candidatura alle elezioni presidenziali prevede il sostegno di almeno 20 parlamentari o di 4 dei 34 consigli di contea nei quali è suddiviso il paese. Una soglia che non presenta problemi per i partiti maggiori ma che non è garantita per gli indipendenti. Catherine Connolly ha potuto presentarsi grazie alle firme di 32 deputati; 12 del Partito Laburista di Ivana Bacik, 12 dei socialdemocratici di Holly Cairns, 2 di People Before Profit e 1 di Solidarietà, più alcuni indipendenti.
Uno schieramento interessante perché ha visto confluire un partito laburista, tradizionalmente moderato, con le due formazione (PBP e Solidarity) espressione di due formazioni trotskiste tra loro rivali. Il principale partito di sinistra, il Sinn Fein, ha deciso solo in un secondo momento di non presentare una propria candidatura come aveva fatto nel 2018 e di sostenere Catherine Connolly. “Lei non è rappresentante né del Fianna Fail né del Fine Gael e penso che questo conti per gli elettori” ha dichiarato Mary Lou McDonald, leader del partito repubblicano di sinistra.
Con il ritiro di Gavin, si è creata una contrapposizione bipolare con una candidata espressione delle forze governative e dell’establishment e dall’altra una voce critica attorno alla quale si è coagulato un campo molto largo di opposizione, dalla sinistra moderata alla estrema sinistra. Connolly ha ottenuto l’appoggio anche dei Verdi, dei comunisti (poco influenti al di fuori di alcuni settori sindacali) e di altre forze minori.
Il sistema politico irlandese è sempre stato anomalo, rispetto alla tipica divisione destra-sinistra che ha caratterizzato i paesi dell’Europa continentale e della vicina Gran Bretagna. Il partito dominante è stato per molto tempo il Fianna Fail, sorto da una scissione del Sinn Fein originario, quando Eamonn De Valera, contravvenendo all’orientamento del partito nazionalista, decise che occorreva partecipare alle istituzioni sorte dal Trattato sottoscritto con il Regno Unito da coloro che poi diedero vita al Fine Gael. Benché le differenze tra Fianna Fail e Fine Gael sul piano socio-economico non siano mai state veramente rilevanti, l’inimicizia tra i due partiti aveva origine nella guerra civile seguita alla nascita del Free State.
L’alternanza politica è sempre stata imperniata sulla contrapposizione tra Fine Gael e Fianna Fail con un ruolo eventuale di partner minore per il partito laburista, anche più moderato di quello britannico, decisamente anticomunista e influenzato per molto tempo dal conservatorismo tradizionale della Chiesa cattolica. Solo con l’emergere del Sinn Fein è iniziata una relativa polarizzazione tra destra e sinistra anche se è rimasta l’ostilità tra le formazioni di sinistra non nazionaliste e il partito che si ricollega alla lunga storia del nazionalismo che ha animato la lotta per la riunificazione dell’Irlanda, attraverso l’azione armata e spesso terroristica dell’IRA.
Dopo le ultime elezioni politiche, i due partiti a lungo tempo dominanti ma il cui consenso si aggira ormai solo attorno al 20% ciascuno, hanno deciso di unirsi al governo non essendo in grado, nessuno dei due, di formare una propria coalizione maggioritaria con il supporto di partiti minori. Le ultime esperienze di governo compiute da laburisti e verdi in collaborazione con Fine Gael o Fianna Fail dopo la crisi del 2008-2011, hanno avuto conseguenze elettorali catastrofiche per entrambi i partiti.
Nel 2014, il Sinn Fein, si è collocato come terzo partito con il 19,0% dei voti, mentre le altre formazioni che hanno sostenuto Connolly, hanno ricevuto rispettivamente il 4,8% (socialdemocratici), 4,7% (laburisti), 3,0% (Verdi) e 2,8 (PBP-Solidarity, trotskisti). Con un circa un terzo dei voti non esistevano le condizioni per un’alternativa di governo che fosse orientata a sinistra.
Per questo assume una particolare importanza la candidatura e il successo di Catherine Connolly, la quale ha fatto campagna per Gaza, la neutralità irlandese, l’anti-imperialismo, il problema delle abitazioni, l’equità, l’inclusione, la riunificazione dell’Irlanda e la difesa della lingua gaelica (che lei ha studiato dopo i 40 anni per scelta politica).
