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La Grande Guerra Patriottica

di Luciano
Beolchi

La grande stampa e i media giustificano l’improvvida uscita del Presidente Mattarella che il 5 febbraio ha dichiarato che l’attuale guerra in Ucraina è guerra di conquista, tale e quale quella che condusse il Terzo Reich in Europa. Con le sue parole Mattarella ha toccato un tasto sensibile dell’opinione pubblica russa e i giornali gli sono andati dietro sbeffeggiando quella che in Russia si chiama Grande Guerra Patriottica e che per loro fu semplicemente una guerra tra potenze, peraltro entrambe governate da regimi totalitari

Con le sue parole, il Presidente giustifica e riprende due gravi errori storici, peraltro non nuovi perché costruiti metodicamente durante quella Guerra fredda in cui il Presidente si è formato e di cui riprende oggi gli argomenti più calunniosi e speciosi.

Anzitutto la guerra nazista nell’Est europeo, a differenza di quanto accadde a Ovest, fu guerra di sterminio: il programma esplicito del regime hitleriano era quella di dimezzare la popolazione russa destinandola unicamente alla fornitura di prodotti agricoli e di risorse minerarie al Terzo reich.  Era dunque perfettamente inutile che vi sorgessero città e quelle esistenti andavano rase al suolo a cominciare da Mosca e Leningrado. Questo era quanto deciso nelle due conferenze che i vertici nazisti avevano tenuto a Berlino il 21 e 31 gennaio 1940. La popolazione andava dispersa nelle campagne evitando concentrazioni che potevano essere focolai di rivolta.

La Russia europea sarebbe dovuta diventare colonia agricola del Reich, a eccezione della Crimea che dopo la deportazione degli abitanti, tartari compresi, sarebbe stata colonizzata dai tedeschi come luogo di svago e di divertimento per i cittadini tedeschi; e del Caucaso le cui risorse sarebbero state sfruttate direttamente dal regime nazista.

Il Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939, oggi indicato come prova della collusione tra i due regimi[1] fu firmato solo dopo che inglesi e francesi avevano escluso l’Unione Sovietica dagli accordi di Monaco del 1938 dove gli occidentali, e non l’URSS, regalarono a Hitler la Cecoslovacchia, paese sovrano e dopo che ebbero rifiutato qualsiasi alleanza antinazista con l’Unione Sovietica. Un patto che tutelasse anche la sovranità della Polonia poteva essere firmato nel 1938 e ancora nel 1939; se non fu fatto è perché gli occidentali sperarono fino all’ultimo che Hitler attaccasse per prima la Russia, cosa che probabilmente Hitler avrebbe fatto se non ci fossero stati fisicamente di mezzo la Polonia e i Paesi Baltici.

Durante la Guerra fredda, una letteratura angloamericana apologetica dei tedeschi[2] e della Germania nazista, diffuse a piene mani la narrazione di un’Armata Rossa che di fronte a un avversario più forte e meglio condotto era stata annientata e si era dileguata praticamente senza opporre resistenza.

Viceversa le fonti militari tedesche parlarono di accanita difesa della fortezza di Brest Litovsk (giugno-luglio 1941), di dura difesa della sacca di Minsk (30 giugno-10 luglio1941) e di quella di Smolensk (16 luglio-10 agosto 1941), di accanita resistenza al lago Ilmen, di forte resistenza incontrata dal Gruppo di Armate Centro in marcia verso Mosca, (dal 9 agosto in avanti), di violenti contrattacchi subiti dall’armata corazzata di Guderian diretta verso Kiev (6 agosto 1941. Di due mesi di resistenza accanita in occasione dell’assedio di Odessa (agosto-ottobre 1941) e di un anno intero di accanita resistenza di Sebastopoli assediata (estate 1941-estate 1942)[3].

Tra l’ottobre 1941 e il gennaio1941 seguì la battaglia di Mosca, prima importante vittoria difensiva dell’Armata Rossa, cui seguì una controffensiva verso Smolensk (dicembre 1941) che fece arretrare il nemico di oltre 100 chilometri, in quella che fu definita dai tedeschi la dura battaglia del 25 novembre 1941 lungo il canale Mosca-Volga.

Indubbiamente nei primi mesi del 1941 e poi ancora nell’estate del 1942 l’Armata Rossa subì delle gravi sconfitte, ma gli stessi generali tedeschi, nei loro rapporti, scrissero che man mano che avanzavano incontravano una resistenza sempre più accanita.

Le perdite tedesche irrimediabili dei primi due mesi (al 13 agosto 1941) ammontavano a 389.000 uomini e secondo valutazioni dell’OKW[4] al 24 agosto le divisioni di fanteria avevano perso il 40% della loro capacità offensiva e le forze corazzate il 50%. All’inizio della battaglia di Mosca l’esercito tedesco contava 756.000 perdite con 200.000 caduti, tra i quali più di 8000 ufficiali All’inizio della primavera del 1942 i tedeschi avevano già avuto sul fronte orientale 1.005.636 caduti, circa il 31% degli effettivi impiegati; senza contare le centinaia di migliaia di ungheresi, italiani e rumeni – per non citare che i principali alleati –; e poi i dispersi e i prigionieri. Ne aveva avuti 110.000 in tutte le precedenti campagne del 1939-1940: Polonia, Francia, Danimarca, Norvegia, Jugoslavia e Grecia.

