La cassetta degli attrezzi era un modo di dire tra chi faceva politica. Dava il senso della “militanza professionale“ che non era come farsi eleggere ma come costruire organizzazione e ottenere risultati. Non riguardava solo “i funzionari” ma le decine di migliaia di persone che consideravano il fare politica parte integrante del loro stare al Mondo. Non valeva solo per le sezioni ma per i luoghi di lavoro, le professioni, i bar. I partiti di massa, i corpi intermedi, i sindacati, le organizzazioni di tutti gli aspetti della vita funzionavano grazie a un saper fare.
E poi la cassetta degli attrezzi era un modo di dire per far capire che non c’erano soluzioni facili, parole scarlatte, populismo, estremismo. Tanto meno tecnocrazia. Ci voleva un saper fare di gente che aveva imparato l’italiano leggendo Gramsci o Togliatti. E che fare politica serviva a fare Storia e che conta quanto si migliora la vita per quante piu persone possibile. Quante situazioni dure, durissime, ha vissuto un Paese come il nostro? Quante scelte difficili ha fatto uno come Togliatti? O Longo? Tantissime. Basta pensare a come e perché l’Italia non è stata come la Grecia, che ha vissuto una guerra civile, i colonnelli. O come Akel, il partito di Cipro che si è molto rifatto alla storia del PCI, “gestisce” la situazione cipriota, con un’isola divisa in due e cercando di evitare la guerra.
Uno come me arriva alla vita politica quando molto è stato fatto e sembra che sia tornato il momento dell’assalto al cielo. È stato un lungo periodo anche entusiasmante. Ma sempre più spesso mi chiedo perché oggi siamo ridotti così, con guerra, genocidio, Meloni al governo e Von Der Leyen a dirigere l’Europa reale. Sempre più spesso mi dico che non è perché ciò che c’era prima di me erano macerie crollate sotto un muro ma perché noi non siamo stati all’altezza. Macerie è il termine usato per buttare a mare il PCI.
Ecco, detto dei nostri limiti storici, voglio dire che aver resistito al cupio dissolvi non è stato sbagliato, anzi. La vecchia cassetta degli attrezzi, quella di Gramsci, Togliatti, Di Vittorio è stata messa in cantina. Sono arrivati i digitali, e chiedo scusa per l’ironia. Mi scuso anche perché non mi piace personalizzare ma faccio due nomi, Occhetto e Veltroni. Ebbene, oggi di fronte alla fascistizzazione degli USA, e di tanta parte del Mondo, penso che il “Mondo che sta cambiando”, occhettiano, e l’americanizzazione veltroniana siano stati due giganteschi abbagli. Tutta l’interpretazione della globalizzazione, dell’89, del futuro americanizzato, della democrazia bipartitica e maggioritaria, del governismo, di Maastricht, della individualizzazione delle scelte e del ruolo del digitale è stata infantile. Prendo la definizione di Varoufakis sul medioevo tecnologico per dire dove siamo arrivati. Prendo i discorsi di Ingrao e Magri su Maastricht, la guerra, l’unificazione tedesca, l’americanizzazione per dire che avevamo gli abbecedari per provare a vedere prima.
La globalizzazione è come le stagioni è una frase purtroppo sbagliata di Mandela abusata per dire che occorreva seguire gli eventi. Purtroppo gli eventi ci hanno portato ad un cambio climatico in cui le stagioni sono saltate. E il Mondo cambiando ci ha riportato agli orrori più totali, la guerra, il genocidio, il fascismo. Come se il ‘900 costruito dal movimento operaio fosse una breve parentesi nella lunga corsa del capitalismo a intrecciarsi col fascismo, a ritornare al medioevo in attesa della barbarie finale.
Scrivo questo in un momento in cui l’Italia è tornata ad essere un caso non solo per Meloni ma per i milioni in piazza per la Palestina. Milioni che arrivano sì da un sentimento di irriducibilità umana, l’uomo brechtiano che sa pensare, e che è l’alternativa alla banalità del male che imperversa purtroppo non solo tra gli esecutori ma tra chi dà ordini. Ma che arrivano da una cassetta degli attrezzi che è stata ripresa dalle soffitte. Dall’Anpi, dalla Cgil, dai sindacati di base, da una memoria che vive ancora pur dentro corpi stravolti dalle scelte dissennate fatte. Tanti “mai con questo o con quello” sono superati dalle maree. Anche se qualcuno è sempre tentato di riproporli facendo danni a se stesso e al movimento.
