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Trieste e il porto

di Marino
Calcinari

Sappiamo che Trieste è IL porto per antonomasia rappresentando non solo un fondamentale valore economico ma, di più la base storica di produzione ed attività marittima e mercantile su cui la città, a partire dall’ ottocento ha potuto far leva per primeggiare tra gli altri porti europei. Non tra quelli italiani, perché dal 1382 Trieste era parte di un impero plurinazionale. L’ industria navale, motoristica e navalmeccanica che si svilupparono e la varie attività ad esse collegate (le vernici per le navi della ditta Veneziani, la fabbrica di sartiame e corderia Angeli, etc) avevano il sostegno dello Stato e dopo che Venezia fu annessa all’ Italia nel 1866, Trieste (e a Pola) si consolidarono come i soli porti dell’Impero Austroungarico, il rimo come porto mercantile, il secondo come porto militare. Fino al 1918. Dopo quella data Trieste diventava uno dei tanti porti “italiani”, da cui molti si imbarcavano per andare altrove. Dopo la seconda guerra mondiale, perdurando l’amministrazione alleata angloamericana e l’esodo dall’Istria (entrata a far parte della Jugoslavia) oltre 25mila triestini si imbarcarono per raggiungere l’Australia.
Da allora il futuro della città ha sempre dipeso dall’ importanza dello sviluppo legate all’ attività motoristica e navalmeccanica, venendo a mancare questo presupposto oggi assistiamo all’ inverno demografico, alla fuga dei giovani, all’overtourism.
Ma c’è chi non si rassegna e continua da andare in direzione ostinata e contraria, nella convinzione che servano politiche di rigenerazione, riuso, riappropriazione collettiva degli spazi urbani, e che ci debba essere una programmazione seria, di progetti ed interventi seri di salvaguardia e valorizzazione del territorio, a partire da una politica industriale nuova e green e che l’ area portuale possa fare da apripista in quel vasto territorio urbano che comprende i moli 0-4 ed i relativi manufatti e magazzini mettendoli o al riparo da politiche speculative o di bassa. .lega.. Ma procediamo con ordine e ricordiamo la storia. Poi vedremo di ragionare sullo stato di cose presenti e fare qualche proposta pro futuro.

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Il Porto Nuovo di Trieste – che oggi chiamiamo “Vecchio”-fu realizzato dall’ amministrazione austriaca dal 1863 al 1868 e copre un’area di circa 617.000 mq. estendendosi dallo sbocco del Canale di Ponterosso all’abitato periferico di Barcola.
L’area comprendeva 5 moli (0; I; II; III e IV), 3.100 metri di banchine, 23 grandi edifici tra hangar, magazzini ed altre strutture, protetta da una diga foranea.

Ma ne aveva parlato già Marx in un articolo del 1857 -e lui sapeva guardare lontano -che la ferrovia sarebbe stata indispensabile per rafforzare le occasioni di sviluppo e crescita della città emporio ed a ciò provvidero due uomini di indubbio valore e capacità.
Il primo fu l’ingegnere – di origini albanesi-Carlo Ghega, il secondo fu Paulin Talabot che venne incaricato dalla Società ferroviaria Südbahn di realizzare un progetto più compiuto in tal senso.

Se Carlo Ritter von Ghega aveva costruito la rete ferroviaria austriaca, Talabot vi contribuì fortemente, come imprenditore ed azionista e la stazione di Trieste fu inaugurata alla presenza dell’imperatore Francesco Giuseppe nel 1878.
Nel frattempo la tratta terminale della ferrovia era stata ampliata e modificata con l’abbassamento al livello del mare del suo percorso e che “La storia di Trieste sarebbe stata nel suo porto” è una affermazione che troviamo ne “il mio Carso” di Scipio Slataper.
E’ vero infatti che la nuova stazione ferroviaria mutò grandemente il panorama della zona, furono avviate grandi opere edilizie tra cui la mastodontica “ casa del Ferroviere “ demolita cent’ anni dopo per fare posto ad un Palazzo della Regione” (sic) poi mai costruito, ma tutta la zona adiacente venne modificata da interramenti e demolizioni.

La Ferrovia che prima si fermava nell’ attuale via Udine era stata fatta “scendere” a livello del mare e per la realizzazione del nuovo fabbricato si rese necessaria la demolizione, nel 1869 del vecchio Lazzaretto di Maria Teresa, poi nel 1873 partirono i lavori per l’ampliamento della stazione, la cui inaugurazione si svolse il 19 giugno 1878 alla presenza dell’ Imperatore Francesco Giuseppe. Ed oggi un largo viale alberato dalla Stazione Centrale porta a Barcola e poi a Miramare

 

Vi fu un giornalista svizzero Jakob Christoph Heer che visitò e rimase impressionato dalla vivacità, dai rumori e dall fervere dell’attività, umana e meccanica a ridosso della stazione e del Porto Nuovo e qui scrisse le tante situazioni cui partecipò nelle pagine del suo libro,” Vacanze sull’Adriatico “, che fu pubblicato nel 1888. Egli descrisse la pletora di navigli galleggianti sulle acque scure, le golette i trabaccoli i bragozzi, le tartane e scialuppe, i canotti le barchette a vela per la piccola pesca ma rimase soprattutto colpito dal gigantismo dei piroscafi che mettendo in pressione le caldaie facevano salire in cielo dai camini pennacchi di fumo nero …

