articoli

Itinerari laici e religiosi

di Marino
Calcinari

cronache, donne e uomini, descrizioni della Civitas Christiana dopo la dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente

In questa narrazione sono compresi i resoconti, le testimonianze, il lascito di fede, la cultura e i saperi pervenutici da alcuni uomini e donne, che agirono ai tempi della dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente e che nelle periferie più remote di esso seppero scrivere sincere e ammirevoli testimonianze di fede e riconoscenza per la civiltà che li aveva generati ed aveva indirizzato e guidato la loro azione in un contesto tremendo e difficile. Non è in verità possibile semplificare o farne un esaustivo elenco, ma alcune citazioni sono doverose ed indispensabili e le menzioni che abbiamo scelto riguardano alcune figure che, per molti motivi, ci paiono esemplari. 

Prospero di Aquitania, nato intorno al 390, fu cancelliere di Papa Leone I che governò la chiesa dal 440 al 461 e fermò Attila alle porte di Roma; egli si presenta come il continuatore ideale dell’opera di Agostino ma non dimentica l’antico retaggio della Roma pagana – percorse l’intero corso di studi classici previsto ai quei tempi -ed in quello stile scrisse le sue opere come teologo e monaco, cristiano e latino, non solo come difensore delle opere del Maestro, ma come un apostolo, militante contro i pagani e le deviazioni dei  neoconvertiti. 

Da un poema in 122 versi, il Poema coniugis ad uxorem, se ne deduce che molto probabilmente fu anche sposato. Altri autori importanti che si possono citare per il periodo successivo, sono per la geografia Festo Avieno, e per la poesia nel V e VI secolo spiccano i nomi Namaziano (gallo), Merobaude (ispanico), Sidonio Apollinare (lionese), Massimiano (forse romano, amico di Boezio) e Aviano, di cui si ignora la patria. Per la storia ricordiamo Cassiodoro (490-580), Iordanes (VI sec.), Memmio Simmaco (+ 526) ma il panorama è molto più vasto. 

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Postumio Rufio Festo Avieno era di origini toscane, scrisse la Descriptio Orbis Terrae (“Descrizione del mondo”), nota anche con il titolo di Periegesis seu Descriptio orbis terrarum: una traduzione lunga 1393 esametri dell’opera di Dionigi il Periegeta, che non era un’opera originale ma una sintesi di notizie ed informazioni tratte da diverse fonti: ciò costituiva un limite all’opera, ma Avieno non ci fece caso, forse integrò qualche vuoto con note di altri autori o riutilizzò altri testi sino a realizzare un repertorio di notazioni da fonti altrimenti a noi sconosciute; tra le fonti geografiche Posidonio di Apamea occupa uno spazio notevole. Ed inoltre citiamo l’opera “Ora Maritima (“Le coste marittime”), incompleta e lacunosa, ma interessante per i numerosi riferimenti geografici che contiene, e che illustra tutte le coste del mare settentrionale della Gallia superiore e della Britannia, poi quella meridionale fino a Massilia.Il secondo libro avrebbe dovuto contenere le informazioni acquisite per le coste dell’Asia Minore e del Ponto Eusino, ma non se n’è trovata traccia.

Polemio Silvio risulta essere stato attivo nella Gallia sud-orientale, come funzionario presso il palatium imperiale prima del 438. Scrisse un emerologio, un calendario giuliano annotato per l’anno 449 che apparve o fu giudicato come un tentativo di integrare il tradizionale ciclo festivo romano con le nuove festività cristiane. Avremo modo di riscontrare come con questo termine si identificavano quei calendari, più o meno scientifici, compilati, sin dai tempi di Esiodo, con uno scopo pratico: agrario, medico, nautico, ecc., e che si basavano su osservazioni astronomico-astrologiche; quindi rendevano conto del sorgere e tramontare, in singoli giorni dei singoli mesi, delle costellazioni e singole stelle e dei tanti fenomeni atmosferici. Dopo Esiodo molti furono gli autori greci che produssero questi calendari: Tolomeo, Gemino, Antioco; in Roma ricordiamo i fratelli Quintili, al tempo di Commodo, Ezio di Amida, Claudio Tusco e l’esempio più famoso, quello di Furio Dionisio Filocalo, che nel 354 con l’innovazione iconica, fece fare un salto di qualità a quel tipo di – utilissima- produzione cartacea.