La violenza e le atrocità che caratterizzarono fin dall’inizio l’occupazione tedesca derivavano da ordini precisi e metodici, a partire dall’OKWl[5] fino ai Comandanti d’armata e di divisione e a tutti i comandanti locali. Particolarmente significativa la disposizione generale: “In ogni caso di resistenza alle forze di occupazione germaniche, quale che siano le singole circostanze deve essere interpretato come di origine comunista. Al fine di troncare sul nascere queste macchinazioni bisogna prendere al primo accenno le più drastiche contromisure, in modo da mantenere l’autorità delle forze di occupazione e evitare un’ulteriore diffusione. A questo proposito si ricordi che nei paesi in questione una vita umana non conta nulla e l’effetto deterrente si ottiene solo con una severità fuori dall’ordinario. La pena di morte per 50-100 comunisti dovrebbe essere considerata una ragionevole riparazione per la vita di ciascun soldato tedesco. La maniera in cui la sentenza viene eseguita deve essere tale da aumentare l’effetto deterrente. Un atteggiamento opposto, quello cioè di imporre punizioni relativamente morbide e di accontentarsi dell’effetto deterrente di ulteriori future più severe misure non si accorda con questi principi e di conseguenza non dovrebbe essere seguita”.[6].

L’OKH si distinse nell’allargamento della definizione di partigiano, qualifica che comportava una sola alternativa: fucilazione o impiccagione. Al loro ingresso nel territorio sovietico, le truppe della Wehrmacht furono accompagnate dagli Einsatzgruppen o gruppi di sterminio[7] che avevano il compito di iniziare metodicamente una pulizia etnica, con l’obiettivo di annientare almeno trecentomila persone ciascuno nei primi sei mesi: obiettivo che fu largamente superato.

Al loro seguito marciavano i Battaglioni dei nazionalisti ucraini e l’esercito romeno che avevano lo stesso compito in Ucraina: sterminare ebrei, comunisti, rom, intellettuali, amministratori civili.

L’esercito aveva ordini e margini d’azione precisi: l’ordine doveva essere imposto col terrore, qualsiasi sospetto d’insubordinazione doveva essere punito con la morte nella maniera che suscitasse più paura; le impiccagioni erano da preferirsi alle fucilazioni e i cadaveri dovevano essere lasciati esposti. L’esercito tedesco in Russia fu responsabile di migliaia di Marzabotto. In linea generale le future colonie andavano “preparate” a svolgere le funzioni assegnate loro e quella preparazione fu fatta nel modo che abbiamo detto.

L’esercito tedesco, i battaglioni nazionalisti ucraini Nachtigall e Roland e le truppe rumene collaborarono tutti allo sterminio di oltre mezzo milione di ebrei in pogrom violentissimi come quelli di Babij Jar dove 34.000 ebrei furono uccisi nello spazio di tre giorni e gettati in una scarpata[8].

Di Stalin, che diresse l’Armata Rossa durante tutta la guerra, si racconta che nei primi giorni e addirittura nelle prime settimane era talmente sconvolto dal tradimento di Hitler che uscì dalla scena, abbandonando a se stesso l’esercito sconfitto, senza dare ordini, né disposizioni. In realtà Stalin, avvertito immediatamente dell’inizio dell’invasione, andò subito al Cremlino e nelle prime ventiquattro ore ebbe oltre trenta riunioni. Lo stesso nel giorno successivo. Non abbandonò mai la capitale, anche quando cominciò la Battaglia di Mosca con l’evacuazione delle ambasciate, dei musei e degli uffici ministeriali[9] e fu dal Mausoleo di Lenin che il 7 novembre, anniversario della rivoluzione, assistette alla sfilata dell’Armata Rossa che partiva per il fronte distante pochi chilometri.

La Battaglia di Mosca (ottobre-dicembre 1941) fu epica come lo furono i tre anni di assedio di Leningrado e terminò con una controffensiva sovietica.

In pochi mesi furono evacuate a Est oltre dieci milioni di persone e un intero apparato produttivo che permise all’URSS nel corso della guerra di costruire oltre centomila aerei, altrettanti tank e centocinquantamila pezzi di artiglieria.

Gli aiuti alleati, apprezzati e importanti sul piano militare, si limitarono a circa 10.000 aerei e oltre 100.000 camion, mentre fu indiscutibilmente importante l’aiuto alimentare.

In Unione Sovietica si combatterono le più grandi battaglie della Seconda guerra mondiale. Con l’offensiva estiva del 1942 i tedeschi si spinsero a Stalingrado e nel Caucaso, dove l’Armata rossa li fermò ubbidendo all’ordine di Stalin: non un passo indietro.

