A cavallo tra Otto e Novecento, nel drammatico tornante degli anni della “crisi di fine secolo”, mentre a Milano tra il 6 e il 9 maggio 1898 le truppe del regio esercito italiano comandate dal generale Bava Beccaris prendono a cannonate le inermi masse popolari che protestano per l’aumento del prezzo del pane, cannonate a cui il 29 luglio 1900 fanno seguito le pistolettate che l’anarchico Gaetano Bresci esplode contro il re Umberto I, da un lato, il dibattito sulla questione meridionale si arricchisce di nuovi contributi critici, quali quelli offerti dal repubblicano Napoleone Colajanni, dal liberista Antonio de Viti de Marco, dal socialista Ettore Ciccotti e dal democratico Francesco Saverio Nitti, dall’altro, si inasprisce, assumendo una connotazione sempre più territoriale.
È in questo contesto che un giovane “socialista che non si contenta”, un allora sconosciuto docente di liceo, apporta al dibattito sulla questione meridionale “aria nuova, ne rinnova del tutto i temi, e apre un’epoca del meridionalismo, col suo aver posto la politicizzazione delle masse meridionali quale vera base per la rinascita del Sud Italia”.
Si tratta di Gaetano Salvemini, che, già allievo del meridionalista liberale Pasquale Villari presso l’Istituto Superiore degli Studi di Firenze, dopo avere esordito tra il 1° marzo ed il 1° aprile del 1897 nella pubblicistica meridionalista pubblicando sulla rivista “Critica sociale” diretta da Filippo Turati e da Anna Kuliscioff un articolo dal titolo Un Comune dell’Italia meridionale: Molfetta, successivamente, tra il 25 dicembre 1898 ed il 14 marzo 1899, pubblica sulla rivista “Educazione politica” di Arcangelo Ghilseri il saggio La questione meridionale, che, appunto, “apre un’epoca nuova del meridionalismo”
Ed “apre un’epoca nuova del meridionalismo” attuandovi sulla base della lezione di Karl Marx ed Antonio Labriola quella che può essere definita una vera e propria “rivoluzione copernicana”, in quanto, criticando i meridionalisti liberali, egli propone di fondare il riscatto del Mezzogiorno non sulla centralità del cosa fare, bensì su quella del chi deve fare cosa.
Come sottolinea lo stesso Salvemini: “Si possono scrivere milioni di volumi geniali sul problema meridionale, si possono escogitare i più efficaci e sicuri rimedi ai mali del Napoletano e della Sicilia; tutto questo lavoro non caverà un ragno dal buco, finché nel Mezzogiorno stesso non si determinerà un movimento energico, costante, organico, che abbia lo scopo di attuare tutte quelle riforme, che per ora non sono che pii desideri degli studiosi”.
A 123 anni dalla pubblicazione del saggio di Salvemini, il problema da lui posto dell’individuazione della “forza capace di attuare le riforme da tutti ritenute necessarie” per riscattare le condizioni del Mezzogiorno viene ripreso e sollevato dal Laboratorio di riscossa per il Sud, che, in un contesto politico-culturale in cui si continuano a scrivere “milioni di volumi geniali sul problema meridionale”, ma non si focalizza mai l’attenzione in modo adeguato sul chi deve fare cosa per risolverlo, ha lanciato la proposta di dare voce ai “vinti” del Sud tramite l’istituzione di “comunità ribelli”, che “lottino con il cappello in testa” per la loro dignità, i loro bisogni ed i loro diritti ancora oggi azzerati, disattesi e limitati.
Salvatore Lucchese