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Il serpente e le lepri

S. R.

C’era una volta un serpente che, dopo essere scampato agli attacchi di una grossa aquila e memore di altri attacchi che in passato suo padre e suo nonno avevano subito da parte di animali feroci, decise di andare a occupare la tana di alcune lepri.

A queste lepri fece credere di averle raggiunte in amicizia, per imparare a essere lepre anche lui. In un secondo momento, approfittando della loro distrazione, se le mangiò quasi tutte.

Alcune tra quelle che gli erano sfuggite cercarono protezione nelle tane di altri animali, che in verità non le accolsero bene. Il serpente lo notò e con furbizia riuscì a confondere le idee a tutti: disse che la responsabilità era di questi altri animali, che se fossero stati per bene avrebbero accolto le lepri senza esitare. Era evidente che erano cattivi e privi sentimenti di fratellanza animale e questo confermava la necessità che lui si fermasse lì, a ricordar loro il dovere dell’accoglienza e la buona creanza.

C’erano in verità delle altre lepri che erano rimaste in vita ma, testarde, non volevano saperne di lasciare la tana. Il serpente le imprigionò dietro una grata e iniziò ad arredare la tana rallegrandosi per la sua abilità e il gusto sopraffino. Si impegnò al contempo a tracciare una bella linea di difesa per evitare che qualcuno potesse scacciarlo dalla sua nuova casa. Questa linea era fatta di parole, filo spinato e di armi. Le parole servirono a persuadere l’opinione pubblica animale che la tana era in realtà disabitata al momento dell’arrivo del serpente, che non poteva essere accusato di aver cacciato nessuno.

Per quanto riguarda le armi, alcune erano state vietate dalla comunità internazionale degli animali, ma il serpente non si fece troppi problemi: evitò di prendere impegni formali contro questo sistemi illegali di difesa, così da sottrarsi ai noiosi controlli, e ricorse nuovamente alle parole, spostando l’attenzione su alcuni grossi animali, che non avevano creduto alla storia della tana vuota e da cui si sentiva minacciato. Disse che erano loro ad avere quelle armi illegali e che volevano usarle contro di lui. Il serpente sapeva essere molto convincente e, anche senza prove, riuscì ad avere credito.  Ogni tanto le lepri cercavano di rimuovere la grata e uscire e allora lui ne ammazzava un po’ e si giustificava dicendo che se l’erano cercata.

Poi un giorno avvenne che le lepri, non si sa come, si armarono anche loro e sferrarono un attacco a sorpresa al serpente. Indignato per l’affronto subito il serpente scatenò una guerra terribile: bombardò le lepri e poi le fece morire di fame. Notando che nessuno gli diceva nulla pensò che fosse arrivato il momento di liquidare anche quei grossi animali che aveva accusato di detenere armi illegali e che gli erano antipatici perché lo consideravano un usurpatore. Come si permettevano? Lui aveva il diritto di vivere al sicuro nella tana della lepre perché anni prima era stato attaccato dall’aquila malvagia.

Attaccò. Gli animali che gli stavano antipatici stavano per avere la meglio. In suo soccorso arrivò un grosso coccodrillo che nella sua lunga vita molte volte aveva invaso le tane altrui e scatenato l’inferno nel mondo animale con il pretesto della propria sicurezza e del mantenimento, guarda un po’, della pace nel mondo animale.

Il serpente e il coccodrillo si assomigliavano molto e quando si incontravano si scambiavano sempre complimenti: “Tu sei il più democratico del pianeta”, diceva il serpente al coccodrillo; “E tu sei l’unico democratico nel paese delle lepri”, rispondeva il coccodrillo. “Le lepri sono animali infidi e pericolosi, trattano male le loro femmine”, aggiungeva il coccodrillo. “Te lo confermo” assentiva il serpente, “pensa che a causa loro non riesco a dare tutti i ricevimenti che vorrei e ai quali tu saresti l’ospite d’onore”.

Anche quella volta si scambiarono complimenti e poi il coccodrillo in nome della fratellanza e dei diritti delle femmine di lepre iniziò a bombardare tutto il mondo.

 

La favola al momento si ferma qui. Il finale è in corso.  Lo vedremo in tempo reale e non so se riuscirò a scriverlo. Temo però che la morale non sarà molto diversa da quella che Esiodo ci ha lasciato ne Le opere e i giorni, scrivendo la prima favola dell’occidente:

«Uno sparviero così parlò all’usignolo dal variopinto collo, mentre, avendolo ghermito con gli artigli, lo stava portando in alto, fra le nubi, e quello, trafitto dagli artigli ricurvi, pietosamente gemeva. A lui, dunque, lo sparviero superbamente parlò: ‘A che ti lamenti, o infelice? Ti tiene uno che è più forte; dove ti porto io, tu andrai, anche se sei canoro; ti divorerò oppure ti libererò a mio piacere. Stolto è chi vuole combattere contro i più forti: non riporterà alcuna vittoria e, oltre al danno, subirà pure la beffa».

(S. R.)

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