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Non è questione di lana caprina

di Marcello
Pesarini

Ricordiamo quando molti anni fa, negli anni 80, mentre la politicizzazione era ancora forte, molte persone pur sostenendo che la materia sulla responsabilità civile dei magistrati e sulla commissione inquirente fosse materia per addetti ai lavori, andò a votare nelle percentuali del 65%, la stessa dei quesiti riferiti all’energia nucleare. La data fu l’8 e il 9 novembre 1987.
Ben altra situazione ci troviamo davanti, come popolazione e come sinistra, nel 2025 di attesa e nel 2026 di voto e campagna referendaria.
Ripetiamolo, un fenomeno vicino nel tempo non facilmente guaribile col tempo: manifestazioni in punta di piedi prima, poi crescenti, per la Palestina, contro l’eccidio, la carneficina, il genocidio della striscia di Gaza, che hanno rotto le barriere fra sindacati confederali e di base, partiti, associazioni, e dato da fare oltre che alle forze dell’ordine, agli organi d’informazione anche a tutti i mezzi di trasporto, in un ritorno alla gioia di lottare, non hanno avuto nelle elezioni regionali riscontri di spostamenti a sinistra o comunque anti sistema.
Non è il momento di affrontare in questo articolo un dibattito aperto già altrove e meglio.
L’intenzione è di capire, nella sua peculiarità, quanto la legge sulla separazione delle carriere tanto voluta dalle destre e dal ministro Nordio, possa essere compresa ad esempio dai detenuti e dalle loro famiglie, dagli agenti di polizia penitenziaria, dal personale pedagogico delle carceri, oltre che da chi si sta già schierando, magistrati e avvocati, per arrivare al popolo che vota.

Gli schieramenti e la loro capacità di raggiungere i votanti

Le destre, ma anche tante parti del centro e della sinistra, sono ormai da tempo favorevoli a far suonare la campana del nuovo, della semplificazione, mischiando obiettivi precisi di accentramento dei poteri di scuola anticostituzionale con scarso approfondimento della materia.
Se la Costituzione italiana divide i poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario, la sola magistratura con le carriere separate in partenza porterà a 2 CSM (uno per i PM, altro per i giudici) e un’Alta Corte disciplinare per sanzionare gli illeciti.
Si triplicano i costi della burocrazia e i magistrati condannati per qualsiasi inadempienza devono ricorrere allo stesso organo che li ha condannati.
Se queste sono le conclusioni, ecco le premesse che affondano le radici nelle destre che amano spazzare via i ragionamenti e tutto ciò che è democrazia, ma molto nelle sinistre che seguono flebilmente i principi della Costituzione ma forse ancora più lo spirito libertario di Ventotene.
La separazione delle funzioni esiste già nei numeri.
La distinzione tra giudici e pubblici ministeri è già realtà da anni. Solo lo 0,8% dei PM è diventato giudice e appena lo 0,2% dei giudici è diventato PM dopo l’ultima riforma. Intervenire oggi su questo punto significa portare avanti una riforma puramente ideologica, che rischia di trasformarsi in uno strumento di controllo politico (esecutivo) sulla magistratura.
Un magistrato che ha svolto sia il ruolo di PM che di giudice possiede una preparazione più ampia e consapevole: conosce dall’interno le indagini, le tecniche investigative e anche le esigenze e i limiti della giurisdizione. Questo rende la sua funzione più equilibrata e garantista, non meno.
Il sorteggio al CSM non è democratico e mina autonomia e autorevolezza.
Magistrati considerati  incapaci di eleggere i propri rappresentanti = magistrati senza garanzie di democrazia e soggetti alle influenze politiche.
L’art. 104 della Costituzione prevede la natura elettiva proprio per indipendenza.
Un cittadino ha quindi meno tutele. I suoi diritti (casa, lavoro, salute), difesi da un  magistrato intimidito dalla politica diventano più deboli.
Come esempio lampante potremmo osservare la reazione stizzita del governo alla mancata registrazione, poco tempo fa, da parte della Corte dei conti, della delibera Cipes relativa al Ponte sullo Stretto, per capire quale sia il vero obiettivo di questa riforma.
Ma anche agitare il pericolo di attacco alla democrazia, per  il “decentramento amministrativo Calderoli” , cioè l’autonomia differenziata, per il mai messo da parte “presidenzialismo”, sono argomenti che vengono maneggiati con cautela, forse per similitudine con l’unità contro il pericolo fascista che non ha dato frutti in molte elezioni.
L’autonomia differenziata mira a implementare l’art. 116, comma 3, della Costituzione, trasferendo maggiori poteri e funzioni alle Regioni a statuto ordinario che ne fanno richiesta, cosa che è già avvenuta. Il miraggio del sistema maggioritario, tanto voluto fin dagli anni 90 da PDS, DS e PD assieme all’elezione diretta dei sindaci, è riaffiorato in più di una regione con l’autonomia differenziata creando le premesse per dei LEP (livelli essenziali di prestazione) che in effetti aumenteranno i divari tra regioni del Nord e del Sud, e fra ricche e meno ricche.
Il presidenzialismo è in attesa, mentre se ne creano le premesse dalle quali sarà faticoso tornare indietro.
Annotiamo che la rapidità con cui i parlamentari del centrodestra hanno raccolto le firme per avallare il referendum confermativo, dimostrando che la legge va ben al di là del suo significato tecnico, i dieci volenterosi cittadini che, muniti di certificato elettorale, si recano in Cassazione per annunciare di voler raccogliere le firme per indire il referendum ci sarebbero – e questo costringerebbe il governo ad aspettare fino al 30 gennaio per fissare la data, che a quel punto slitterebbe ad aprile -, ma per muoversi sostengono di aver bisogno della concordia di tutti.
Ma la Cgil, cioè il maggior soggetto sociale della Via Maestra, la costellazione di sigle e associazioni che lancerà la sua campagna per il NO al referendum aspetta il 10 gennaio.
Eppure più tempo avra’ il NO e meglio spiegherà le sue ragioni, che toccano tanti cittadini che privilegi non hanno e rischieranno di perdere diritti.
Da quando si è insediato il governo Meloni si è impegnato a distogliere l’attenzione della popolazione dai veri problemi del lavoro, della sanità, dell’istruzione, inaugurando una nuova stagione di proibizionismo con i decreti Cutro, Caivano, No rave, interventi che non hanno prodotto nulla contro chi si era già inserito nel mercato nero dell’immigrazione e del disagio giovanile.
Torniamo ai detenuti, agli ospiti delle comunità, delle esecuzioni penali esterne che ora avrebbero una freccia in più al loro arco, cioè di potere avere luogo anche senza una dimora personale del detenuto a disposizione.
Nelle celle, nelle famiglie, nelle reti di mutuo aiuto, le ragioni dell’indipendenza della magistratura sarebbero chiare, se esse non risultassero così lontane, nelle difficili risposte dei magistrati di sorveglianza, nella sanità non regolarmente registrata né monitorata, nella durata eccessiva dei processi, nella grave carenza di organico, nel ritardo del processo telematico, nell’assenza di risorse per assumere personale amministrativo nelle cancellerie, nel mancato superamento del lavoro precario e le carenze di magistrati, sia requirenti che giudicanti.
Se partiti e sindacati, organizzazioni con loro dialoganti, riuscissero a fare sentire meno abbandonata questa parte di società, si potrebbe affermare con forza che la proposta di legge 1353 Meloni-Nordio, ora legge 1917 è una riforma che non migliora il servizio giustizia per i cittadini.

Marcello Pesarini

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