Contro di lei, appena si è iniziato a vedere dai sondaggi e dalla partecipazione popolare alla sua campagna che diventava una candidata potenzialmente eleggibile, è iniziata un’offensiva dell’establishment per alcune delle sue posizioni e anche per le sue attività svolte in qualità di avvocata. È stata accusata di non aver condannato l’invasione russa dell’Ucraina, mentre in realtà aveva espresso questa posizione ma aveva anche precisato che non si poteva tacere sui comportamenti imperialisti degli Stati Uniti e dei paesi occidentali. Polemiche sono state sollevate sulla dichiarazione che il riarmamento della Germania “presenta qualche similitudine con gli anni ‘30” o sul fatto che Hamas faccia “parte integrante del tessuto sociale del popolo palestinese”.
Tutti polveroni che non hanno affatto intaccato la sua popolarità, al contrario, dato che in Irlanda la solidarietà con il popolo palestinese è diffusissima e molto radicata. Anche il Presidente uscente Michael Higgins ha preso posizioni molto nette contro i crimini israeliani e l’Irlanda ha riconosciuto la Stato palestinese. Tel Aviv, alla fine del 2024, aveva annunciato la decisione di chiudere l’ambasciata a Dublino, per protesta contro le “posizioni estreme” assunte dal governo irlandese ed è arrivato a definire il Presidente della Repubblica, molto rispettato e popolare tra gli irlandesi, come un “bugiardo antisemita”.
Catherine Connolly ha criticato la politica di riarmo messa in atto dall’Unione Europea e ha difeso la tradizionale neutralità irlandese, che si colloca all’origine stessa della Repubblica, ma che negli ultimi anni tende ad essere rimessa in discussione dalla destra.
Una componente centrale della neutralità è il cosiddetto “Triple Lock” (tripla serratura) secondo il quale ogni impegno di forze armate irlandesi al di fuori dei confini deve essere approvato dal governo, dal parlamento e avere un mandato chiaro delle Nazioni Unite. Il governo di destra ha cercato di indebolire questo meccanismo di garanzia, il che permetterebbe di impiegare truppe non per garantire la pace all’interno di una decisione delle Nazioni Unite, ma di contribuire ad azioni di guerra all’interno di alleanze militari.
Il Sinn Fein, come le altre formazioni di sinistra, si è decisamente schierato per la difesa della neutralità e per mantenere il “Triple Lock”. Intervenendo ad una manifestazione pubblica della Irish Neutrality League , Teachta McDonald, dirigente del partito, ha dichiarato: “siamo qui per inviare a Fianna Fail e Fine Gael un messaggio, non ce ne staremo tranquilli mentre voi cercate vergognosamente di smantellare il Triple Lock e demolire la neutralità”. La neutralità è “incorporata nella nostra storia, nella nostra lotta contro la colonizzazione e l’oppressione”, ed è ciò che ha consentito all’Irlanda una “forte, rispettata e onorevole reputazione nel mondo in difesa della pace”. Il Sinn Fein rivendica che, se la si vuole demolire, occorre indire un referendum per vedere come la pensa il popolo irlandese. Certamente il successo di Catherine Connolly conferma il diffuso e radicato sentimento popolare in favore del mantenimento della neutralità.
La candidata di sinistra ha ottenuto 914.143 voti, pari al 63,36%. Benché la partecipazione si sia fermata al 45,83%, quasi 15 punti in meno delle ultime elezioni politiche, ma in linea con le presidenziali precedenti, Connolly ha ottenuto circa 200.000 voti in più di quelli ricevuti l’anno scorso dai partiti che l’hanno sostenuta. Poco meno di quelli raccolti, sommandoli, da Fianna Fail e Fine Gael.
Il voto non resterà senza conseguenze politiche. La polarizzazione governo-opposizione ha trasformato il voto anche in un giudizio sulle politiche sociali della coalizione e ha dato espressione al malcontento esistente sul tema delle abitazioni (sono in continua crescita i “senza casa”) e su politiche che, se hanno arginato la crisi economica causata dall’austerità, alimentano le diseguaglianze sociali. È soprattutto la leadership di Michael Martin nel Fianna Fail ad essere diventata traballante.
La riflessione sul futuro è aperta anche a sinistra. Il Sinn Fein, che nelle elezioni dello scorso anno aveva subito una battuta di arresto nella sua continua ascesa, ha ripreso forza e ora deve provare a tradurre in proposta politica il risultato delle presidenziali. La scelta di sostenere una candidatura indipendente e di non presentare un candidato proprio, come aveva fatto nel 2018, si è rivelata corretta e vincente.