Claudio Rutilio Namaziano consapevole della perduta grandezza di Roma, non solo della crisi del sistema imperiale, ove spadroneggiavano barbari e ruffiani, ma reso triste vedendo sgretolarsi l’assetto economico e sociale che erano state le basi della sua civiltà, impotente davanti a tanto sfacelo non può che esternare il suo triste disincanto con distici, quelli del “De reditu suo” che restano ancora oggi memorabili.

 «Exaudi, regina tui pulcherrima mundi, Ascolta bellissima regina del mondo ch’è tuo
inter sidereos, Roma, recepta polos! Accolta tra gli astri, Roma, dei poli celesti! Exaudi, genitrix hominum genitrixque deorum Ascoltami, madre degli uomini genitrice degli dei
Non procul a caelo per tua templa sumus. Attraverso i tuoi templi ci avviciniamo al cielo Te canimus semperque, sinent dum fata, canemus: E sempre ti celebreremo finché il fato lo vorrà
Sospes nemo potest immemor esse tui. Nessuno fin che vive potrà dimenticarti. Obruerint citius scelerata oblivia solem, Un tetro oblio dovrà coprire il sole
quam tuus ex nostro corde recedat honos. Prima che la tua gloria lasci il mio cuore. Nam solis radiis aequalia munera tendis, I favori che spargi sono uguali ai raggi del sole
qua circumfusus fluctuat Oceanus. Fin dove scorre l’Oceano che ci circonda Volvitur ipse tibi, qui continet omnia, Phoebus Febo stesso che tutto abbraccia per te si volge
eque tuis ortos in tua condit equos. E in te nasconde i suoi cavalli, da te sorti. Te non flammigeris Libye tardavit arenis, Non ti fermò la Libia con le sue sabbie infuocate
non armata suo reppulit Ursa gelu; Nè il gelo dell’Orsa potè respingerti; Quantum vitalis natura tetendit in axes, Quanto la natura vitale si estende tra i due poli
tantum virtuti pervia terra tuae. Tanto la terra si apre al tuo valore Fecisti patriam diversis gentibus unam; Per diversi popoli una sola patria hai fatto
profuit iniustis te dominante capi; e giovasti dominante a chi viveva senzalegge; Dumque offers victis proprii consortia iuris, concedendo ai vinti la tutela del tuo diritto,
Urbem fecisti, quod prius orbis erat.» Una città hai fatto ciò che prima Mondo era.

Rutilio aveva seguito il padre Lacanio quando questi era stato nominato governatore dell’Etruria ed aveva quindi le prospettive di una tranquilla o perlomeno sicura vita professionale nei ranghi dell’amministrazione periferica dell’Impero, ed in effetti divenne magister officiorum e poi anche prefetto di Roma, ma nel novembre del 417 dovette ritornare in Gallia, sua terra d’origine, perché avvisato del pericolo di scorrerie germaniche. da qui il suo canto di tristezza e di dolore, con versi che ricordano Lucilio e Ovidio. 

Sidonio Apollinare (430-486) era nato a Lugdunum, di famiglia nobile, era diventato un alto funzionario dell’impero, fu poeta, epistolografo e successivamente fattosi cristiano diventò vescovo di Alvernia. 

Vittore di Vita, vissuto tra il 430 e il 480 fu un vescovo cattolico romano nato in una cittadina della provincia africana di Bizacena. Lo ricordiamo tra i continuatori di Agostino; scrisse  la Historia persecutionis Africanae Provinciae, temporibus Geiserici et Hunirici regum Wandalorum” cioè la tragica storia della persecuzione pagana nella Provincia Africana ai tempi dei re Genserico e Unnerico. 