Recentemente ad un convegno promosso da importanti fondazioni si è parlato della necessità di rifondare lo spirito di Helsinki e mi ha colpito che il leader dei Cinquestelle Conte sia intervenuto partendo dal discorso fatto da Ingrao in aula e in dissenso col gruppo sulla guerra in Iraq. Era l’inizio degli anni ‘90, della fine del PCI e della nascita di Rifondazione Comunista. 50 anni fa ad Helsinki un’Europa divisa dalla Cortina di ferro e dal muro di Berlino seppe dar vita con gli USA, l’URSS, la Cina a una straordinaria conferenza che produsse disarmo, cooperazione, diritti. Si basava su un punto di fondo semplice e risolutivo. Non c’è sicurezza dalla forza ma solo dal garantirsela reciprocamente. Il contrario degli attuali deliri suprematisti. Enrico Berlinguer, intervistato da Aldo Zanardi per critica marxista nel 1984, aveva detto che una Europa che si volesse fare potenza armata tra le potenze armate sarebbe finita in mano ai fascisti perdendo se stessa. È ciò che sta avvenendo ed era scritto da quando si sputò in faccia a Gorbaciov che proponeva la casa comune europea. Non si volle aiutare chi voleva salvare il socialismo perché non si capiva che senza il socialismo il capitalismo avrebbe ritrovato fascismo e barbarie.
Ciò che accade negli USA, per qualcuno la democrazia per eccellenza, e in Israele dice di quale terribile errore è stato fatto. Delle piazze italiane contro il genocidio si sta parlando in tutto il Mondo. L’ultima trovata veltroniana della piazza dell’europeismo reale è già seppellita. Speriamo che potremo tornare a dire “ben scavato vecchia talpa”. Ma bisogna sapere che non sarà facile. La Palestina, purtroppo, non è il Vietnam, né l’Algeria e tutto sarà più difficile. Non c’è solo da far vincere una resistenza ma da costruire un pezzo fondamentale di un ordine mondiale nuovo mentre il vecchio è fatto a pezzi. Non basta che emergano nuove forze. Serve che torni una vera alternativa di società. Il socialismo.
Roberto Musacchio
P.S. I risultati elettorali delle regionali nelle Marche e in Calabria non sono certo buoni. Non è materia di questo articolo ma, parlando di cassetta degli attrezzi, penso e dico che sarebbe un grave errore (per qualcuno voluto) far discendere da questi risultati una lettura politicista del movimento in piazza sulla Palestina. Né vale molto il detto “piazze piene, urne vuote”. Fu coniato da Nenni per porre fine al Fronte Popolare. Le urne, pienissime, avevano visto la vittoria della DC. Nel 1968 di nuovo la DC vinse le elezioni, con una partecipazione di oltre il 90% e il PCI che cresceva di un punto e mezzo e il Psiup al 4,5. E nel 1972 ancora una vittoria della DC ma sempre con un avanzamento del PCI e un cattivo risultato dei piccini partiti di sinistra. Ci vorrà il 1975 per sfondare. Ora c’è una crisi di partecipazione elettorale figlia, io credo, della americanizzazione di cui ho parlato. Per ricostruire un nesso tra movimenti e elezioni ci vuole un po’ di tempo ed evitare che scelte politiciste colpiscano i movimenti senza aiutare le elezioni. E intanto pensare a come vincerle perché ce n’è bisogno, contro I fascisti.
P.S. 2 Ilaria Salis ha avuto l’immunità dal Parlamento europeo per un solo voto. Ma l’ha avuta. L’Ungheria ha appena messo fuori legge gli Antifa. Dunque l’immunità è sacrosanta. Ed è grave sia passata per un solo voto. Comunque viva!
P.S. 3 Si vota la doppia sfiducia a Von Der Leyen. Questa volta anche da sinistra. La presidente si è difesa attaccando Putin e i putiniani. Ha scelto la guerra. E usa la guerra per difendersi. Come fanno tutti i dominanti di oggi. Va cacciata.