A riflettere sulla prospettiva c’è anche Paul Murphy in un articolo pubblicato sul sito della rivista ecosocialista “Rupture” e ripreso dalla coalizione di cui fa parte “People Before Profit”. Murphy, ex europarlamentare, nelle ultime elezioni generali è stato eletto al Dail Eireann, la Camera dei Rappresentanti irlandese, è collocato nel movimento trotskista, ma su posizioni non dogmatiche. Nella complicata e sempre mutevole geografia dei seguaci delle diverse versioni della Quarta Internazionale, Murphy proviene dalla tradizione Militant, di cui è stato fondatore e leader fino alla scomparsa Ted Grant. Questo settore del trotskismo si è andato frammentando in quattro o cinque organizzazioni internazionali e ha quasi ovunque abbandonato l’entrismo che lo aveva caratterizzato per qualche decennio.
Murphy ha rotto con il Partito Socialista, da cui proviene, e che anima Solidarity, per formare un piccolo gruppo che si chiama Rise e opera all’interno della coalizione formata dall’altra fazione trotskista il Socialist Workers Party e che si chiama People Before Profit.
Nella sua analisi, oltre a sottolineare gli elementi positivi e la dinamica unitaria che ha caratterizzato la campagna elettorale di Catherine Connolly, di cui è stato uno degli animatori ha segnalato con qualche preoccupazioni l’incidenza inusuale dei voti annullati. Questi sono stati il prodotto di una campagna della destra ultra-conservatrice cattolica che non ha potuto presentare un proprio candidato, insieme alla mobilitazione dell’estrema destra anti-migranti. Il 12% di voti nulli sono il segnale che questi settori politici sono in grado di influenzare una parte della classe lavoratrice. Ma la presenza militante in campagna elettorale ha dimostrato che è possibile combattere questa influenza.
Murphy rivendica la decisione di People Before Profit di avere partecipato a questa campagna elettorale superando, grazie ad un atteggiamento costruttivo e non settario, lo scetticismo di molti attivisti indipendenti verso una formazione che proviene dall’estrema sinistra, di cui sono note (anche in Italia, aggiungo) le tendenze settarie. L’obbiettivo che Murphy si pone è di costruire un “partito pluralista ed ecosocialista di massa”, anche se lo spazio politico a sinistra sembra già largamente occupato dal Sinn Fein.
Murphy valuta molto positivamente l’impegno dei Socialdemocratici che per primi si sono impegnati nella campagna e questo ha favorito una dinamica che ha coinvolto laburisti e Verdi nonostante l’opposizione di personalità della destra interna di questi partiti.
Per quanto riguarda il Sinn Fein è entrato nella mobilitazione a sostegno di Connolly relativamente tardi, dopo aver valutato la possibilità di presentare una propria candidatura, ma lo ha fatto con molto impegno e costruttivamente, cogliendo l’occasione anche per rilanciare Mary Lou Mc Donald come futura potenziale Taoiseach (prima ministra). È stato questo, secondo Murphy, il primo serio tentativo di concretizzare la strategia del “blocco repubblicano, progressista, di sinistra che rispetti l’autonomia dei partiti politici che ne facciano parte” avanzata dopo le elezioni politiche dal presidente del Sinn Fein, Declan Kearney.
La nuova Presidente non godrà di poteri significativi, ma con i suoi interventi potrà orientare il dibattito pubblico e rappresentare una “spina nel fianco” dell’establishment. Occorre però sviluppare la dinamica unitaria che si è creata e che ripropone la questione di un governo delle sinistre. Sarebbe sbagliato concentrarsi solo sulla scadenza elettorale, “ma le lotte difensive da sole sono insufficienti. Dobbiamo rendere visibile la possibilità di un governo di sinistra per la prima volta nella storia dello stato”. Per questo People Before Profit propone a tutte le forze di sinistra di tenere, nel 2026, una conferenza che lavori per presentare una chiara scelta alle prossime elezioni generali, tra Fianna Fail e Fine Gael e un governo delle sinistre. “Noi – scrive Paul Murphy – vogliamo un governo di sinistra, anche su un programma molto più debole di quello ecosocialista che noi auspichiamo. (…) Siamo aperti a partecipare alla dinamica verso un governo di sinistra, incluso l’impegno a votare affinché si possa formare questo governo, nonostante le molto probabili limitazione che avrà il suo programma”. Certamente la situazione politica irlandese, con l’elezione di Catherine Connolly, apre una possibilità di andare in controtendenza con l’ascesa della destra autoritaria che si riscontra in molti paesi europei.
Franco Ferrari