Severino Boezio visse tra il 470 e il 526. Scrisse della “Consolazione della filosofia”, ma la sua prima opera sembra sia stata una parafrasi della “Aritmetica” di Nicomaco di Gerasa, matematico greco e filosofo neoplatonico del II° sec. Fu letto molto nel Medioevo, alcuni lo collocano tra i fondatori o precursori della Scolastica. Sapeva distinguere e separava, il terreno della fede da quello della ragione amava l’umanità. Memorabili i versi: “È sempre l’amore che con santi vincoli/ mantiene uniti i popoli/è lui che dai casti affetti/ intesse il sacro vincolo del matrimonio, /lui che detta le sue leggi / di fedeltà tra gli amici./Oh, felice genere umano /se i vostri animi fossero governati/da quell’amore che governa il cielo. Nel 725 le sue reliquie furono inumate a Pavia nella Chiesa di san Pietro in Cielo d’Oro, la stessa chiesa nella quale furono trasportate le spoglie di sant’Agostino. Flavio Merobaude era spagnolo ed alla sua figura, per i suoi meriti, fu elevata nel 435 una statua nel Foro Traiano della quale si conserva ancora a oggi l’iscrizione. Da questa siamo informati che egli era stato non solo un valoroso combattente ma anche un fine letterato e che era giunto ad occupare la carica di “comes sacri consistori”. Compose un carme sulla figura storica di Cristo emulando Claudiano ma scrisse anche un panegirico per il grande generale Ezio. Di Massimiano, coetaneo di Boezio, vissuto tra il 490 e il 560, ci rimangono alcune elegie e poesie su argomenti erotici, i contenuti talvolta sono addirittura pornografici, ma per noi sono interessanti in quanto ci consentono di rintracciare qualche elemento biografico e di comprensione della realtà sociale in cui egli viveva e dove la realtà si mescola o fa a pugno con la fantasia di costui che allora già vecchio sembrava ricordare le antiche pulsioni giovanili. Massimiano infine riprende nelle sue elegie delle idee estratte dalla Consolatio Philosophiae di Boezio.Circa l’esistenza di un cenacolo, forse organizzato da Sidonio Apollinare, non abbiamo notizie certe ma la citazione di poeti ed intellettuali gallici, di cui poco sappiamo ma i cui nomi rimangono – Consenzio, Severino, Pietro, Lampridio, Leone etc. – ci consente di poter dire che sopravviveva e si sviluppava, nonostante la crisi dell’istituzione imperiale, un sicuro presidio di cultura e di civiltà che nessuna barbarie avrebbe potuto cancellare. Aviano ebbe fama di favolista, modernizzando il genere e ispirandosi a Fedro. Abbiamo poche notizie di lui (ci è ignoto il luogo di nascita) ma lo collochiamo nella seconda metà dei IV secolo o al principio del V° secolo, e sappiamo che fu in corrispondenza con Macrobio Teodosio, autore dei “Saturnalia”. Una sorta di dialogo erudito che si svolge in tre giornate, raccontate in sette libri, in occasione delle feste in onore del dio Saturno Scrisse anche elegie e manipolò o continuò una raccolta di favole di Valerio Babrio, poeta greco vissuto a Roma nel III sec. Liberato di Cartagine, che fu diacono, compose nel 560 un Breviarium sulle deviazioni eretiche dal 428 al 553, Vittore di Tununna fu autore di una “Chronica” in cui registrò gli eventi dall’anno 444 al 566 mentre era in esilio per ordine di Giustiniano, ignoriamo la sua colpa, ma la sua cronaca fu continuata dal suo aiutante. Giovanni abate di Biclaro che fu testimone della conversione collettiva dei Visigoti ispanici al cristianesimo. Verecondo di Giunca, vissuto tra il 520 e il 590, teologo cui Isidoro di Siviglia attribuiva due trattati: un De resurrectione et judicio e un De poenitentia. Iordanes visse intorno al 550 muovendosi tra Sirmio, Larissa e Costantinopoli e scrisse sulla base di fonti classiche, tra cui Girolamo, Orosio, Strabone, Namaziano etc, una “Storia dei Goti” (“Getica”), dedicandola all’amico Castalio. Quella storia narrava le vicende di un popolo, originario della Scandinavia, che dalle remote regioni del Baltico, aveva raggiunto il Mar Mediteraneo (e Roma) in cerca di fortuna, ma anche bramoso di saccheggiarne le ricchezze. Iordanes ci racconta le origini di quel popolo (il “suo” popolo”) nel cap. XIV: “capostipite fu Halmal; costui generò Augis e da lì la discendenza: quella degli Amali: Isarna, Ostrogotha, Unilt, Athal, Achiulf, Ansila, Ediulf, Vuldulf, Ermerico, Valeravans, Vinithario, Teodemiro, Valemiro, Videmiro, infine Teodorico che generò Amalasunta.E si conclude pochi anni prima della conclusione della guerra gotica, voluta da Giustiniano per ricongiungere l’Italia all’Impero. Memorabile il cap.III dedicato agli aspetti bio (etnografici)delle popolazioni del Nord Europa di cui citiamo l’elenco: Cedini, Favoni, Firesi, Guti, Daucioni, Levoni. Il “ De origine actibusque Getarum”, rifacendosi a Cassiodoro, è un omaggio indiretto all’opera di Cassiodoro. Memmio Simmaco, pronipote del grande oratore compose una grande opera in sette libri, oggi irrimediabilmente perduta ma che in piccola parte è conservata nel V libro della Storia Getica di Jordanes. Puramente fantastica è invece la narrazione proposta da Venanzio Fortunato, “Historia Apollonii regis Tyri”, che è un vero e proprio romanzo, dove vengono narrate le disvventure di un tale con quel nome che è costretto alla fuga, essendo venuto a conosocenza dell’incestuoso rapporto tra il re di Antiochia e la figlia.l’autore era nato a Duplavilis nella Valdobbiadene nel 530. Mario di Aventico, vescovo a Losanna, era nato nel 532, ed anch’egli compilò una Chronica  che è la continuazione di quella redatta da Prospero di Aquitania  e che copre gli anni tra il 455 e il 581. Rappresenta una fonte importante per la storia dei Burgundi e dei Franchi, specialmente nella seconda metà del VI secolo. 