 

E veniamo ai giorni nostri

 

Non esageriamo se sosteniamo che la situazione del porto oggi sia più complicata di allora se evidenziamo che, per le sue diverse qualità, caratteristiche e tipologie di utilizzo per i diversi problemi che ne derivano – tra cui molto dibattuto oggi il tema del riuso o rigenerazione degli spazi in evidenza collegati ai Magazzini-è difficile impostare un progetto complessivo per piu’ motivi che qui brevemente elenchiamo:

Il Porto di Trieste è un porto naturale con fondali dai 9 ai 18 metri, l’area comprende 5 moli (0; I; II; III e IV), per 3.100 metri di banchine, 23 grandi edifici tra hangar, magazzini ed altre strutture ed è protetto da una diga foranea. Si apre direttamente sul mare ed è un porto marittimo con piu’ vocazioni; certamente questo spazio va preservato respingendo ipotesi di “attrattore turistico-culturale” quindi di turistificazione e sottrazione all’ utilizzo collettivo dei cittadini, non serve “spostare” uffici regionali, peraltro nelle aree in concessione a Greensisam su cui c’era (o c’è ancora?) un contenzioso tra Comune e concessionario in relazione alle opere di di urbanizzazione ; senza contare che servono preliminarmente o dovrebbero avere la precedenza, interventi come quello recente – nel 2019-al Magazzino 27b. (Determinante è stato l’ intervento di Italia Nostra che ha patrocinato il recupero del manufatto )…

Infine nel febbraio 2023 si chiudeva il contenzioso tra Comune di Trieste e interesse privato (Maneschi) che rinunciava a mettere le mani sugli hangar 1/A, 2, 2/A, 3 e 4 .
Ma ora c’è il progetto COSTIM che coinvolge 66 ettari del Porto Vecchio e che riguarda, 25 magazzini. Per cui sono in ballo 600 milioni di Euro.
E per cui casualmente c’è un empasse sulla nomina dell’ Autorità portuale. Complottismo? Dietrologie? Che dire ?

Comunque è successo che l’ AdSPMAO ( acronimo per Autorità di sistema Portuale Mare Adriatico ) il 25 luglio scorso ha ricevuto un avviso di garanzia e per tal motivo ha rinunciato al voto in Commissione Trasporti della Camera per la ratifica dell’incarico contestualmente rassegnando le dimissioni dalla guida dell’Ente portuale ( che comprende anche Monfalcone).
Così Salvini, nella qualità di Ministro dei Trasporti ha nominato in sua vece Donato Liguori, un funzionario del MITI come Commissario straordinario con incarico fino al 30 settembre dopo il breve periodo di gestione svolta da Vittorio Torbianelli già segretario generale dell’Authority da aprile 2021 .
Dopo “le mani sulla città” ecco quindi una riedizione aggiornata e peggiorativa del “Fronte del Porto “, noto romanzo di Budd Schulberg che evocava le malefatte di un sindacato corrotto e che oggi si traduce in una questione affaristica e di occupazione del potere in settori importanti della nostra economia.
Ora è vero che il Ministero si occupa della programmazione, del finanziamento e dello sviluppo della portualità, che svolge attività di vigilanza e controllo sulle Autorità portuali per quanto riguarda la messa in opera dei programmi infrastrutturali, che si potrà contare sule risorse del PNRR, e però chi scrive non ha sufficienti elementi di conoscenza né le competenze, per giudicare dell’ operato e della bontà delle scelte sin qui operate dal ministro Salvini e all’entourage dedicato alla vicenda, ma i soggetti politici, gli attori sociali e sindacali che operano potrebbero dire la loro con cognizione di causa, il futuro di Trieste sta qui, sul mare e si poggia sulle attività che ad esso fanno riferimento.

 

Concludiamo dicendo, che Trieste è il primo porto italiano per carico di container, per il flusso di merci, per estensione e traffico totale ed anche per movimentazione di auto e passeggeri (overtourism) gli altri seguono (Genova, Livorno, Cagliari, Gioia Tauro etc).
Alcune cifre sono indicative dell’ importanza dello scalo triestino : il porto di Trieste infatti ha superato l’ obiettivo UE del 50% della merce trasportata su ferrovia, Alpe Adria ha formato 2/3 dei treni che partono e arrivano movimentando 650mila teu e operando 6mila treni.

Lo scenario su cui calibrare proposte non puo’ esimere da queste premesse e va perciò riconsiderato, criticamente, l’impatto che si genera con l’ overtourism o il crocierismo di massa che sarà gradito a chi gestisce il “salotto buono delle città, ma che va a detrimento di altre migliori attività che potrebbero portare vantaggi a tutta la città – una città nata oltretutto con le migrazioni -a cominciare dal lavoro e da progetti fondati sullo sviluppo del’ area che vogliamo considerare, nella consapevolezza che Trieste è una città porto il cui futuro serve allo sviluppo della città e del paese . Sulle cause che hanno determinato l’uscita di scena di Guerrieri non ci pronunciamo.

Marino Calcinari

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