editoriali

Sciopero e rivoluzione

di Roberto
Musacchio

“La classe operaia, durante uno sciopero politico, agisce come la classe di avanguardia di tutto il popolo. Il proletariato in tali circostanze assume non solo la funzione di una classe della società borghese, ma quello di forza dominante, vale a dire di direzione e di guida. Le idee politiche che vengono alla luce nel movimento rivestono un carattere nazionale, vale a dire toccano le condizioni fondamentali, le condizioni più profonde della vita politica di tutto il paese. Questo carattere dello sciopero politico, come dimostrano le indagini scientifiche del periodo 1905-1907, interessò al movimento tutte le classi, e in particolare gli strati più larghi, più numerosi e più democratici della popolazione, come i contadini, ecc.” (V.I. Lenin, Scritti sugli scioperi. Scritti dal 1896 al 1902).

Transform partecipa allo sciopero generale del 16 dicembre con i mezzi che le sono propri. La battaglia delle idee e la dimensione europea.

Siccome lo sciopero è stato accusato di essere politico cito Lenin perché sarebbe auspicabile che così fosse. Significherebbe che si ritrova il nesso tra conflitto sociale e conflitto politico. Nesso che la nuova egemonia borghese totalizzante ha fatto di tutto per spezzare. Sono trent’anni che la “lotta di classe rovesciata” si avvale di un potentissimo impianto sovrastrutturale che ha sistematicamente minato i ponti del pensiero dialettico. Lo definisco così e non direttamente marxista o socialista perché questa è stata l’ambizione dichiarata del neoliberalismo. L’instaurazione di un pensiero unico. Via classi, conflitto ma anche società e politica. C’è spazio solo per la governance che sussume in sé gli elementi di crisi come “rivoluzione permanente del Capitale”. Globalizzazione, finanziarizzazione, guerre, potere sulla conoscenza, pandemia. Ogni dimensione/evento nutre l’egemonia capitalistica della fine della Storia.

Magari dunque lo sciopero fosse politico. Perché ciò di cui si ha bisogno è il ritorno della dialettica, il ricostruirsi di un altro punto di vista, di un’altra agenda per usare i termini della ricerca cui partecipiamo con Riccardo Petrella. Di un’alternativa di classe, per citare Chomsky. Una classe “generale” marxianamente intesa. È questa aspirazione che è stata annullata addirittura come potenzialità. Ma niente di meno può essere ricercato se pensiamo a ciò che stiamo vivendo nel connubio tra pandemia, crisi sociale e ambientale.

Non sfugge certo che questo sciopero che ci accingiamo a celebrare non sarà tutto questo. Eppure è stato evocato il nesso. Sciopero generale ha una Storia e, così vogliamo, un futuro. Ricorrervi oggi, nel momento in cui la dialettica politica è totalmente assente e tutti lo dichiarano incomprensibile o sbagliato, ha un valore che va sottolineato. Certo, può evocare anche una “partecipazione” alla dialettica della governance. Ma appare ben difficile che questa prenda in considerazione ciò che ha negato in radice e cioè il riconoscimento di un altro. Difficile una “gestione” pansindacale o neocorporativa. Meglio attrezzarsi perché è più probabile una retroazione pesante della governance stessa.

Siccome è stato accusato di essere inutile e dannoso è bene che lo sciopero ottenga risultati. I piani su cui si gioca sono molteplici ma interrelati. Salario, pensioni, fisco, occupazione, scelte economiche. Il dato con cui bisogna fare i conti è che la rivoluzione conservatrice si fonda sul non ammettere compromessi se non al proprio interno. Il trentennio ha portato più profitti e meno salari. Meno tasse ai ricchi e più finanza. Sempre meno pubblico e sempre più tutto privato. Dunque occorre stare al concreto rivendicativo ma guardare al quadro. Che è quello, per noi, della nuova fase di ristrutturazione capitalistica europea.

Per questo faccio degli esempi che provano a cercare i nessi che cambiano l’agenda.

Penso al piano contro le delocalizzazioni e per un’alternativa industriale pubblica presentato dagli operai della GKN. Una lotta, un progetto.

Penso a come entrare in due partite aperte proprio in Europa. Il salario minimo, e dignitoso. La regolamentazione delle piattaforme. Entrambe chiedono un elemento puntuale in un quadro che cambi la tendenza generale. Un salario minimo che non accompagni la decrescenza generale della quota di ricchezza che va al lavoro ma avvii una risalita. Una regolamentazione delle piattaforme che ridia al lavoro “dipendente” una funzione generale e di potere.

Farlo sulla dimensione europea sarebbe precisamente la riconnessione col politico, che oggi non c’è.

Non mancano altri terreni di cui ci occupiamo anche oggi su Transform. Come la tassonomia che non è verde ma capitalistica, ricordando che il movimento ambientalista moderno nacque comprendendo che c’è un nesso strettissimo tra energia e potere. Per questo ambientalismo e socialismo devono stare insieme.

Viva dunque lo sciopero generale!

 

Roberto Musacchio

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