Alla periferia dell’Impero ormai in dissoluzione tra il VII e l’VIII secolo possiamo collocare l’anonimo autore del Poema di Beowulf scritto in una variante sassone occidentale della lingua anglica che celebra il coraggio umano contro i mostri delle tenebre. Mentre il “Frammento di Finnsburh, che gli è contemporaneo, narra la storia di una tragedia familiare, quella di Hildebur principessa di Danimarca il cui marito, re dei Frisoni le uccide il fratello che a sua volta aveva aveva tolto la vita ad uno dei suoi figli. Ma la poesia pre-cristiana più antica è il Widsith, il cui nucleo centrale, composto da 143 versi, forse la trasposizione di una più antica tradizione orale anglosassone, risale al VII secolo. Quel termine significa “vasto cammino” per estensione logica, è sinonimo di “viaggiatore”, immaginiamo un baedeker antelitteram scritto da un bardo germanico, secondo l’ipotesi avanzata da Borges (cfr.: “Letterature germaniche medievali”).

Nell’anno 680 moriva il poeta, mandriano, monaco e cantore Caedmon che aveva tradotto in volgare anglico molte storie del Vecchio Testamento, tra cui quelle della Genesi e dell’Esodo, e la vita di Cristo. 

Cynewulf, vissuto agli inizi del IX secolo è considerato una delle figure preminenti della poesia cristiana anglosassone. Fu autore di quattro poemi scritti con l’alfabeto runico ed oggi conservati in due manoscritti, l’Exeter book e il Vercelli book, Cynewulf. “Le Parche degli apostoli” narrava il martirio dei primi dodici seguaci di Cristo,  “Giuliana” narra del martirio della santa di Nicomedia, “Elena” è la biografia della madre di Costantino che ritrovò la Santa Croce e “Cristo secondo” parla della Resurrezione della “seconda vita” di Gesù.

