editoriali

Lettera da un punto di non ritorno

di Stefano
Galieni

Capita di dover scrivere in momenti in cui il tempo sembra sospeso. In attesa di cosa? Che l’alibi per un accordo non raggiunto, sulla base di un sedicente piano di pace che somiglia ad una resa incondizionata, l’esercito israeliano decida, nel “giorno dell’espiazione”, lo Yom Kippur, di bestemmiare la stessa propria religione, finendo il lavoro sporco a Gaza City. Un’operazione che verrebbe condotta con l’avallo Usa e di governi correi come quello italiano. O, in piena concordanza, che le navi umanitarie della Global Sumud Flotilla vengano fermate in maniera più meno violenta, in alto mare, in acque internazionali, per impedire che l’embargo per gli aiuti alla popolazione gazawi venga rotto.
Parliamo di avvenimenti che potrebbero essere già avvenuti mentre l’articolo che state leggendo è stato appena pubblicato, in particolare l’abbordaggio alle navi della flotilla, con tutte le conseguenze del caso.

Molte e molti di noi hanno trascorso parte della notte di ieri e sono anche oggi collegati in diretta con la Global Sumud attendendo che droni, sommergibili, navi prive di bandiera che stanno sorvegliando quella porzione di mare, che si sono avvicinati a fari spenti, decidano non se ma come agire. Dopo l’aggressione avvenuta nei giorni scorsi nelle acque di Creta, quindi in Europa, senza alcuna reazione, Israele ha ritenuto opportuno allertare le forze d’élite della propria marina militare.
Già stamattina, intorno alle 12.00 la flotilla ha incrociato alcuni rimorchiatori, un’ora prima, una nave della Marina israeliana è salpata dal porto di Ashdod: potrebbe arrivare in area critica e incrociare le imbarcazioni dopo le 15.00.
La zona in cui potrebbe avvenire l’infausto incontro è la stessa, in acque internazionali, in cui negli anni e nei mesi passati, sono state fermate navi partite con simili missioni. Inutile dire che si tratta di un atto di impunita pirateria che conferma come ormai, volendo utilizzare lo stesso linguaggio delle grandi potenze, Israele andrebbe considerato “Stato canaglia” e organizzazioni come l’IDF inserita in una reale “black list”. Ma le parole sembrano avere sempre meno senso se si pensa a chi in queste ore è in mare.
Dalla diretta si sentono le persone che allentano la tensione scherzando e mandando musica. Questa mattina, alle 9.00 circa, ora italiana, il silenzio è stato interrotto da una struggente tromba da cui partivano le note di “Bella Ciao”, motivo adeguato perché quanto stanno tentando di fare le operatrici e gli operatori di pace in mare è un vero e proprio atto di resistenza. Un’emozione potente che ha fatto, per pochi minuti, sentire vicini gli equipaggi di mare e l’immenso equipaggio di terra che segue la flotilla, pronto, almeno in Italia, a bloccare il Paese intero quando l’attacco avverrà.
Una ennesima violazione del diritto internazionale, delle leggi del mare, per cui le acque internazionali sono considerate di proprietà di chi può farne ciò che vuole, in cui al massimo, come dichiarato senza vergogna dal ministro della Difesa Crosetto, si potrà essere soddisfatti laddove ci saranno unicamente abbordaggi, arresti ed espulsioni per ingressi illegali in acque, come si diceva, internazionali. Quasi una riproduzione in chiave espressamente bellica, di quanto avviene da decine di anni con chi cerca di entrare in Europa per chiedere asilo. Non a caso, come viene ricordato da Riccardo Noury, di Amnesty International, si tenta di gettare discredito, sospetto, criminalizzazione contro la flotilla, come si fa con le Ong.

E ci sarà un prima e un dopo questa giornata, si segnerà un punto di inevitabile non ritorno di cui va ritenuto responsabile chiunque si schiererà dall’altra parte della barricata, chiunque, con le proprie menzogne, giustificherà il terrorismo di Stato.
Si è rivolti verso la flotilla, da cui arriva uno streaming h24, ma si guarda anche con paura verso la Striscia di Gaza e soprattutto verso Gaza City in cui l’esercito occupante israeliano ha chiuso ogni strada che non sia quella che porta all’evacuazione della città, verso un futuro che non esiste e che non ha futuro.

Alle 13.00 di oggi si è tenuta alla Camera dei deputati, una conferenza stampa che forse dà l’idea di quanto ciò che affermiamo sia percepito dalla stragrande maggioranza del Paese. Leader delle opposizioni presenti in parlamento, Cgil e rappresentanti dei maggiori sindacati di base, della Global Sumud Flotilla, di Amnesty International ed Emergency, hanno deciso di convergere verso un appuntamento comune con cui si intende fermare l’Italia per dare almeno un segnale.
E se Giorgia Meloni considera irresponsabile e strumentale l’azione della flotilla, dal mondo sindacale giunge la richiesta ad uno sciopero, come l’ha definito Maurizio Landini, segretario della Cgil, in difesa della Costituzione, dei suoi articoli fondanti e dei principi fondanti della Convenzione di Ginevra. Di sciopero di condanna al genocidio e di difesa dell’operazione politica e umanitaria, ha parlato Guido Lutrario, (esecutivo Usb), aggiungendo all’urgenza dello sciopero, anche senza preavviso, il blocco di ogni attività, a partire dai porti e dagli aeroporti, per impedire ogni tipo di relazione commerciale con Israele.
Toni simili sono giunti dal rappresentante della Cub (Antonio Amoroso), che ha insistito sulla limitazione delle libertà democratiche che avviene nella più assoluta impunità e da Vincenzo Miliucci (Cobas), che ha paragonato quello che si intende realizzare alle mobilitazioni dei primi anni Settanta, contro la guerra in Vietnam. 

Già è stato annunciato che la Commissione di garanzia in Parlamento potrebbe sanzionare chi indirà lo sciopero e chi vi parteciperà, ma queste dovrebbero cadere nel vuoto di fronte al genocidio, di fronte ad un blocco navale verso ogni forma di assistenza, di fronte a chi si pone in maniera disarmata, come strumento di politica di pace.
Da quanto emerso, la giornata di sciopero e di blocco di ogni attività potrebbe realizzarsi venerdì 3 ottobre, a meno che gli attacchi non giungano prima e che già da allora non si interrompano spontaneamente i lavori in alcuni comparti. Ma il livello di connessione sentimentale che si sta realizzando con quanto sta avvenendo nel centinaio di miglia, a quest’ora, che separano le navi umanitarie da Gaza, porterà in piazza non solo lavoratrici e lavoratori ma giovani, uomini e donne di ogni condizione, popolo vero insomma il cui unico scopo sarà quello di non voltarsi dall’altra parte mentre le tragedie si consumano.
Uno sciopero tanto etico quanto politico, che precederà quella che si preannuncia come grande manifestazione nazionale a Roma, (partenza da Piazzale Ostiense alle ore 14.30), convocata da tutte le realtà palestinesi, contro il genocidio. 

Si preannunciano giorni forti e significativi, destinati a lasciare una traccia indelebile, anche nei rapporti fra nazione.
Chi, da Palazzo Chigi come da quelli in cui si attua la politica genocidiaria, sappia che a doversi fermare non sono le navi umanitarie ma la brutalità degli eserciti del terrore. 

Non farlo significa condannarsi a non poter esigere alcuna pacificazione possibile.

Stefano Galieni

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