Stalingrado, con le centinaia di migliaia di caduti dalle due parti, fu la battaglia che segnò la svolta della Seconda guerra mondiale. La VI Armata del generale Paulus dovette arrendersi alla superiorità strategica e tattica dei generali dell’Armata Rossa. Gli stessi generali Žukov, Rokossovskij, Vatutin, Konev, Čujkov guidarono le offensive per conquistare il territorio perduto: era caduto in mano ai tedeschi oltre il cinquanta per cento della Russia Europea, con settanta milioni di abitanti, tra i quali fu praticata dai tedeschi un’azione di pulizia etnica di rara efficacia

Se Kursk fu la più grande battaglia di carri della Seconda guerra mondiale, la Resistenza russa fu in grado di appoggiarla con un attacco coordinato e oltre 430 attentati a ponti e binari nella sola notte dal 20 al 21 luglio 1943, ciascuno dei quali capace di distruggere lunghi tratti di binario e annientando temporaneamente il sistema di comunicazioni tedesco[10]. All’operazione parteciparono 150 brigate partigiane per un totale di 87.000 effettivi, su un totale di oltre un milione di partigiani e partigiane combattenti dietro le linee tedesche

Lo stesso accadde quando fu lanciata l’offensiva estiva del 1944 quando nella notte del 20 giugno furono fatti saltare 40.000 tratti di binario.

Se furono i russi e non gli americani ad arrivare a Berlino non fu un caso. Durante tutta la Seconda guerra mondiale il 90% delle forze armate tedesche – circa 250 divisioni – rimase schierato sul fronte orientale. Solo in occasione dell’offensiva delle Ardenne ingenti forze corazzate tedesche furono spostate a Ovest: in totale circa il 25% delle forze armate e quando le cose si misero male Churchill dovette chiedere a Stalin di anticipare la prevista offensiva su Berlino perché gli americani rischiavano di essere buttati a mare[11].

Berlino fu liberata, ma subito dopo ci fu il brutto episodio dell’armistizio che torna ancora oggi sui giornali senza spiegarci perché gli angloamericani vollero firmarlo da soli e ancora oggi nel loro archivio ufficiale conservano un documento d’armistizio che reca solo le loro firme e quelle dei tedeschi, ma non quella dei sovietici, argomento di cui si è già trattato su questo stesso giornale[12].

Questa fu, in estrema sintesi, la Grande Guerra Patriottica, cui parteciparono 20 milioni di combattenti che ebbero 10 milioni di caduti, oltre a venti milioni di civili sterminati dalla furia nazista. Un intero paese fu distrutto. Ma vinse.

Luciano Beolchi

 

[1]  Patto di non aggressione è il patto che si sigla tra nemici per evitare una guerra, non è né un trattato di alleanza, né un trattato che impegna i firmatari a un reciproco sostegno.

[2]             Ci riferiamo a storici rispettabili come come Anthony Beevor (Stalingrado), Chris Bellamy (Guerra Assoluta), B.H. Liddel Hart (Storia militare della seconda guerra mondiale), Alan Clark (Barbarossa), (Harrison Salisbury (I  900 giorni), William L. Shirer, (Storia del Terzo Reich), Seweryn Bialer,( I generali di Stalin) etc.

[3]             Alexander Werth, La Russia in Guerra, 1941-1945, Mondadori, Milano, 1966

[4]             OKW, Oberkommando der Wehrmacht, Alto comando della Wehrmacht, ossia di tutte le forze armate tedesche.

[5]             Edgar M Howell., The Soviet Partisan movement 1941-1944, studio preparato nel 1956 a cura dello Special Studies Division dell’Esercito Americano.

[6]             Questa direttiva fu emanata dall’OKW. L’Ober Kommando der Heeres (OKH) o  comando supremo dell’esercito era nominalmente subordinato all’OKW (Ober Kommando der Wehrmacht) ma in realtà, dopo il 1941, l’OKH assunse la guida delle operazioni sul fronte orientale e l’OKW mantenne quella sul fronte Occidentale.

[7]             Erano reparti speciali che rispondevano solo a Himmler, che disponeva inoltre di tutte le forze di polizia dei territori occupati.

[8]             Si veda su questa stessa rivista: Luciano Beolchi, Il nazional fascismo ucraino. 15 marzo 2023 e su Alternative per il socialismo, N° 68, aprile giugno 2023, Luciano Beolchi, L’Ucraina non è un paese senza storia

[9]             Alexander Werth, La Russia in Guerra, 1941-1945, Mondadori, Milano, 1966 e Seweryn Bialer.  I generali di Stalin, Ed. Rizzoli, 2003.

[10]            Matthew Cooper, The Phantom war, Mac Donald and Jane’s, London, 1979.

[11]            Winston Churchill, Storia della Seconda guerra mondiale.

[12]            Luciano Beolchi su Intrigo Americano su Transform-italia.it – 19 Giugno 2024 e Sbarco in Normandia e guerra in Europa suTransform-italia.it del 5 giugno 2024

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