San Gildas di Rhuys visse tra il 493 e il 570, fu fondatore dmonasteri. Ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Egli fu un cronista bretone probabilmente di origini nobili che, fattosi monaco, si trasferì in Irlanda e contribuì all’evangelizzazione e alla diffusione del monachesimo. Conosciuto come Gildas il saggio deve la sua fama al “De excidio Britanniae”, scritto nel 569, in cui deplora le violenze dell’invasione sassone ma anche il popolo pavido ed incapace di reagire alla violenza ed alla disumanità pagana che quei guerrieri usavano contro le genti inermi. Sappiamo che si recò in pellegrinaggio a Roma e al ritorno si stabilì in solitudine nell’isola di Houat, presso la costa bretone. Poche notizie invece abbiamo di Eucherio, cui è attribuito un “Breviarium de Hierosolyma” molte invece quelle che riguardano la vita di Gregorio di Tours, che scrisse in dieci libri la “Historia Francorum” sino all’anno 591. Beda il Venerabile può essere considerato come il Boezio inglese ed il continuatore dell’evangelizzazione dell’isola intrapresa da san Teodoro; studiò nell’abbazia di Jarrow, visse tra il 673-735, la sua produzione letteraria fu a dir poco, sconfinata.poesie, libri didattici, biografie, la monumentale “Historia ecclesiatica gentis anglorum”, il “De natura rerum “ (un trattato di Cosmografia), e poi scritti esegetici, due libri di omelie, i Commenti alla Bibbia, i Libri Penitenziali, quindi cercò di “spiegare” i Libri del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio).

Ma la narrazione, l’attività letteraria non fu declinata solo al maschile, scrivevano anche le donne. Araneola, moglie di Polemio, già citato come prefetto del pretorio delle Gallie in occasione del loro matrimonio, aveva richiesto alcuni pareri a Sidonio Apollinare sulla qualità della sua scrittura e questi compose quell’Epithalamii dicti Polemio et Araneolae che voleva essere anche un omaggiante riconoscimento alle doti della giovane. Burgundofara, meglio nota come Santa Fara fondò l’abbazia di Evoriacum (oggi Faremoutiers), di cui divenne la prima badessa e che diresse per quarant’anni. Morì nel 675. Sempre nel VII secolo la monaca Baudonivia scriveva la biografia di Radegonda (518-587). La “ Vita Radegundis” è un testo speciale in quanto è l’unico sopravvissuto, scritto in latino, da una donna tra il VI e il VII secolo, che non sia agiografico né epistolografico, ma che pare una conversazione plurale fondata su una peculiare triade femminile. Vi leggiamo la biografia di una santa, redatta da una monaca e commissionata da una badessa, Dedimia di Santa Croce, di cui peraltro poco sappiamo. E poi Gosvinta, regina dei visigoti (+589 d.C.) che volle mantenere l’antica fede pagana e questa scelta fece scattare la “damnatio memoriae” nei suoi confronti, ma era noto il vivace scambio epistolare che ella ebbe con San Colombano, di origine celtica, che avrebbe poi fondato il monastero di Bobbio. Brunechilde (o Brunilde) aveva sposato il re dei Franchi Sigeberto nel 567 e dopo la morte del marito governò in nome del figlio, conosciamo le sue lettere e la fitta corrispondenza con Papa Gregorio Magno. Rosvita che fu monaca nel Monastero di Gandersheim, fondato dal Duca di Sassonia Liudolfo, verso l’852 compose una decina di drammi teatrali forse sulla base di alcuni testi che – ipotizziamo – ella aveva letto tra cui: il Cento Vergilianus de laudibus Christi, un centone composto da versi di Virgilio uniti a formare un poema epico incentrato sulla figura di Gesù. La Rinascenza Carolingia poteva contare su solide basi.

Marino Calcinari

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