esempi concreti a Ravenna, Genova, e Trieste. Si può dire no dal basso alla guerra
In Italia, alcuni amministratori locali e numerosi lavoratori portuali scelgono di schierarsi attivamente contro la guerra e il commercio delle armi, rivendicando il ruolo costituzionale dei sindaci come garanti della salute pubblica e della sicurezza. La loro responsabilità non si limita alla gestione ordinaria dei territori, ma può estendersi a iniziative concrete per bloccare la produzione e il transito di strumenti di morte destinati a conflitti internazionali.
Esempi concreti dimostrano che è possibile agire: il sindaco di Ravenna, il CLAP di Genova, la mobilitazione di Trieste e l’opposizione alla fabbrica di bombe RWM a Domusnovas, in Sardegna, anche se qui i risultati sono meno concreti, mostrano strade diverse per tutelare la pace e la sicurezza.
Ravenna: il sindaco che dice no alle armi
Il caso di Ravenna è emblematico. Il sindaco Alessandro Barattoni ha dimostrato come un’amministrazione locale possa assumersi fino in fondo la responsabilità del proprio ruolo. Grazie alla segnalazione di lavoratori portuali, sono stati individuati due container carichi di esplosivi destinati ad Haifa, in Israele. Barattoni non ha esitato: ha chiesto e ottenuto il blocco immediato del carico, ordinando l’allontanamento dei container dal porto.
“Non possono uscire armi destinate a Israele. Non possiamo contribuire in nessun modo al massacro in corso a Gaza”, ha dichiarato il sindaco, aggiungendo un richiamo forte al governo: “Far transitare armi dai nostri porti, anche quando arrivano da paesi esteri, è un errore. Non basta che il ministro Tajani dica che non si tratta di armi italiane. Il nostro governo deve prendere una posizione netta”.
La lezione di Ravenna è chiara: un sindaco può dire no, scegliere di non essere complice e impedire che la sua città diventi un anello della catena che porta morte altrove. Questo distingue un amministratore qualsiasi da un sindaco degno di questo nome.
Genova: il CLAP e la coscienza antimilitarista
A Genova, il CLAP – il Comitato Lavoratori e Lavoratrici per la Pace – ha promosso una serie di iniziative per denunciare il coinvolgimento della città nel traffico di armamenti. Attraverso campagne di sensibilizzazione, coinvolgendo istituzioni, lavoratori portuali e cittadini, il CLAP ha costruito una coscienza collettiva antimilitarista, evidenziando le conseguenze etiche e civili della produzione militare.
Il lavoro del CLAP dimostra che anche le comunità possono agire concretamente, monitorando i porti, sollecitando trasparenza e partecipando a decisioni che hanno impatto globale.
Trieste: resistenza e mobilitazione contro la militarizzazione strategica
A Trieste, la mobilitazione del 15 settembre 2025 ha rappresentato un esempio concreto di come le comunità locali possano reagire ai piani di militarizzazione dei propri territori. Circa cinquecento persone hanno partecipato al corteo per il 78esimo anniversario dell’istituzione giuridica del Territorio Libero, rivendicando la smilitarizzazione della città e opponendosi ai progetti Imec (India-Middle East-Europe-Corridor) e 3SI (Three Seas Initiative, alias Trimarium).
Questi piani, spesso presentati come opportunità commerciali, hanno in realtà scopi strategico-militari e coinvolgono il porto di Trieste, destinato a diventare il perno di una rete di infrastrutture pensata per rafforzare i fronti della NATO, collegare basi americane in Europa e Medio Oriente e ottimizzare i rapporti con Israele. Recenti proposte prevedono una rotta privilegiata tra Trieste e il porto israeliano di Haifa, con scenari inquietanti che includono riferimenti alla “nuova Gaza” che gli ultrasionisti ambirebbero a controllare.
Durante la manifestazione, organizzata dal Comitato 15 settembre e da associazioni locali, sono state esposte bandiere rosso-alabardate simbolo del Territorio Libero, insieme a bandiere palestinesi, scandendo slogan contro l’imperialismo e per la solidarietà ai popoli sotto occupazione: “Da Trieste ad Aviano torna a casa soldato americano” e “Dal Donbass alla Palestina, America assassina”.
Trieste ha ribadito la volontà di non essere complice dei piani militari globali e ha lanciato un appello alla mobilitazione permanente per il Territorio Libero, riconosciuto dagli accordi internazionali ma soffocato dagli interessi di potenze regionali e globali.
Sardegna: la fabbrica delle bombe insanguinate RWM e i movimenti che organizzano la protesta
In Sardegna, a Domusnovas, la RWM (cioè lo stabilimento Rheinmetall Waffe Munition, chiamato in Sulcis “la fabbrica delle bombe insanguinate”) rappresenta un nodo cruciale del commercio di armi italiane. L’impianto produce ordigni destinati a conflitti lontani, dallo Yemen a Gaza, e potenzialmente utilizzati in operazioni militari israeliane in Iran, Qatar, Libano e Siria.
Le bombe vendute a stati alleati entrano in circuiti militari che alimentano conflitti, causando vittime civili e destabilizzazione internazionale. Questo esempio evidenzia come le decisioni locali abbiano ripercussioni globali, e come amministratori, lavoratori e cittadini possano scegliere di esercitare responsabilità concreta, limitando il transito e la produzione di armi destinate a guerre esterne.
La responsabilità civile e istituzionale come strumento di pace
Ravenna, Genova, Trieste e Sardegna dimostrano che la responsabilità civile e istituzionale può trasformarsi in azione concreta contro la guerra. Non si tratta solo di protesta simbolica, ma di strumenti di pressione e controllo per impedire che le armi prodotte in Italia alimentino conflitti nel mondo.
La pace parte dai territori, dai sindaci e dai cittadini che scelgono di non essere complici del commercio di morte. In un contesto internazionale sempre più complesso, tra corridoi strategici come l’Imec, iniziative militari globali e fabbriche come RWM Domusnovas, ogni azione locale assume un valore straordinario.
La mobilitazione, la vigilanza e l’impegno civico non sono più soltanto un ideale: sono strumenti concreti per fermare la guerra e tutelare la vita. Qualcuno, in molte città d’Italia, farebbe bene a prendere appunti.
Laura Tussi