Gli elettori danesi sono chiamati, oggi, mercoledì 1° giugno, a pronunciarsi per quella che apparentemente sembra una questione tecnica, ma che nel contesto attuale assume una forte rilevanza politica.
La quasi totalità delle forze politiche di centro-sinistra e di centro-destra chiede di cancellare uno dei cosiddetti “op-outs” approvati nel 1993 con un precedente referendum. L’anno precedente i danesi avevano respinto a maggioranza assoluta l’adesione al Trattato di Maastricht. Si aprì allora una lunga trattativa per consentire di chiamare nuovamente i danesi a votare e per convincerli a cambiare posizione. Venne inventata la soluzione degli opt-outs, ovvero il paese scandinavo sottoscriveva il Trattato di Maastricht, ma decideva di non partecipare alla condivisione delle decisioni su alcune delle materie previste dal Trattato stesso. Una di queste riguardava i temi della difesa comune. Quella che nel linguaggio di Bruxelles è definita come la “Politica di difesa e di sicurezza comune”. Con il mantenimento dell’opt-out la Danimarca non interviene su decisioni come quelle assunte recentemente di inviare armi all’esercito ucraino.
Altri referendum analoghi si tennero nel 2000 sull’adesione all’euro e nel 2015 in materia di giustizia, altri temi sui quali la Danimarca ha salvaguardato la propria sovranità nazionale pur collocandosi all’interno del contesto definito dal Trattato di Maastricht. In entrambi i casi la maggioranza degli elettori danesi si è espressa contro la richiesta di capovolgere le decisioni del 1993.
Tutti i sondaggi sembrano indicare, in questo caso, una maggioranza consistente a favore della cancellazione dell’opt-out sui temi della difesa, anche se resta ancora una forte quota di indecisi. Solo se tutti questi si orientassero per il no le previsioni potrebbero venire ribaltate. Benché le norme sui referendum prevedano una soglia minima di partecipazione del 30%, è orientamento comune dei partiti di tenere comunque conto del risultato anche qualora non si raggiungesse il quorum.
A favore dell’intesa sulla partecipazione alla difesa comune europea, unitamente all’aumento delle spese militari e alla fine della dipendenza danese dal gas russo si sono espressi socialdemocratici, liberali, socialisti popolari (aderenti ai verdi europei), social-liberali e conservatori. A favore del sì anche Alleanza liberale, democristiani e Verdi indipendenti. Una “grande alleanza” trasversale dalla quale si sono esclusi solo due formazioni di destra populista (il Partito del Popolo danese e la Nuova Destra) e il partito della sinistra radicale Alleanza Rosso-Verde (Enhedlisten) che ha mantenuto la sua posizione per il no.
L’iniziale formulazione del referendum, decisa dal Governo a guida socialdemocratica, è stata oggetto di critiche ed è stata modificata per rendere più comprensibile la decisione sottoposta al giudizio degli elettori. Il Ministro degli Esteri, Jeppe Kofod, ha anche cercato di chiarire che la partecipazione alla “Politica di difesa e sicurezza comune” non implica necessariamente l’adesione ad un’eventuale (e per ora improbabile) esercito europeo, qualora venisse creato. In quel caso si dovrebbe rivedere il Trattato e quindi ci dovrebbe essere un nuovo referendum.
Secondo quanto dichiarato da Christine Nissen, ricercatrice presso l’Istituto Danese per gli Studi Internazionali, ad Al Jazeera il cambiamento proposto agli elettori danesi si muove nella stessa direzione della decisione svedese e finlandese di aderire alla Nato e dovrebbe rafforzare la cooperazione in atto per il sostegno militare alla guerra in Ucraina. Dal punto di vista pratico vorrà dire che i funzionari e ministri danesi potranno restare nella stanza quando i colleghi europei discutono di questioni di difesa e che le forze danesi potranno partecipare alle operazioni militari comuni.
La Danimarca è già parte della NATO e gran parte delle decisioni significative vengono prese in quell’ambito o in sedi informali promosse e guidate dall’Amministrazione americana, che organizza volta per volta coalizioni ad hoc finalizzate a sostenere la sua politica interventista.
L’Enhedslisten (Lista Unita, denominata abitualmente in altre lingue come Alleanza Rosso-Verde) raccomanda di votare no all’abolizione dell’opt-out, in nome di un “mondo pacifico e sostenibile”. Questo partito della sinistra radicale conta in 13 parlamentari su 179 nel Folketing e su un consenso elettorale che si aggira attorno al 7%, mentre è il primo partito a Copenhagen. Ha una posizione in generale critica verso l’integrazione europea, anche se negli ultimi anni ha attenuato il tradizionale “euroscetticismo”.
Gli elettori danesi sono invitati a “non soccombere ad una decisione affrettata” che favorisca un processo di progressiva militarizzazione all’interno e nell’Unione Europea a spese della democrazia, della diplomazia, e del welfare state. Per Enhedslisten c’è il rischio concreto che abolendo il “diritto di riserva” future decisioni rilevanti vengano sottratte all’esercizio del diritto democratico dei cittadini della Danimarca.
Si denuncia che la cooperazione militare europea, più che riguardare la difesa, si traduce in missioni militari in Africa, in genere nelle ex colonie francesi. Missioni che hanno lasciato dietro di sé una scia sanguinosa di scandali, incidenti e violazioni dei diritti umani. Vengono portati come esempio l’azione in Mali e la collaborazione con l’autorità costiera della Libia. Anziché inviare militari in queste operazioni, la Danimarca dovrebbe impegnarsi di più in missioni di mantenimento della pace decise e dirette dalle Nazioni Unite.
Ci troviamo in una situazione – sostiene ancora l’Enhedslisten – nella quale per la prima volta dagli anni ’80 si parla di un rischio di guerra nucleare. Una nuova corsa agli armamenti rischia di finire fuori controllo. Il partito della sinistra radicale danese resta favorevole (come altre formazioni scandinave) a sostenere l’Ucraina anche con l’invio di armi. Segnala però che le spese militari degli stati dell’Unione Europea sono già il quadruplo di quanto spenda la Russia. La priorità deve andare ad un welfare migliore, alla transizione verde e alle iniziative di costruzione della pace.
Abolire l’opt-out sulla difesa – conclude l’Alleanza Rosso-Verde – significa aprire la strada ad impegni e possibili coinvolgimenti in azioni che oggi non siamo in grado di valutare.
Franco Ferrari
